Capitolo I
Le ragioni di una ricerca e i possibili settori di interesse
1. Tra la globalizzazione dei nuovi diritti e l’arretramento di quelli acquisiti
Due incontrovertibili dati di fatto hanno inevitabilmente modificato la proponibilità e l’accessibilità del discorso giuridico: la globalizzazione, che si è imposta come tema principale, negli studi, sin dalla fine degli anni Novanta, e la crisi economica, sperimentata, pur con cicli di differente gravità, sin dai primi anni Duemila e, più marcatamente, dal 2008 in poi.
Ogni contributo critico, soprattutto in ambito giuridico, ha dovuto misurarsi con questi due fenomeni: le ricadute sul piano internazionale dell’agire degli operatori locali e l’esistenza di un contesto sociale sofferente e sostanzialmente incapace di difendere quelle prestazioni e quei diritti che erano stati previsti e disciplinati nelle normative dei tre decenni precedenti.
Anche in ambito teorico, però, l’impatto della globalizzazione (che si era presentata, inizialmente, come una motivata ipotesi di prosperità reddituale e come un ampliamento del catalogo dei diritti tradizionali) e della diminuzione delle risorse dello Stato sociale aveva ridisegnato le categorie di riferimento. Dal punto di vista metodologico, si era sempre più affermato il tema della comparazione con gli ordinamenti diversi da quello italiano e/o comunitario. Dal punto di vista ideologico, si erano presentate come non rinviabili delle opzioni di riforma costituzionale, inavvedute e radicali, quali una mondializzazione, da perseguirsi secondo i parametri del costituzionalismo occidentale, o l’adozione di politiche di contenimento della spesa, in assenza di un’interlocuzione diretta coi destinatari di quelle misure di contenimento.
I campi in cui è stato possibile verificare questi riflessi sono molteplici. Nel diritto delle obbligazioni, ad esempio, le spinte contrapposte sono state essenzialmente due: una che mirava ad una codificazione unitaria (che avrebbe razionalizzato, in termini di garanzia, quanto usualmente si definisce lex mercatoria), un’altra che, in modo, purtroppo, illusorio, rivendicava la totale liberalizzazione degli strumenti dell’autonomia negoziale, come leva per la messa in moto della circolazione delle ricchezze e per la realizzazione di un diritto degli scambi autonomo e unitario, ancorché sottratto alle tradizionali competenze di controllo e indirizzo degli Stati nazionali.
Nella dottrina dello Stato, il dibattito sulla crisi della sovranità statuale ha, comunque sia, rimesso al centro della propria analisi le prerogative dello Stato-nazione, perché, in sostanza, ha consentito di valutare quali e quante fossero ancora le attribuzioni decisive che pertengono allo Stato, in cooperazione con un sempre più ampio numero di fattori esterni ad esso. Il cosmopolitismo è divenuto una prospettiva distante e inaffidabile, il multiculturalismo ha evidenziato i propri limiti. Il costante riferimento a uno scenario di segno evidentemente sovra-nazionale ha permesso di non rendere manifeste le inefficienze e le responsabilità, concretamente osservabili. Si è, perciò, teorizzato il mantenimento di un perimetro decisionale da non potersi risolvere nell’emanazione di un dispositivo chiaro e univoco, bensì da rapportarsi all’armonizzazione di una rete di organi decisori di diversa estrazione.
Nell’ambito dei diritti confessionali, l’elaborazione è stata ancor più dinamica. Da un lato, ha consentito di cogliere i risvolti giuridici di una morale sociale autonoma dai vincoli di continuità diretta con la precettistica di tipo religioso; dall’altro, essa si è trovata, progressivamente, esposta alle ragioni di una riorganizzazione delle tendenze identitarie, anche in ambito credenziale, etico e religioso.
Infine, un altro settore, dove la corrispondenza tra la globalizzazione, come implementazione e modificazione permanente delle categorie dello scambio (delle risorse, dello spazio, quale territorio geografico, e del tempo, quale unità di misura degli effetti di un atto giuridico), e la crisi economica è risultata determinante, è costituito dal diritto penale. Ciò potrebbe portare alla formazione di un corpus normativo di nuova generazione, ancora impreciso, difficilmente definibile e non privo, però, di linee tendenziali già in atto. Con esiti, anch’essi, poco leggibili e, non raramente, contraddittori: tutti i limiti della cooperazione giudiziaria internazionale si sono visti nei momenti in cui il cedimento di sovranità sembrava non potere essere ammesso (e lo si ammetteva e invocava, quando le esigenze in gioco erano quelle delle parti deboli della coazione penale), mentre, all’interno dei sistemi nazionali, si sono palesate delle richieste di politica preventiva del diritto penale, che possono avere dubbia efficacia e labile fondamento costituzionale.
Il presente lavoro non intende valutare ciascuno di questi ambiti, anche perché essi sono esemplificativi di aspetti irriducibili dell’esperienza giuridica, che non esauriscono il tipo di problematiche, poste negli scenari internazionali e dall’arretramento delle situazioni soggettive nei diritti nazionali. Il campo dell’indagine sarà intenzionalmente circoscritto a uno degli aspetti del vivere associato che meglio si presta a verificare l’interazione dei fattori di cambiamento e di criticità individuati: la disciplina giuridica del fenomeno religioso. Almeno tre potranno essere le prospettive espressamente da prendere in considerazione:
1-quella trans-nazionale, che consente la riscoperta di tutti gli elementi costitutivi della comparazione giuridica, riportandoli alla rilevanza, formale e materiale, del loro statuto e non ritenendoli in grado di operare come soluzione ad ogni problema;
2-quella europea, per provare a capire se le istituzioni comunitarie siano davvero il fulcro decisionale delle evoluzioni legislative negli Stati membri o se, al contrario, esse riproducano al proprio interno la crescente crisi di legittimazione che corrisponde alle autorità tradizionali. La soluzione ermeneutica più efficace, sul piano giuridico, dovrebbe consistere proprio nel mettere in evidenza dove l’appartenenza all’Unione costituisca un foedus di tipo meramente economico e dove, invece, essa possa risultare un agente di trasformazione, ancora non adeguatamente attuato e messo in opera;
3-quella nazionale, dove la dottrina si premura di rinvenire degli spazi crescenti per l’attuazione evolutiva e inclusivistica dei diritti di libertà (senza far, qui, riferimento a tutti quei casi in cui l’iniziativa legislativa è parsa costituire un arretramento culturale e pratico, nei confronti delle disposizioni costituzionali, che pur vanno interpretate e che lasciano delle perplessità, non sempre colmabili con la ricerca di una ratio legis fondativa dell’ordinamento democratico).
Per svolgere compiutamente queste ipotesi di ricerca, è, inoltre, necessario interrogarsi su quali possano essere i destinatari di un’interpretazione adeguatrice delle garanzie costituzionali o dei dispositivi giuridici, specificamente indirizzati alla tutela di un diritto, soprattutto nei confronti di categorie soggettive più deboli. Se così non fosse, la funzione delle norme che garantiscono, nell’esercizio di quel diritto, verrebbe meno, perché probabilmente la categoria soggettiva in questione potrebbe realizzare il medesimo risultato indipendentemente dall’azione del potere pubblico.
Due nozioni sono, tradizionalmente, parse utili, per misurarsi coi temi della diversità religiosa e dell’esclusione sociale, individuando, volta per volta, categorie di soggetti in larga misura sovrapponibili, quanto alla mancata effettività del diritto oggetto della tutela: le minoranze e le moltitudini; entrambe queste denominazioni, poi, possono prestarsi a una lettura al “singolare”, che può risultare utile per sottolinearne le caratteristiche preponderanti.
Di minoranza, infatti, si discorreva al singolare, per indicare per antonomasia la condizione di subalternità rispetto alla maggioranza: la decisione a maggioranza, soprattutto ove vessatoria nei confronti della/e minoranza/e, diveniva, perciò, tirannia della maggioranza.
A volere interpretare tale espressione, la decisione così formata, tipica della democrazia rappresentativa, nella fase ascendente della sua costituzionalizzazione, rischia di non appartenere più ai nostri scenari politici e giuridici, perché la decisione è sempre più spesso presa da gruppi che, quanto a consistenza numerica, sono minoritari e, semmai, detengono la maggioranza degli strumenti utili a far prevalere i propri interessi. Il tema della diversità religiosa è particola...