1. Partiamo dal substrato culturale comune dell’“Europa” in generale
L’“Europa” è dal punto di vista culturale e non solo geo-grafico il continente originario del mondo moderno e di una importante parte della storia della terra: l’“antico continente” un tempo era il mondo intero e da qui è iniziato tutto; le altre nazioni gli altri continenti, le altre lingue, le altre religioni. Noi siamo italiani e al tempo stesso europei; così come tutti gli altri cittadini degli stati europei. Sicché, in Europa sono presenti tanti altri Paesi, tante altre nazioni, altri stati, sovrani ed indipendenti, che, nonostante le diversità storiche, geografiche, culturali, linguistiche, religiose, presentano una radice, un denominatore comune, un qualcosa di “geneticamente comunitario” che non allontana, non divide, ma unisce.
Mi riferisco alle radici comuni dell’Europa, alla cultura europea che ci accomuna, pur nelle diversità, fondandosi su valori, principi, interessi e diritti universali. Penso all’eredità culturale comune: la storia, la filosofia, la musica, l’arte sono, in Europa, l’esempio dei valori comuni nei quali si è sviluppata ed è cresciuta l’Europa di oggi. Ed il mondo intero. Penso a Beethoven, Mozart, Verdi, Chopin ecc.; o ancora a Van Gogh, Michelangelo, Rembrant, Goya, Rubens ecc.; oppure Kant, Hegel, San Tommaso d’Aquino, Cartesio ecc.
A questo humus comune europeo fa riscontro un dato apparentemente contrastante che attiene alla mancanza di una lingua comune. Non pochi tentativi sono stati fatti, ancor prima della nascita dell’Unione europea, ma non è stato facile proporre una sorta di lingua comune (“esperanto”) che eliminasse ovvero affiancasse le lingue nazionali. Il plurilinguismo “europeo”, tuttavia, non incide più di tanto, a mio avviso, sulle radici comuni dei Popoli europei e sullo “stare insieme”. Anzi ne esalta le diversità. Fermo restando la annosa ed inevitabile problematica delle traduzioni.
Anche secondo Fagan, infatti, la lingua unica non è un pre-requisito vincolante, in Cina si contano più di 50 etnie per più di venti lingue; in India più di 1600 dialetti discendono da più di venti lingue ufficialmente ammesse a derivazione di quattro principali e distinti (cioè non reciprocamente intellegibili) ceppi linguistici. L’unità linguistica spesso non è un punto di partenza nella formazione dei popoli, ma un punto d’arrivo, la lingua centrale poi non è detto sia quella locale.
Infine le lingue, nel tempo, cambiano assumono da altre lingue; si plasmano le une con le altre.
Così come parimenti geografia, genetica, etnia, lingua, appaiono come elementi importanti, ma non essenziali, almeno nella fase a cui siamo giunti, per definire un popolo e una nazione. Ecco perché, allo stato attuale dell’integrazione europea, dobbiamo ancora parlare di “popoli” europei e non di un solo “popolo” europeo.
L’Inno europeo. La melodia utilizzata per rappresentare l’Unione europea è tratta dalla Nona sinfonia, composta nel 1823 da Ludwig van Beethoven, che ha messo in musica l’“Inno alla gioia”, scritto da Friedrich von Schiller nel 1785. L’inno simbolizza non solo l’Unione europea, ma anche l’Europa in generale. L’Inno alla gioia esprime la visione idealistica di Schiller sullo sviluppo di un legame di fratellanza fra gli uomini, visione condivisa da Beethoven. Nel 1972 il Consiglio d’Europa (che è un’altra organizzazione internazionale da non confondere con l’Unione europea) ha adottato il tema dell’Inno alla gioia di Beethoven come proprio inno. Nel 1985 è stato adottato dai capi di Stato e di governo dei paesi membri come inno ufficiale anche dell’Unione europea. L’inno è privo di testo ed è costituito solo dalla musica. Nel linguaggio universale della musica, questo inno esprime gli ideali di libertà, pace e solidarietà perseguiti dall’Europa. L’inno europeo non intende sostituire gli inni nazionali degli stati membri, ma piuttosto celebrare i valori che essi condividono. L’inno viene eseguito nelle cerimonie ufficiali che vedono la partecipazione dell’Unione europea e in generale a tutti i tipi di eventi a carattere europeo (Fonte: https://europa.eu/european-union/about-eu/symbols/anthem_it).
E che dire del diritto? L’esperienza giuridica europea, tralasciando le basi del diritto romano, che pure grande parte ha avuto nella codificazione del diritto continentale, e rifacendoci al medioevo ed all’età contemporanea, ha portato allo ius commune, con particolare riguardo alle realizzazioni ottocentesche del nuovo ordine giuridico nell’Europa continentale (in particolare in Francia, Austria, Germania, Italia).
Insomma, in Europa è presente un substrato di cultura (non solo giuridica) assolutamente comune.
Così recita il Preambolo del Trattato sull’Unione europea (UE): “(Gli Stati) ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto” (…).
2. Parliamo di Unione europea?
Da qui parte la nostra conversazione sull’ ”Europa” o, per puntualizzare meglio, e d’ora in avanti, sull’Unione europea (UE): la “casa comune” che a tutt’oggi riunisce dal 1951 la gran parte degli Stati europei e, soprattutto, i suoi Popoli.
Motto dell’Unione europea: “Unita nella diversità”
Quel denominatore comune, quel qualcosa di “intrinsecamente europeo” che non allontana, non divide, ma unisce, di cui si parlava in precedenza, quel quid communis ha ispirato e prodotto negli anni ’50 le Comunità europee prima e successivamente l’Unione europea.
Un po’ di storia. Occorre ricordare che il processo d’integrazione europea è stato governato per molti anni da tre «Comunità europee» originarie ed indipendenti. Va ricordata l’istituzione della prima Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) grazie al Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 firmato e ratificato dai Sei Stati fondatori – Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. La CECA fa seguito alla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, data oggi ricordata come fondativa dell’integrazione europea (c.c. “Festa dell’Europa”). Ha inizio così il sistema sovranazionale che caratterizzerà l’intero percorso, giacché il nuovo ente nasce come «Comunità» e non come mera «organizzazione» o unione di Stati, bensì come aggregato associativo aperto con possibilità di espansione e di integrazione sempre più stretta. La CECA rappresenta il primo esempio sostanziale di rinuncia e cessione di sovranità da parte degli Stati membri. Successivamente, Il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) firmato a Roma il 25 marzo 1957 rappresenta la naturale estensione del sistema sovranazionale a tutto il mercato europeo, trascendendo quindi l’esclusivo mercato del carbone e dell’acciaio. La volontà dei Sei Stati membri di costituire una Comunità economica europea ampliando le competenze comuni, è stata espressa dai Ministri degli Affari Esteri della CECA nella Conferenza di Messina del 1° giugno 1955, dalla quale scaturisce anche la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) più nota come «Euratom». Quest’ultima è l’unica Comunità rimasta in vigore dopo l’ultima riforma del 2009 con il Trattato di Lisbona.