Accertamenti tributari e spese di sponsorizzazione
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Accertamenti tributari e spese di sponsorizzazione

Con giurisprudenza e prassi dell'amministrazione finanziaria

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Accertamenti tributari e spese di sponsorizzazione

Con giurisprudenza e prassi dell'amministrazione finanziaria

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E-Book rivolto agli sponsor per la difesa da accertamento tributario delle spese di sponsorizzazione, contenente la giurisprudenza e prassi dell'amministrazione finanziaria, nonchè il prontuario di difesa con formula contrattuale, memoria e ricorso.

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Information

Publisher
Fisco e Tasse
Year
2015
eBook ISBN
9788868051228
Topic
Law
Index
Law
1.
Premessa: qualifica ai fini fiscali delle spese di sponsorizzazione, differenza sussistente tra pubblicitĂ  e rappresentanza: norma, prassi e giurisprudenza di legittimitĂ 
1. Qualifica tributaria delle spese di sponsorizzazione
La pubblicità è un’attività indirizzata a informare i consumatori finali circa l’esistenza dei beni prodotti da una determinata azienda, dando specifica evidenza della capacità di quest’ultimi a soddisfarne i relativi bisogni. Ai fini delle II.DD. l’art. 108, comma 2, del T.u.i.r. dispone che
“Le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”.
Con riguardo allo specifico argomento l’Amministrazione finanziaria ha formulato, seppur in documento risalente, un principio generale ritenendo che
“le somme corrisposte a società sportive possono essere considerate di natura pubblicitaria – e come tali inerenti alla produzione del reddito – solo se abbiano come scopo unico quello di reclamizzare il prodotto commerciale per incrementare i ricavi e sempre che ai contributi faccia riscontro in tal senso una somma di obblighi contrattuali, anche in fatto osservati, a carico delle società percipienti. Qualora non ricorressero le suindicate condizioni, le somme erogate – pur se nominalmente a titolo di pubblicità – non potrebbero essere considerate diversamente dalle mere elargizioni a titolo di liberalità e, in quanto tali, come oneri non deducibili dal reddito di impresa” (ris. n. 2/1016 del 5 novembre 1974).
Nel più recente documento di prassi, ris. 137/E dell’8 settembre 2000, l’Amministrazione finanziaria sostiene che
“tra i criteri da seguire per poter distinguere tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza, si rivela sempre meno efficace quello incentrato sul collegamento diretto tra pubblicità del prodotto e ricavo, dal momento che, come visto, il prodotto ha cessato di essere l’unico obiettivo della pubblicità stessa, per cedere il posto ad altre strategie commerciali legate all’immagine ‘sociale’ di un’azienda. Del resto, ciò che rileva ai fini della corretta interpretazione dell’articolo 74 del T.u.i.r. è riaffermare un criterio – che pur nella evoluzione delle strategie di mercato – sia conforme allo spirito ed al contenuto antielusivo delle disposizioni introdotte dal d.l. n. 69/1989. E, in tal senso, un criterio valido è quello più volte ribadito dalla scrivente in base al quale sono da considerare di pubblicità le spese che prevedono a carico dell’altra parte impegni a fare o permettere oppure obbligazioni derivanti da accordi contrattuali anche nuovi e complessi”.
Nella più recente circ. 34/E/2009 – al fine di tratteggiare una distinzione tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, anche ai fini della relativa deducibilità dei sottostanti componenti negativi di reddito – l’Agenzia delle entrate evidenzia
“che con riferimento ai criteri distintivi delle spese di pubblicità rispetto a quelle di rappresentanza, aveva già enunciato un principio di carattere generale in base al quale caratteristica delle spese di rappresentanza è la ‘gratuità’ dell’erogazione di un bene o un servizio nei confronti di clienti o potenziali clienti. Le spese di pubblicità, invece, sono caratterizzate dalla circostanza che il loro sostenimento è frutto di un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa va ricercata nell’obbligo della controparte di pubblicizzare/propagandare – a fronte della percezione di un corrispettivo – il marchio e/o il prodotto dell’impresa al fine di stimolarne la domanda”.
Ciò chiarito non sono mancate delle prese di posizione, da parte della giurisprudenza di vertice, in merito all’inclusione delle sponsorizzazioni tra le spese di rappresentanza, anziché tra quelle di pubblicità, sulla base di sospetti avvalorati dall’estraneità delle iniziative sponsorizzate al “business” dello sponsor. La decisione, ancorché sostanzialmente corretta nel caso concreto, si fonda però su di una motivazione quantomeno discutibile sul piano teorico-sistematico (Corte di Cassazione ord. n. 3433 del 5 marzo 2012). Invero nell’ordinanza il Collegio evidenzia un criterio discretivo ai fini della distinzione tra spesa di rappresentanza e spesa di pubblicità:
“In definitiva, si ritiene debbano farsi rientrare nelle spese di rappresentanza quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, e che vadano, invece, considerate spese di pubblicità o propaganda quelle altre sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi ed in certi contesti, anche temporali. Il criterio discretivo va, dunque, individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto. Alla luce di tale principio le spese di sponsorizzazione in questione, in quanto idonee al più ad accrescere il prestigio dell’impresa (...), vanno ritenute spese di rappresentanza, deducibili nei limiti di cui al d.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 2”. Nella specie, la Soc. contribuente, operante nel diversissimo settore dell’impiantistica per imballaggi, non ha allegato e provato qualsivoglia ‘diretta aspettativa al ritorno commerciale’ che potesse essere ragionevolmente riconducibile all’attività di un pilota professionista e all’apposizione sulla vettura da corsa della scritta ‘Marfin Packaging Machines Italy’. Né ha spiegato, neppure in memoria, quale potesse essere la concreta finalità d’incremento commerciale, concernente la produzione d’impiantistica per imballaggi, nel contesto delle corse automobilistiche. La sentenza d’appello si è discostata dagli enunciati principi e va, dunque, cassata anche con riferimento al contenzioso sull’IVA, atteso che non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per un costo unitario non superiore a euro 25,82 (d.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, lett. h)”.
L’ASSONIME nell’approfondimento n. 6 del 2013, affronta le due rilevanti e controverse problematiche riguardanti la distinzione tra spese di pubblicità e di rappresentanza, nonché la riconducibilità delle spese per le sponsorizzazioni all’una o all’altra categoria. Le prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria e della Corte di Cassazione che si sono succedute al riguardo non sono state sempre univoche e convergenti tra di loro e sono, di conseguenza, sorti diversi dubbi, in merito alla disciplina da applicare. L’ASSONIME ha correttamente osservato che l’elemento distintivo tra le due tipologie di spese va ricercato nella presenza o meno di un obbligo sinallagmatico da parte del soggetto beneficiario e che quelle relative alle sponsorizzazioni rientrano tra le spese di pubblicità, trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive. Si ritiene che nell’esame della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, nella quale è stato affermato, in contrasto con i documenti di prassi dell’Agenzia delle entrate, che le spese di sponsorizzazione sarebbero da qualificare quali spese di rappresentanza, vada tenuto presente che tale caso ha riguardato periodi d’imposta anteriori a quello a partire dal quale ha trovato applicazione la vigente disciplina delle spese di rappresentanza, nell’ambito della quale è stato affermato con chiarezza che il carattere essenziale delle spese di rappresentanza è costituito dalla gratuità, ovvero, dalla mancanza di un corrispettivo o di uno specifico obbligo di fare o dare (controprestazione) a carico dei destinatari dei beni e servizi erogati. Inoltre le affermazioni della Suprema Corte vanno contestualizzate con riguardo ai casi affrontati nelle sentenze di merito, nei quali poteva sorgere il sospetto di una retrocessione, in tutto o in parte, allo sponsor del corrispettivo da parte del soggetto sponsorizzato, circostanza che non era stata, però, provata in sede di giudizio. La qualificazione tra le spese di rappresentanza, sembrerebbe, quindi, il «rimedio» escogitato dalla Corte per contrastare tale fenomeno. A parere di ASSONIME l’interpretazione della S.C. non ha, però,
“mai pienamente convinto. In effetti, la distinzione fra promozione del prodotto e promozione dell’immagine dell’azienda al fine di attribuire all’una la natura di spesa di pubblicità e all’altra quella di spesa di rappresentanza pone, di per sé, un confine molto labile ed arbitrario; si dovrebbe, piuttosto, fare riferimento alla natura della spesa e in particolare agli interessi delle parti così come individuati e tutelati nell’assetto contrattuale. Può infatti affermarsi in linea generale che le caratteristiche essenziali delle spese di rappresentanza sono costituite dalla natura gratuita delle erogazioni effettuate e dalla finalità promozionale o di pubbliche relazioni, elementi questi che certamente risultano carenti nella fattispecie del contratto di sponsorizzazione”.
L’ASSONIME ha ribadito, al riguardo, l’orientamento precedentemente formulato nella circolare n. 50 del 23 aprile 1990, secondo il quale le spese di sponsorizzazione sono riconducibili nel novero delle spese di pubblicità, inserendosi, diversamente dalle spese di rappresentanza, in un contratto sinallagmatico di prestazione di servizio. Tale orientamento è stato confermato anche dall’Amministrazione finanziaria, che ne ha riconosciuto la finalità di far conseguire maggiori ricavi allo sponsor. In particolare, sempre secondo ASSONIME,
«devono ritenersi ricomprese, a motivo della sostanziale identità dello scopo perseguito, tra le spese di pubblicità, e non tra quelle di rappresentanza, non solo le spese sostenute per reclamizzare prodotti dell’azienda ma anche quelle di pubblicizzazione del marchio d’impresa»;
facendo poi riferimento alla citata circolare n. 34/E/2009, si afferma che le spese di sponsorizzazione, per risultare deducibili come spese di pubblicitĂ , devono:
  1. a) avere come scopo quello di reclamizzare un prodotto commerciale oppure il nome o il marchio dell’impresa;
  2. b) essere corrisposte a fronte di un obbligo sinallagmatico del soggetto beneficiario.
Analogamente sembra statuire, seppur con un’originale tecnica normativa, il decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 19 dicembre 2012, contenente le norme tecniche e le linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni culturali. In questo provvedimento, infatti, nell’allegato A è espressamente riconosciuto che
“la causa del negozio atipico di sponsorizzazione è il fine di pubblicità per il quale lo sponsor si impegna a finanziare lo sponsee e a provvedere alle attività richieste da quest’ultimo”.
L’elemento distintivo del contratto di sponsorizzazione, se genuino, rispetto a quello di pubblicità vero e proprio, a ben vedere, è rinvenuto proprio nella maggiore idoneità di ritorno pubblicitario del primo rispetto al secondo, per il suo maggior legame tra sponsor e soggetto sponsorizzato; rileva, infatti, il suddetto decreto che
“mentre per i contratti di pubblicità … l’evento pubblicizzato è mera occasione di manifestazione del messaggio divulgativo, e funge da mero contenitore e s...

Table of contents

  1. Premessa
  2. 1. Premessa: qualifica ai fini fiscali delle spese di sponsorizzazione, differenza sussistente tra pubblicitĂ  e rappresentanza: norma, prassi e giurisprudenza di legittimitĂ 
  3. 2. Spese di sponsorizzazione e verifiche fiscali
  4. 3. Verificatori e verificati: origine dei rilievi e possibili strategie difensive
  5. 4. L’attività difensiva: il ricorso
  6. Conclusioni
  7. Appendice A
  8. Appendice B