Nè vivi nè morti. L'odissea della nave Hedia e l'assassinio di Enrico Mattei
eBook - ePub

Nè vivi nè morti. L'odissea della nave Hedia e l'assassinio di Enrico Mattei

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Nè vivi nè morti. L'odissea della nave Hedia e l'assassinio di Enrico Mattei

About this book

Correva il 14 marzo 1962 quando l'Hedia, un mercantile di 4 mila tonnellate varato nel 1915, battente bandiera liberiana ma di proprietà sotto copertura, della Compania Naviera General S.A. di Panama con recapito a Lugano presso il Banco di Roma, con diciannove marinai italiani e un gallese a bordo, scomparve al largo delle coste dell'Africa Settentrionale. Un messaggio radio lanciato dal comandante Federico Agostinelli di Fano, riferiva che la nave stava attraversando una tempesta forza 8. Il presunto naufragio della Hedia fu immediatamente accompagnato da voci contraddittorie, sospetti e soprattutto misteri. Alcuni ipotizzarono perfino il siluramento da parte di unità della marina militare francese, impegnata nel Mediterraneo a stroncare il rifornimento di armi al Fronte di Liberazione Algerino, magari frutto di un tragico errore.

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Nè vivi nè morti. L'odissea della nave Hedia e l'assassinio di Enrico Mattei by Gianni Lannes in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Languages & Linguistics & Journalism. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Addio mistero

Nave Hedia: in fondo al Mediterraneo non riposa. 103 miglia di mare aperto per rotta 196 gradi separano l’estremo lembo a mezzogiorno della Sardegna, dall’arcipelago La Galite. Sono isole rocciose di origine vulcanica situate a nord della Tunisia, proprio ai confini marittimi con l’Algeria. I fondali poco profondi sono caratterizzati da un elevato numero di scogli, soprattutto a Punta Maestrale. L’isola principale che dà il nome all’intero arcipelago, è appunto La Galite (La Caletta), situata al centro dell’arcipelago, che misura 5,4 chilometri di lunghezza da est a ovest e quasi 3 chilometri di larghezza nella zona orientale. L’isola maggiore può essere raggiunta solo attraverso la baia dello Scoglio di Pasqua, nella parte meridionale. Questa è l’unica insenatura riparata dai venti, dove poteva aver trovato ricovero l’Hedia. Esattamente qui, il 21 marzo del 1962 si perdono materialmente le tracce della nave Hedia. La versione ufficiale del governo italiano non suffragata da un solo indizio, recita che l’Hedia è affondata in loco. In buona compagnia di amici e collaboratori ho minuziosamente scandagliato e perlustrato i fondali del minuscolo arcipelago, da sempre fuori dalle rotte turistiche, dove può aver gettato l’ancora il mercantile battente bandiera ombra. Comunque, all’epoca queste isole erano stabilmente abitate da una colonia di pescatori italiani provenienti da Ponza. L’immersione è facile e non presenta insidie. A 30 metri giace uno scafo. Sorpresa: è il relitto del bastimento francese Moane, colato a picco nel 1958. Del piroscafo Hedia, però, non vi è alcuna traccia sott’acqua e sui fondali opportunamente scandagliati. Come ha fatto questa nave da carico a volatilizzarsi? Sarà sprofondata in un vorticoso buco nero? Oppure la Marine Nationale ha occultato questo vascello a Sfax in Tunisia, dopo aver imprigionato l’equipaggio? Anche i pescatori locali, tutti italiani originari di Ponza, stanziati da alcune generazioni su questi speroni di roccia mediterranea, non rammentano alcun naufragio. Il 24 ottobre 2015 avrei dovuto tenere una conferenza a Chioggia, organizzata dall’associazione Marinai d’Italia, alla presenza di autorità civili e militari, per rivelare in prima battuta, questa sensazionale scoperta. Ma ignoti bontemponi, in quel mattino d’autunno, qualche ora prima della partenza per l’aeroporto, hanno sabotato la mia automobile, impedendomi di fatto, di partecipare all’evento. Sempre in base alla versione delle autorità italiane, il 25 marzo 1962, i comandanti di due unità da pesca informarono l’ufficio locale marittimo di Lampedusa, che il giorno 19 avevano rinvenuto, a circa 6 miglia da Capo Grecale nell’isola di Lampedusa, due salvagenti anulari sui quali era scritto “Hedia-Monrovia”, una cintura di salvataggio con la iscrizione “Milly-Monrovia”, ed un tavolone da boccaporto; un’altra unità da pesca, in latitudine 35°37’ Nord e longitudine 12° 30’ Est aveva rinvenuto un altro tavolone da boccaporto con evidenti macchie di nafta e olio. Tuttavia, stranamente nel Registro dei sinistri marittimi della Capitaneria di Porto Empedocle e della Direzione Marittima di Palermo, non c’è proprio alcuna traccia di questo presunto affondamento, neppure uno striminzito verbale di consegna alla guardia costiera dei reperti ripescati in mare. Più di tutto, Lampedusa dista ad una considerevole distanza da La Galite. Il punto più vicino della terraferma è piuttosto Capo Ferrato, esattamente a 38 chilometri. Per rotta 194 gradi Tabarca è appena a 30 miglia, mentre Biserta dista 70 miglia nautiche. Ma in tal caso, un’eventuale rotta in direzione Est-Nord-Est, offre rari ridossi per i venti del terzo e quarto quadrante. E notoriamente, per rotta 90° da Kelibia, l’isola italiana più vicina è Pantelleria, non la remota Lampedusa.
Una semplice foto a volte fa la differenza, e può cambiare la storia contemporanea o modificare perfino l’andamento del futuro, anche quando la ragion di Stato manipola la verità. Scomparsi in mare ma riapparsi in uno scatto fotografico: una formidabile prova è giunta ai nostri giorni. Il 2 settembre dell’anno 1962, il fotoreporter Jim Howard in missione per l’agenzia United Press International, immortalò ad Algeri, nella sede diplomatica di Francia, un folto assembramento di persone. La didascalia che accompagnava quello scatto fotografico era precisa: «Algiers: Group of European prisoners released today by Algeria seen in the garden of the French Consulate»; dunque “prigionieri europei” detenuti dai francesi. Interpellato nel 1963 da un funzionario dell’ambasciata italiana a Parigi, Howard di ritorno dal Libano, confermò la presenza di italiani in quel gruppo di reclusi dalle autorità francesi. In una nota trasmessa dal segretario generale del ministero degli Esteri al ministro Preti, titolare del commercio con l’estero, datata 8 gennaio 1963, si constata: «Signor Ministro, dato il Suo personale interessamento alle vicende relative alla scomparsa dell’equipaggio italiano della nave liberiana “Hedia” desidero attirare la Sua cortese attenzione su quanto questo Ministero sta facendo, onde nulla sia lasciato di intentato affinché le ricerche possano portare a qualche risultato. Tale azione è stata imposta dal telespresso n. 13/01417/0 in data 8 novembre c.a. col quale è stato testé sollecitato un riscontro da parte degli Enti a suo tempo direttamente investiti della questione. Malauguratamente, nessun sostanziale progresso si è potuto finora registrare al riguardo nonostante gli sforzi compiuti: … la nostra Ambasciata in Parigi è sulle tracce del “foto-reporter” della “United Press” che avrebbe scattato la nota fotografia di “un gruppo di prigionieri europei rilasciati ad Algeri presso quel consolato francese”».
In quell’oscuro frangente la foto dell’UPI in ragione dell’esplosiva notizia, fu venduta in Italia direttamente all’Ansa e pubblicata il 14 settembre dal Gazzettino di Venezia. Entro la fine del 1962 i parenti dei marinai riconobbero in quel drammatico scatto ben sei di essi, come riporta un documento riservato datato 6 novembre 1962, del ministero italiano degli Esteri: Ferdinando Balboni (cuoco), Elio Dell’Andrea (2° ufficiale), Claudio Cesca (radiotelegrafista), Filippo Graffeo (marinaio), Agostinelli Federico (comandante), Giuseppe Orofino (fuochista). In seguito alcuni consanguinei formalizzarono il riconoscimento anche dinanzi ad un notaio. Nel cruciale resoconto della Farnesina a proposito della fotografia, si legge inoltre: «Messa in distribuzione dall’Ansa essa venne pubblicata da “Venezia Notte” provocando immediatamente il riconoscimento da parte dei parenti di 4 membri dell’equipaggio e di altri 2 probabili. Il riconoscimento è basato su elementi somatici, su atteggiamenti abituali o su oggetti di vestiario: le prove esibite dai familiari sono impressionanti e lasciano ben pochi dubbi sulla identità di quasi tutte le persone indicate. Tali prove fanno inoltre pensare che gli uomini siano stati catturati “asciutti” e cioè a bordo e non recuperati in mare, dato che in questo caso essi non avrebbero più indossato certi oggetti riprodotti in fotografie precedenti (baschi, spalline, scarpe, zoccoli, orologi, ecc.). La corrispondenza degli elementi esibiti dai familiari con quelli risultanti dalla fotografia dell’UPI è tuttavia così evidente. Non potendo trattarsi di coincidenze casuali, dato che concernono un gruppo di uomini imbarcato insieme e che insieme è stato riprodotto (tra l’altro, nella fotografia UPI, le 6 persone si tengono vicine salvo una che è leggermente distaccata)… la fotografia potrebbe riferirsi ad un gruppo di uomini diretti verso un destino diverso da quello indicato nella didascalia (la loro espressione non sembra infatti quelle di persone sulla soglia della libertà)». Allora, anche il nostrano ministero degli Esteri aveva espresso il parere che l’equipaggio fosse stato prelevato all’asciutto escludendo per conseguenza logica e fattuale il naufragio. Insomma, una telefoto d’agenzia riportò la speranza in senso alle famiglie dei venti componenti l’equipaggio del mercatile, scomparso effettivamente il 21 marzo del 1962 nei dintorni di La Galite. La madre dell’ufficiale in seconda Elio Dell’Andrea, Anna Dalla Palma, vedova Dell’Andrea, di 49 anni, riconosceva nel gruppo dei prigionieri il proprio figlio, ritenuto morto da sei mesi. I visi dei prigionieri sono abbastanza chiari nell’immagine dell’UPI, che certamente ha subito riproduzioni e trasmissioni. La signora era certissima del riconoscimento, citando anche i particolari somatici. «Persino l’orologio – ella ha dichiarato al notaio –, quel grosso orologio che il prigioniero portava al polso del braccio sinistro è uguale a quello che mio figlio portava sempre con sè». La donna corse subito da alcuni parenti dei marinai, ossia quelli più vicini di Venezia e Chioggia, a mostrare il giornale. E tutti indistintamente hanno identificato il comandante in seconda. Ha mostrato la foto anche alla signora Maria Selvatici, moglie del cuoco dell’Hedia, Ferdinando Balboni, di anni 52, e la donna ha mandato un grido: l’uomo accanto a quello che la signora Dell’Andrea ritiene suo figlio era il marito della Selvatici. Poi la signorina Gabriella Alberti ha riconosciuto il proprio fidanzato, il marconista Claudio Cesca, da Trieste. Nel gruppo i tre erano uno accanto all’altro, ciò che avvalorerebbe il riconoscimento, perché la circostanza starebbe ad indicare un’amicizia, o comunque una solidarietà, una comunità di vita e di certo che li teneva uniti a maggior ragione, in quelle tragiche circostanze. Il 2 ottobre del ’62 la signora Dell’Andrea ricevette lettere dalla Sicilia: le famiglie degli altri due marittimi, avevano riconosciuto anch’esse i propri cari: il marinaio Filippo Graffeo, da Sciacca ed il fuochista Giuseppe Orofino, da Catania. Nel frattempo, le autorità contenti erano state sollecitate a fare ricerca dell’equipaggio prigioniero, fotografato dentro una sede diplomatica francese di Algeri. La prima risposta è stata una doccia fredda: «La foto fu scattata il 2 settembre; successivamente quel consolato citato nella didascalia è stato dato alle fiamme con i suoi documenti ed i suoi archivi e dei prigionieri non si sa nulla». Nel maggio del ’62 Gabriella Alberti, attraverso la Croce Rossa Internazionale, aveva diramato in tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo centrale un appello a chiunque fosse in grado di dare notizie dell’Hedia e del suo equipaggio. Racconta, adesso, la signora Alberti che non ha dimenticato nulla: «Da Tunisi, in data 28 settembre, mi giunse una lettera dal giornale La Presse, in cui mi informavano che il quotidiano aveva subito pubblicato un articolo per richiamare l’attenzione delle autorità sue eventuali naufraghi». Quella missiva diceva testualmente: «Disgraziatamente il nostro articolo non ebbe altro effetto che suscitare una protesta del ministro francese della Guerra». Il firmatario di quella lettera, il giornalista Guido Boccara, ex caporedattore di La Presse, che attualmente vive a Bruxelles, raggiunto al telefono conferma quanto aveva già messo nero su bianco allora. Vale a dire: conferma le notizie del ritrovamento dell’equipaggio, date da un’agenzia giornalistica internazionale. E infine dichiara: «All’epoca a Tunisi l’opinione corrente era che la Hedia fosse stata silurata dalla Marina Militare francese». In tal modo il cronista spiegherebbe il recondito motivo della protesta messa in scena da Parigi dopo la pubblicazione dell’appello di Gabriella Alberti. Per la cronaca, il padre del Cesca, a sua volta aveva asserito pubblicamente che a suo tempo interessò un suo amico, ufficiale della Marina Militare italiana, in servizio presso un’area prossima alla zona marina in cui scomparve l’Hedia. Quell’ufficiale, poi identificato nell’ammiraglio Fulvio Martini (in seguito a capo del Sismi), confidò testualmente a Romeo Cesca: «L’equipaggio è salvo e si trova in un luogo di cui per gravi ragioni di segretezza non posso dire il nome, ma è salvo». Tuttavia, dopo il Cesca padre non seppe più nulla. Se i marinai erano vivi come attesta la foto di Howard perché, considerando il forte grado di attaccamento agli affetti personali, nessuno di essi ha fatto pervenire notizie alle famiglie? Ne erano forse impediti da una qualche ragione di Stato? Fanno spicco, tra gli altri, alcune dichiarazioni contenute in un documento del nostro ministero degli Esteri che affermando «non potersi escludere che la nave abbia imbarcato in Spagna o in Marocco delle armi destinate a qualcuna delle parti contendenti in Algeria», avanza significativamente l’ipotesi che i dispersi non siano stati pescati in mare, bensì «catturati asciutti». Ad avvalorare tale indicazione concorre l’episodio del quale è stato protagonista il padre del marconista Cesca, il quale si rivolse ad un ufficiale di marina, suo amico, di base a Taranto, chiedendogli di interessarsi alla questione. Dopo qualche giorno l’ufficiale gli rispose alla lettera: «L’equipaggio è salvo. Per gravi motivi di sicurezza non posso fare il nome del luogo in cui si trova, ma è salvo». Ben singolare è che le autorità francesi non abbiano mai fornito una qualche precisazione o avviato un tentativo di identificazione degli uomini fotografati nel giardino del loro consolato ad Algeri. Perché? Quelle autorità a tutti i livelli diplomatici, dal console generale all’ambasciatore in terra algerina, affermano che i documenti riguardanti i prigionieri ritratti in quella foto sono andati distrutti in un’azione di guerra. Peccato che questo dettaglio significativo non risponda alla verità dei fatti acclarati. Accade inoltre che il quotidiano La Presse di Tunisi pubblicò un articolo sulla Hedia, nella lodevole intenzione di sollevare qualche velo sulla nebulosa vicenda, attirandosi una violenta protesta del governo francese. Altro infortunio accadde a Radio Tunisi per quanto riguardava un misterioso messaggio della Hedia: il 24 marzo si apprenderà che il giorno 19 marzo alcuni pescherecci italiani avevano ripescato nelle acque di Lampedusa, due salvagenti ed una cintura di salvataggio appartenenti alla Hedia con sopra scritto il precedente nome della nave. Si tenga presente che non capita di rado a navi sorprese da una tempesta di perdere in mare qualche salvagente: il 22 marzo, tuttavia, Radio Malta comunicava di aver intercettato da Radio Tunisi la notizia secondo cui il comandante del porto di Tunisi aveva ricevuto un messaggio dalla Hedia alle ore 10,14 del 21 marzo. La scoperta del salvagente non provava che il giorno 19 la nave fosse già scomparsa nei flutti, se il giorno 21 qualcuno da bordo era ancora in grado di trasmettere. Infine, i due presunti cittadini francesi, Cefariello e Coco sono come presenze fisiche, o meglio ectoplasmi del tutto irrecuperabili, vale a dire che sono semplicemente spariti: uno era partito per Tolone, l’altro per Marsiglia, né al giornalista Vitaliano Pesante è mai riuscito di agganciarli.
A suo tempo, le autorità governative coadiuvate da quelle militari di Italia, Francia e Liberia, stabilirono a tavolino senza uno straccio di indizio, ma esclusivamente con la mera indicazione del vice ammiraglio francese Mejnier, di stanza a Biserta, che l’equipaggio della Hedia era morto in mare tra il 14 e il 19 marzo 1962. Tuttavia, appena sei mesi dopo, si materializzò un imprevisto per chi tendeva a seppellire i fatti nudi e crudi sotto un mare di menzogne, un evento che disintegrò il primo sconclusionato insabbiamento italo-francese. In ogni caso, il 28 novembre del 1962, con la lettera numero 23302, il comandante della Capitaneria di Porto Empedocle, Colonnello Alessandro Savatteri, comunicava significativamente alla mamma del marinaio Filippo Graffeo: «Si prega voler comunicare alla Signora Graffeo che il Ministero della Marina Mercantile non si è mai pronunciato in senso negativo sulla possibilità che componenti l’equipaggio del piroscafo “Hedia” siano ancora in vita. Si prega aggiungerle che il Ministero della Marina Mercantile ha tenuto a precisare che l’Amministrazione marittima italiana non ha potuto né può svolgere alcuna inchiesta in ordine al presunto sinistro della nave predetta, trattandosi di unità non italiana e che le necessarie e doverose indagini circa la presunta presenza di membri dell’equipaggio in territorio algerino sono invece in corso da parte delle nostre Autorità Consolari in Algeria. Si prega altresì far presente alla Signora Graffeo che il Ministero della Marina Mercantile ha nuovamente interessato il ministero degli Affari Esteri a sollecitare le indagini al fine di arrivare presto alla chiarificazione della questione». Qual è stata la sorte di quegli uomini detenuti dalle autorità francesi? Ne ho chiesto conto al presidente della Repubblica François Hollande, mediante una lettera trasmessa a mezzo dell’ambasciatore di Francia in Italia, Catherine Colonna, ma non ho avuto risposta. Più recentemente, a seguito di una comparazione fotografica con numerose immagini dell’uomo in primo piano nello scatto di Howard, ovvero Filippo Graffeo, è emersa una conferma ulteriore: è indubbiamente il marinaio siciliano. In quanto ai presunti sosia spuntati all’epoca improvvisamente dal nulla per confondere le acque e tacitare i parenti delle vittime, ovvero Jean Soler, Pierre Coco e Angelo Cefariello: tutti e tre ancora oggi, secondo i dati ufficiali francesi, risultano dispersi dall’anno 1961. Come potevano, dunque, rilasciare interviste al cronista Vitaliano Pesante nel 1962 o nel ’63? Il secondo depistaggio messo in atto da chi voleva occultare l’indicibile verità, fu imbastito mettendo in giro e alimentando anche sulla carta stampata la voce che i marittimi dell’Hedia si erano arruolati nella Legione Straniera. Impensabile per padri di famiglia, mariti, fidanzati e figli che non desideravano altro che tornare alle loro famiglie, come si evince in maniera umanamente concorde ed unanime, dalla semplice lettura delle lettere indirizzate ai propri cari; come d’altronde assicurano tutte le testimonianze familiari. Il 10 novembre 1966, il console di Orano Luigi Cerbella precisò a Rosa Guirreri, madre di Filippo Graffeo: «Gentile Signora, faccio seguito alla lettera del 25 ottobre scorso e Le comunico che il Comandante francese della locale Base di Mers El-Kebir, dal quale dipendono tutte le truppe francesi qui esistenti, mi ha assicurato che il nome di suo figlio non risulta fra i legionari attualmente presenti in Algeria. Mi sono pertanto rivolto al Comando Generale dei Legionari in Francia per avere precise indicazioni. Non mancherò di segnalargliele non appena mi saranno pervenute». Non giunse informazione di sorta, per la ragione che i marinai italiani non erano stati intruppati nei mercenari d’Oltralpe. Non è tutto, a proposito di stranezze registrate in questi accadimenti. Infatti, il signor Vincenzo Graffeo, ricevette in Sicilia, a Sciacca, una nota datata 1 ottobre 1964 dall’ufficio degli affari marittimi della Repubblica di Liberia, con sede al civico 103 di Park Avenue a New York. La missiva recava la firma del deputy commissioner Albert J. Rudick. E c’era scritto: «Gentile signora e signore, si allega un vostro riconoscimento, datato 26 agosto 1964, insieme con una fotografia in riferimento alla nave HEDIA che andò persa intorno al 14 marzo 1962. Questo ufficio si compiace dei vostri sforzi per quanto riguarda vostro figlio. Comunque, è necessario ottenere informazioni addizionali circa il fotografo. Nello specifico, questo ufficio vorrebbe stabilire una identificazione positiva del fotografo, vale a dire, il suo nome, e il giornale oppure l’agenzia di notizie (con gli indirizzi) per la quale lavorava. Mentre è impossibile garantire una conclusione della faccenda definitiva o positiva, vi assicuriamo che questo ufficio farà tutto quanto nelle sue possibilità». Strano, o meglio pretestuoso, perché il nome e cognome del fotografo Jim Howard era pubblicamente arcinoto, anche ai comuni lettori di carta stampata.
Le onde radio sono invisibili all’occhio umano e si perdono nell’etere, ma possono essere registrate. In base alla versione ufficiale propinata all’opinione pubblica, la Hedia avrebbe cessato le trasmissioni la mattina del 14 marzo con un cablogramma a Venezia. Eppure ancora il 21 marzo la Hedia comunicava a fatica di essere in difficoltà nei pressi di La Galite. Lo attesta un documento del Comando militare inglese di stanza a Malta, redatto il 9 gennaio 1963 (No. Med. 184/26/63). Il testo riepiloga in dettaglio l’effettiva cronologia degli oscuri avvenimenti, poi confusi ad arte e mistificati dalle autorità diplomatiche italiane, ree di aver alterato le traduzioni dei dispacci radio, alterandone volutamente il senso ed il significato. In effetti, il giorno 22 marzo, Radio Malta informò Marisicilia (Palermo) di aver captato da Radio Tunisi alle ore 10,14 del 21 marzo, la notizia che l’“Hedia” si trovava in difficoltà nelle acque di La Galite: «Radio Malta da Malta. Seguente intercettazione da Radio Tunisi 3VX. Al 1949G su 441KCS. Il Capitano di Porto di Tunisi: segnali della nave Liberiana “Hedia” trasmissione interrotta dal 21 marzo alle 10.14 G.M.T. sembra in difficoltà vicino alla Galita. Navi nelle vicinanze confermano il rapporto di Tunisi. 22/3 1940 G.M.T». Il cablogramma di Radio Malta trasmesso alle autorità diplomatiche italiane il 14 dicembre 1962 (L/884-C.101) riporta testualmente: «Alle 20.50 del 22 marzo noi (Radio malta) abbiamo udito Radio Tunisi avvisare tutte le navi che il la nave battente bandiera liberiana “Hedia” ha cessato le trasmissioni alle 10.14 del 21 marzo e si trova in difficoltà nelle vicinanze di La Galite. Questa informazione fu data da Radio Tunisi ad intervalli regolari e potemmo molto facilmente sia ascoltare che essere uditi da Radio Tunisi. Questo messaggio fu raccolto casualmente. Esso è stato segnalato, come accertato, dal Capitano di Porto di Tunisi, e a tutte le navi delle vicinanze fu chiesto di fornire altre informazioni a Radio Tunisi. Noi passammo questo messaggio intercettato alle Autorità Navali di Malta… Radio Malta non fu mai in comunicazione con la “Hedia”». Dunque, le autorità italiane erano puntualmente a conoscenza della grave situazione. Infatti, in un resoconto della Farnesina, è evidenziato: «Si trattava di una nave molto vecchia che trovandosi il 14 marzo all’altezza di La Galite segnalò di dirigersi verso la costa meridionale della Sicilia, essendo il mare di forza 8: fu quello l’ultimo messaggio nave dato che anche i familiari (che erano in contatto radio diretto) non ricevettero più alcuna comunicazione. Però, il giorno 21, Radio Malta informò Marisicilia (Palermo)di aver captato casualmente da radio Tunisi alle ore 10,14 di quello stesso giorno, la notizia che l’ “Hedia” si trovava in difficoltà nelle acque di La Galite; a richiesta dei parenti, Radio Malta confermò poi per iscritto tale fatto, che invece venne smentito da Radio Tunisi. A sua volta la Radio Italiana (RAI) alle 15,30 del 23 marzo informava che l’ “Hedia” aveva ripreso la navigazione con i propri mezzi e stava risalendo l’Adriatico. Non ha dato risultato positivo l’indagine svolta presso la RAI per accertare a fondatezza delle notizie diramate, peraltro in forma dubitativa, con il comunicato del 23 marzo». In una lettera spedita il 30 agosto 1962 alla famiglia Graffeo in Sicilia, il signor Cesca riferiva puntualmente: «il 23 marzo vengo a conoscenza della trasmissione di Radio Tunisi indicante che la nave Hedia sembra trovarsi in difficoltà nelle vicinanze dell’Isola La Galite e l’avvistamento di razzi luminosi». Contestualmente un alto funzionario della Marina Mercantile, in una conversazione telefonica con Romeo Cesca, assicurava che l’“Hedia” era giunta nell’Adriatico per tornare a Venezia, e che infine, a tal proposito, vi era addirittura un telegramma indirizzato alla consorte del comandante. L’ Hedia non lanciò una chiamata di soccorso poiché aveva l’apparato radio in panne ed il timone in avaria, ma non stava affondando. In una significativa missiva del radiotelegrafista Claudio Cesca, alla sorella Lidia, scritta a Burriana il 5 marzo 1962, menziona proprio questo problema: «… Io spero d’essere a Venezia verso il 18/19/20 marzo però come ti dicevo mi sarà molto difficile venire a casa in quanto dovrà parlare personalmente con il tecnico della radio. Comunque una scappata spero mi sarà possibile farla. Poi per maggio-giugno ho tutte le intenzioni di lasciare questa nave e di trovarmi qualcosa di più sicuro ed anche più redditizio anche a costo di dover sopportare dei viaggi lunghissimi». L’ammiraglio Paolo Pagnotella, sulla rivista Marinai d’Italia (gennaio-febbraio 2014): ha espresso il suo convincimento in qualità di persona oltremodo qualificata, in un articolo intitolato «Che fine ha fatto la motonave HEDIA: Che cosa successe a bordo della nave, si chiede l’esperto marinaio, per non trovare il tempo di lanciare un “mayday”, quale evento così improvviso – e non certo una tempesta annunciata e affrontata coscientemente – colse di sorpresa l’equipaggio? Oggi sono passati più di cinquant’anni da quei giorni di attesa, sofferenza, misteri, false piste e silenzi: l’Italia è in ottime relazioni diplomatiche con la Tunisia e l’Algeria, la Francia è con noi nell’Unione Europea, i politici e le politiche di quel tempo sono superati e appartengono alla storia. Perché non tentare di sapere la verità qualunque essa sia?».
Pira...

Table of contents

  1. Caso aperto
  2. Cronache sepolte
  3. Mattei e l’Algeria
  4. Addio mistero
  5. Fonti
  6. Bibliografia
  7. Appendice documentale e fotografica