Il Vecchio Cattolicesimo in Italia
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Il Vecchio Cattolicesimo sorse come reazione ecclesiale e culturale alle chiusure di Pio IX e de "La Civiltà Cattolica" verso le novità culturali e religiose del secolo XIX. Si chiamarono Vecchi Cattolici (in tedesco Altkatholichen) in opposizione alle "novità" che Pio IX e il Concilio Vaticano I avevano introdotto nella concezione della Chiesa e nel suo rapporto con la società, a partire dal Sillabo del 1864, che aveva condannato le correnti di pensiero nate dall'Illuminismo. I Vecchi Cattolici si ispirarono alla Chiesa dei primi secoli, precedente alla separazione della Chiesa romana dall'Ortodossia e dal Protestantesimo. Nella Chiesa antica il vescovo di Roma era il "primus inter pares", e i vescovi – anch'essi sposati al pari dei presbiteri – venivano eletti dal clero e dai fedeli. Riportarono il concetto di cattolicità al suo significato originario, affermando che "ogni chiesa deve essere sottomessa a Gesù Cristo suo capo, e a lui solo". Ma al tempo stesso, in quanto parte della Chiesa Universale, deve subordinare il proprio orientamento alle decisioni di questa. I Vecchi Cattolici sono "uniti con gli evangelici nella sostanza della fede e nella protesta contro gli errori di Roma, e perciò protestanti per respingere tutto l'errore, come siamo cattolici per ritenere e conservare tutta la verità"

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Capitolo VI

“La chiesa cattolica italiana” fondata
da Enrico di Campello

VI.1 Enrico di Campello

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Enrico di Campello
Enrico di Campello nacque a Roma il 15 novembre 1831. Studiò al Collegio Nazareno e all’Apollinare per i corsi di cultura generale e di filosofia, e alla Pontificia Università Gregoriana per la Teologia, e infine all’Accademia dei Nobili ecclesiastici[1].
Dal 1857 fu membro della Pia Unione di San Paolo Apostolo del clero romano, con incarichi di assistenza spirituale ai marinari, e per pochi mesi anche alle scuole dei Fratelli delle Scuole Cristiane di San Salvatore in Lauro. Sembra però che si occupasse soprattutto delle scuole serali.
Nel 1861 fu nominato Canonico di S. Maria Maggiore. Il 18 gennaio di quell’anno fu incaricato di tenere nella basilica di San Pietro un’orazione commemorativa sul tema De cathedra romana Beati Petri principis Apostolorum, in cui fra l’altro asseriva che nel popolo cristiano, fin dalle origini, si era sempre conservata la consapevolezza che “romanam videlicet cathedram per irrevocabilem Christi verbum, ipsam esse columnam et firmamentum veritatis”[2].
Nell’estate del 1876, poco dopo la conquista del potere da parte della Sinistra, circolò a Roma un opuscolo che invitava i cittadini a partecipare ad una Società italiana per la rivendicazione “dei diritti spettanti al popolo cristiano ed in specie ai cittadini romani”. Il suo scopo era “suscitare un movimento di opinione per rivendicare il diritto del popolo romano ad eleggere il futuro papa”, sottraendo ai cardinali la scelta del vescovo di Roma. Si esprimeva un forte risentimento contro la “prepotente Curia romana” asservita al “gesuitismo”, a causa del quale non aveva mai voluto “una vera riforma della chiesa” e aveva impedito ai popoli di “rivendicare i propri diritti anche in campo religioso”, dopo che erano stati loro riconosciuti in ambito politico. Il programma si inseriva fra le istanze tipiche di un certo riformismo religioso cattolico-liberale che voleva coinvolgere lo Stato nel compito di riformare la chiesa. E si inseriva anche “in quelle istanze di democratizzazione della chiesa che avevano ispirato le rivendicazioni di elezioni popolari dei parroci, con riferimento all’esperienza dei primi secoli cristiani e all’opera Delle cinque piaghe della Santa Chiesa”[3].
La crisi della Destra e l’ascesa al governo della Sinistra spinsero il gruppo ad uscire allo scoperto, pensando di poter suscitare un vasto movimento di opinione fra clero e laici, e credendo di riuscire a “rovesciare le regole dell’elezione del papa”, che era ritenuta vicina, data l’età avanzata di Pio IX.
Il proclama era rivolto al clero che già aveva espresso idee antitemporaliste e si era pronunciato per la riconciliazione fra chiesa e Stato, e a quel clero “che si era dimostrato contrario al dogma dell’infallibilità papale” pensando che questo avrebbe perpetuato “il potere del papa-re sulle coscienze” e che quel dogma fosse “contrario alla dottrina originaria della Chiesa”. Si sollecitava l’adesione soprattutto dei laici, “meno controllati e quindi meno esposti a ritorsioni” in attesa che anche gli ecclesiastici potessero uscire allo scoperto: non si parlava di Vecchio Cattolicesimo, ma si simpatizzava con questo movimento, manifestandosi contrari all’infallibilità.
Nel 1881 Enrico di Campello rivelò di essere l’autore del testo sulla “Società cattolica Italiana”, ma il S.Offizio aveva già cominciato ad indagare fin dal maggio 1876, e alla fine del mese di luglio credeva di conoscere i nomi degli ecclesiastici implicati: Enrico di Campello, Guglielmo Audisio, Luigi Prota Giurleo fondatore della “Società emancipatrice del clero italiano”. Il personaggio più rappresentativo era Mons. Luigi Puecher Passavalli, che non aveva votato l’infallibilità, e sul quale si contava per la successione apostolica se si fosse costituita un’eventuale chiesa scismatica, come del resto in altri paesi si era puntato sul vescovo Joseph Georg Strossmayer[4].
Il Campello sperava che con Leone XIII succeduto a Pio IX si sarebbe verificata una svolta riformatrice in Vaticano e un nuovo corso nei rapporti fra Chiesa e Stato. Restò comunque deluso per la condanna dei libri di Guglielmo Audisio e di Carlo M. Curci. E, mentre questi due si sottomisero, auspicando una riforma della chiesa di iniziativa papale, il Campello riteneva che i cattolici, per poter collaborare con il governo liberale, “dovessero voltare le spalle al papa”. Comunque, anche in quella situazione di crisi, continuò a frequentare le adunanze del Capitolo di San Pietro fino a circa due mesi prima dell’abiura[5], che annunziò con una lettera al cardinale Borromeo, arciprete della Basilica vaticana, il 13 settembre 1881 e pronunciò il pomeriggio dello stesso giorno con una solenne dichiarazione presso la Chiesa metodista di Piazza Poli in Roma. Al cardinale scrisse fra l’altro: “Io esco dalle file del clero romano per militare in quelle del puro evangelo di Cristo, rimanendo così fedele alla mia vocazione”. Nella sede della Chiesa metodista confessò: “…dopo essermi dibattuto per venti e più anni fra le assurdità del cattolicismo (…) mi arrendo alla grazia di Cristo nella certezza della mia eterna salute e di trovare fra voi, ciò che mi mancò nella Chiesa papale, fraterna carità”[6].
Il Campello avrebbe desiderato pronunciare la propria abiura presso la Chiesa episcopale americana di via Nazionale diretta da Robert Nevin, con la quale aveva “maggiore affinità”, ma in quel momento il Nevin era assente da Roma. Tuttavia il Campello da quel momento si professò in comunione con la Chiesa anglicana perché aveva ricevuto un mandato pastorale dal vescovo della Chiesa Episcopale Americana di Long Island, Abram Newkirk Littlejon, che era stato “preposto alla giurisdizione estera dall’arcivescovo di Canterbury”[7].
L’abiura del Campello suscitò presto reazioni vivaci da parte di esponenti della gerarchia romana e dei giornali ad essa collegati, reazioni motivate in parte dal tono retorico delle sue affermazioni. Alcune di quelle reazioni manifestavano una particolare acredine, come per esempio quella di un vescovo titolare che alludeva all’ipotesi che il motivo dell’abiura non fosse di carattere teologico o ecclesiologico, ma solo “quel volto femminile che ti ha affascinati gli occhi” e la presunta “unione sacrilega che stai per contrarre con una donna”[8]. Altri reagirono all’autobiografia che il Campello pubblicò subito dopo l’abiura, a motivo della quale da parte cattolica si presunse che avesse aderito al protestantesimo, per cui si cercò di confutare insieme la scelta dell’ex canonico e il protestantesimo in generale[9].
Enrico di Campello il 25 gennaio 1882 si fece promotore di un gruppo di persone a cui dette il nome di “Congregazione di San Paolo della Chiesa Cattolica Italiana”, di ispirazione vecchio-cattolica, probabilmente sulla scia delle iniziative di Hyacinthe Loyson che aveva dato origine prima al Comitato dei Vecchi Cattolici di Roma e poi alla Chiesa vecchio-cattolica di Ginevra e alla Chiesa gallicana di Parigi. Il Campello conosceva certamente quelle iniziative, anche tramite la sua stretta familiarità con Luigi Puecher Passavalli.
La prima sede della nuova istituzione fu a Roma in via Farini, dove nel 1882 fu fondato anche il periodico “Il Labaro della Riforma cattolica”, che fu pubblicato con scadenze molto irregolari fino al 1884. Fra gli interventi del Campello ...

Table of contents

  1. Premessa
  2. Capitolo I
  3. Capitolo II
  4. Capitolo III
  5. Capitolo IV
  6. Capitolo V
  7. Capitolo VI
  8. Capitolo VII
  9. Capitolo VIII
  10. Conclusione
  11. Appendice
  12. Bibliografia