SEGRETI E BUGIE DI FEDERICO FELLINI. Il racconto dal vivo del più grande artista del '900 misteri, illusioni e verità inconfessabili
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SEGRETI E BUGIE DI FEDERICO FELLINI. Il racconto dal vivo del più grande artista del '900 misteri, illusioni e verità inconfessabili

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Perché Mastroianni diceva di Anita Ekberg che le sembrava un ufficiale della Wehrmacht?
E Fellini invece sosteneva che il corpo della bionda svedese era luminoso anche al buio, anzi fosforescente?
Per quale motivo nel film "La voce della Luna" i camerieri di un ristorante prendono a calci l'immagine di Silvio Berlusconi, in divisa milanista, dipinta sulle porte a vento della cucina?
Forse sarebbe interessante scoprire che relazione intercorresse tra Jack Lang, Ministro della Cultura di Mitterand, e l'artista italiano.
O conoscere il nome della veggente che riuscì a smascherare l'autore delle lettere anonime nelle quali veniva rivelato a Giulietta ogni incontro clandestino tra il marito e Sandra Milo.
Esiste una quantità di enigmi nella vita di Federico Fellini, che non sono stati mai sciolti.
Chi scattò l'immagine agghiacciante del regista in coma diramata in tutto il mondo dall'Agenzia Reuter?
E chi era il bambino vestito da marinaretto che salvò Federico al Grand Hotel di Rimini quando venne colpito dall'ictus?
Un racconto senza precedenti in cui le risposte ai tanti quesiti sospesi consentirà al lettore di salire sulla giostra incantata del più grande regista-mago della Settima Arte.

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SEGRETI E BUGIE DI FEDERICO FELLINI

Tra il 1939 e il 1943 Federico Fellini pubblicava sul “Marc’Aurelio” raccontini in cui è facile ritrovare una galleria di personaggi così simili a quelli poi maturati, di lì a pochi anni, nei film. Sono proto/tipi, abbozzi, incunaboli che contengono tuttavia ben delineata l’intensa poetica onirica del regista di 8 ½.
Federico era poco più di un ragazzo, ma in pochi anni aveva pubblicato sulla celebre testata satirica più di 800 articoli e 300 vignette, senza contare la produzione a getto continuo di testi e disegni per altri giornali umoristici, a cominciare dal fiorentino 420. Ai quali vanno aggiunti le scenette, le gag, i monologhi per gli attori del varietà (da Macario a Fabrizi), nonché i copioni per il teatro di rivista.
Per non parlare del profluvio di sketch scritti per la radio, la EIAR a quei tempi. Sebbene non conosciuto di persona – non c’era la TV che rende familiare ogni volto noto e ignoto – la popolarità di Fellini era vastissima, soprattutto tra i giovani. Alberto Sordi ricordava con spasso che il pubblico del Teatro Sistina dove in quel momento era in cartellone un suo spettacolo, scoppiò in un applauso fragoroso e interminabile quando egli, a sorpresa, annunciò la presenza in sala di “Federico Fellini, la nota firma del “Marc’Aurelio”, che oggi s’è sposato.” Era infatti il 30 ottobre del 1943, Federico aveva 23 anni (Giulietta 22), e più di una volta mi aveva raccontato, con divertito compiacimento, di non aver mai guadagnato tanto – in proporzione al tempo o alla fatica – come in quel prospero periodo. Trattandosi oltretutto di un lavoro che non considerava tale, anzi svolgeva in una specie di allegra euforia, anche quando contemporaneamente alla radio aveva iniziato le prime collaborazioni alle sceneggiature cinematografiche, specialmente di film comici. Aldo Fabrizi gli pagava “brevi manu” le battute che lui gli suggeriva, e anche nelle riunioni di sceneggiatura, che Fellini rievocava con punte di esilarante comicità, il divertimento, la chiacchiera svagata, e soprattutto le spaghettate prevalevano decisamente sul dovere.
La stessa Giulietta riferiva il proprio stupore quando, invitata finalmente a cena dal timido e romantico ragazzo di Rimini, al momento del conto lo vide tirar fuori dalla tasca dei calzoni un rotolo di banconote così grosso che non entrava quasi nella mano. Insomma Pinocchio era entrato davvero nel paese di Bengodi. E il “Marc’Aurelio” aveva svolto il ruolo di porta magica. Un passe-partout per le regioni della fantasia, del sentimentalismo candido, dell’intelligenza spiazzante, dell’umorismo surreale, delle confessioni private di quel singolare ragazzo di vent’anni che si firmava Fellini, Fellas, Federico, o una semplice F. a seconda dei casi. Le sue erano storielle personalissime che apparivano sotto rubriche dai titoli infallibili: “Primo Amore”, “I fidanzatini”, “Oggi Sposi”, “Ma tu mi stai a sentire?”, e in esse riversava la sua vena più malinconica e stralunata. Un intero universo di personaggi cominciava a farsi largo sulla scena: sono i primi abbozzi, riconoscibilissimi, di quei caratteri che presto affolleranno i suoi film, il cartone preparatorio di un arazzo a cui sta per mettere mano l’artista maturo. Non capita spesso di poter entrare con tanta naturalezza nella personalità di un genio, scoprirne i pensieri, le fantasie, i sentimenti, i modelli precoci, assistere all’espansione della sua esperienza esistenziale, al primo deposito della sua ‘memoria’.
Il ragazzo che è partito da Rimini una mattina all’alba, quando tutti dormivano – come è narrato ne I vitelloni – non si stanca di parlare della sua città, dei suoi fantasmi inseparabili, della sua famiglia (“Richettino bambino qualunque”), della sua scuola (“Seconda liceo”, “Compito in classe”). E di Bianchina, la ‘fidanzatina rotonda’, chiamata anche Pallina: la rubrica con cui Fellini raggiunse un’immediata celebrità, colpendo al cuore – e per sempre – i suoi innumerevoli ammiratori.
Esiste un’opera giovanile di Fellini scomparsa nel nulla.
Ultimi mesi del 1944. Federico aveva 24 anni, da un anno era sposato con Giulietta Masina incontrata all’EIAR durante la realizzazione di una rubrica da lui scritta e da lei interpretata. Si intitolava “Cico e Pallina”: una delle tante fantasticherie, fra comiche e sentimentali, che veniva pubblicando con enorme successo sulle pagine del “Marc’Aurelio”. Grazie alla sua verve, alla fervida immaginazione, alla facilità di scrittura e all’inclinazione per la battuta brillante di gusto spesso surreale, il giovane giornalista viene chiamato a collaborare alle sceneggiature dei film comici, inizialmente come gagman, e in seguito come soggettista. Il primo ad apprezzarlo seriamente e a coinvolgerlo nei propri progetti è Aldo Fabrizi, attore in quel momento assai in auge sia nel cinema che nel teatro di varietà. Insieme scrivono film di successo come Avanti c’è posto, L’ultima carrozzella, Campo de’ fiori, diretti da abili registi di commedia, Mario Bonnard o Mario Mattoli. Fellini si fa un nome, e quando Roberto Rossellini e Sergio Amidei (l’autore del soggetto) decidono di realizzare Roma città aperta, si rivolgono a lui sia come sceneggiatore sia come tramite per attrarre Aldo Fabrizi, il quale con la sua popolarità avrebbe garantito al film distribuzione e finanziamenti.
Di soldi non ce n’erano molti, tuttavia la produzione disponeva di una sede regolare, in via Francesco Crispi. Si chiamava Nettunia Film e faceva capo alla contessa Chiara Politi, moglie morganatica del Re Fuad d’Egitto, che Rossellini chissà con quali arti era riuscito a persuadere a quell’impresa. Racconta Alvaro Zerboni, giornalista romano e unico depositario di questa storia incredibile:
“L’ufficio di via Crispi dalle parti del Tritone, era al quarto o quinto piano di un imponente edificio, provvisto di uno scalone da cui tante volte avevo visto discendere il giovane Fellini, già con la sua sciarpa intorno al collo. Io che avevo tre anni meno di lui e tentavo di fare l’animatore di fumetti, lo guardavo affascinato perché tutte le settimane leggevo i suoi raccontini sul “Marc’Aurelio”, oppure ascoltavo le scenette che scriveva per la radio e ne ero proprio entusiasta. Anche in redazione scherzava sempre. Anzi ho un ricordo preciso. Il giorno in cui gli arrivò una telefonata, lui andò a rispondere ed era Giulietta Masina che gli annunciava la nascita del figlio (Pier Federico detto Federichino, che vide la luce il 22 marzo 1945, destinato a spegnersi dopo pochi giorni). Improvvisamente lo vidi intenerirsi, commosso, e per cercare forse di arginare l’emozione, continuava a domandare: «E com’è: è racchio? È racchio?». Usando un termine di moda fra i giovani; esisteva persino una rubrichetta intitolata Genoveffa la Racchia. Quando chiuse la comunicazione non si trattenne dall’esclamare, “Mi è nato un figlio!”, rivolgendosi più al suo amico Panei che genericamente a noi della redazione. Però non lasciò subito l’ufficio, rientrò nella stanza della produzione per riprendere parte alla riunione in corso.”
L’ufficio in cui si produceva Roma città aperta, era ospitato in un appartamentone di più stanze, e in una di esse, parallelamente alla lavorazione del leggendario film del Neorealismo, procedeva di pari passo un secondo progetto, un cortometraggio di animazione dal titolo americaneggiante: Hallo Jeep! Ne era autore lo stesso Fellini insieme appunto al suo amico Achille Panei che partecipava all’iniziativa insieme a un manipolo di disegnatori considerati i migliori sulla piazza.
“La direzione artistica – continua Zerboni – era stata affidata inizialmente a Luigi Giobbe, ma erano coinvolti altri illustri disegnatori del momento, come Niso Ramponi detto Kremos, Franco Coarelli, lo stesso Achille Panei, il maggiore in età, oltre me che stavo solo iniziando. Il più bravo era Niso Ramponi, cesellatore sopraffino di donne sensualissime, alla Boccasile, alla Walter Molino, e infatti era collaboratore del “Marc’Aurelio” e soprattutto del “Travaso” per cui illustrava le copertine, e già aveva partecipato a diversi film di animazione del periodo bellico. Fu lui infatti a raccogliere in seguito la direzione artistica di Luigi Giobbe. Federico Fellini aveva inventato la storia e siccome era appassionato di fumetti, stava dietro a Panei per imparare il mestiere. Confessava anzi che quello di animare i disegni era sempre stato il suo sogno.”
In un primo tempo era stato cooptato anche Francesco Guido, che si firmava Gibba, originario di Alassio e già esperto di animazione:
“Mi aveva chiamato Niso – conferma Ramponi – invitandomi a far parte dell’avventura, anticipandomi che si trattava di un’idea geniale scritta da un giovane autore appassionato di cinema. Io alla fine del 1944 ero già tornato dalle mie parti, in Liguria, ma approfittando del passaggio di un amico che si spingeva in macchina fino in Calabria ad acquistare fichi secchi, tornai per qualche giorno a Roma. Mi recai all’ufficio di via Crispi, quasi all’angolo con via del Tritone e incontrai tutti i personaggi coinvolti, compreso Fellini che ancora non era noto e se ne stava curvo al suo tavolo non so se a scrivere o a scarabocchiare. Mi ricordo un gran ciuffo nero, una testa di capelli che sembrava un orto incolto. Abbiamo scambiato qualche parola, gli ho raccontato un po’ delle mie vicende e mi sono fatto mettere al corrente su questo cartone animato. Apparivano tutti molto convinti, entusiasti. Niso aveva già disegnato la jeep e il carro armato Hermann, e pensava che un buon animatore di esperienza come me sarebbe stato utile all’impresa. C’era da stabilire il compenso, ma sembrava che i soldi non mancassero, l’occasione era interessante. Però nessuno era in grado di garantirmi una continuità di lavoro, si parlava di un impegno di due, tre mesi al massimo. Preferii non prendere subito una decisione, avrei dovuto stare a Roma sulle spese, mi era necessario fare qualche calcolo. Niso, da buon romano che prendeva le cose non dico alla leggera ma con più filosofia, continuava a invogliarmi: “Ma che te frega! De che te preoccupi!” In effetti le persone erano stimolanti, i disegni preparatori molto promettenti. Ma io avevo bisogno di un guadagno fisso, e così presi tempo, me ne tornai a casa. E loro partirono senza di me.”
Nell’ufficio di via Crispi, situato sopra il bar-biliardo “Mokaino”, una stanza era occupata dall’amministrazione, un’altra dalla produzione di Roma città aperta, e un terzo locale, lo stanzone più vasto, era assegnato alla realizzazione del cartone animato intitolato Hallo Jeep!, dove trovavano posto appunto i disegnatori, i bozzettisti e gli animatori impegnati nella lavorazione. In mezzo a loro, in qualità di autore del soggetto e della sceneggiatura del disegno animato, indugiava spesso Federico Fellini, “magrissimo, un testone dalla chioma rigogliosa, il viso sorridente, un marcato accento emiliano e la vocina chioccia quanto canzonatoria”. Gibba, rievocando il suo breve soggiorno nella redazione, riferisce che Fellini appena poteva si metteva seduto accanto a Panei per osservarlo con attenzione mentre animava il pupazzetto della jeep; tanto che Panei brontolava lusingato: “Questo è un rompiballe che vuol mettere becco su tutto, anche sul lavoro mio!” Serpeggiava insomma per lo stanzone una certa elettricità da prime donne gelose, e Gibba che aveva messo mano anche lui a qualche proposta di bozzetto, a un certo punto disegnò la jeep che faceva le smorfiacce a Federico.
Ogni pomeriggio nell’ufficio di via Francesco Crispi, a fine riprese, convergevano gli autori di Roma città aperta che da varie settimane andava avanti nelle riprese; si rinchiudevano nella loro stanza e affrontavano discussioni interminabili, commenti, critiche, proposte, ripensamenti. Arrivavano Rossellini, Sergio Amidei, lo stesso Aldo Fabrizi e gli altri attori, compresa Anna Magnani. La quale se la prendeva spesso con Maria Michi (l’attrice interprete della sorella della protagonista che nel film se la fa con i tedeschi). “Una volta – continua Zerboni – dal nostro stanzone udimmo la Michi che piangeva e strillava, vittima di una strapazzata di Nannarella. Altre volte uscivano dalla stanza Fellini e Amidei, e lo scrittore benché fosse notevolmente più anziano di Federico, stava ad ascoltare il giovane collega con molta attenzione e annuiva convinto alle sue considerazioni.”
Federico Fellini sessant’anni prima, aveva già anticipato la moda di trasformare le automobili in personaggi semi-umani e renderle protagoniste di film di animazione. Un’idea che i pagatissimi creativi delle Major Companies americane avrebbero saputo sfruttare a dovere, imbastendoci sopra brillanti commedie popolari: le automobili umanizzate vantano successi travolgenti a iniziare da Un maggiolino tutto matto della Walt Disney; e Cars negli Stati Uniti è stata una vera hit al botteghino. Ma l’ispirazione originaria risale proprio a Hallo Jeep! inventata e scritta da Fellini a cavallo tra il 1944 e il 1945. È del tutto verosimile che il cartone animato, realizzato con la medesima produzione, Nettunia Film, e durante le stesse settimane di Roma città aperta (1945), sia finito negli Stati Uniti seguendo il produttore americano Rod Geiger, il quale aveva comprato i diritti di distribuzione per il suo Paese del capolavoro di Rossellini a cui il film di animazione era commercialmente abbinato.
Si comprenderebbe allora perché dopo il 1945 e al termine dei tre mesi di lavorazione, sia sparita ogni traccia di questo straordinario reperto.
“L’ipotesi non è per nulla campata in aria; – aggiunge Zerboni – Fellini aveva scritto un brogliaccio di situazioni, accompagnato da alcuni schizzi, in cui una jeep usciva dalla fabbrica e affrontava in guerra uno Stukas tedesco. La jeep era una macchina popolarissima in quel periodo, perché era in dot...

Table of contents

  1. INTRODUZIONE
  2. PRESENTAZIONE
  3. SEGRETI E BUGIE DI FEDERICO FELLINI
  4. FEDERICO FELLINI NOTA BIOGRAFICA (Rimini, 20 gennaio 1920 – Roma, 31 ottobre 1993)
  5. FILMOGRAFIA (regia e sceneggiatura)
  6. INDICE DEI NOMI
  7. RINGRAZIAMENTI