Vertigine
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Vertigine

About this book

Michael Gordon conduce da sempre una vita trasandata. Emma fa la cameriera in un bar 'dal lato sfortunato della strada'.
Una mattina, una casualità, e i loro sguardi si attirano come poli opposti di una stessa calamita. Roma, vent'anni, e lo strapiombo vertiginoso della vita. Ma questa non è solo una storia d'amore, è una storia di cambiamenti, una storia di ricordi, un racconto di vite intrecciate, che, tra pagine d'eros e noir, si chiede se il passato sia semplicemente qualcosa che abbiamo, o piuttosto qualcosa che abbiamo perduto.

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Information

1.

 
 
 
 
 
 
 
Michael Elsewhere, quando si svegliò sull’ennesimo letto sconosciuto alle sei di mattina di un giorno qualsiasi di novembre, pensò che fosse sin troppo tardi e che ancora una volta doveva andarsene.
Certo, quei deliziosi riccioli biondi che gli dormivano affianco, vagamente presenti anche nella sua memoria a breve termine per la serata appena trascorsa, avrebbero potuto facilmente fargli cambiare idea, se solo lui si fosse svegliato un’ora e mezza più tardi e se tra le sue voglie nascoste ci fosse stata anche quella di iniziare a fare una vita normale, ma purtroppo entrambi i presupposti facevano parte della categoria “irrealizzabile”.
Slip, pantaloni, camicia, felpa, zaino e via, di nuovo fuori, di nuovo “il mondo”.
Andare, partire, cambiare, ma mai tornare, erano queste le parole d’ordine, perché chi lascia il luogo in cui vive non dovrebbe mai tornare, si diceva Michael, non dovrebbe mai tornare.
Altro presupposto fondamentale per la felicità di Elsewhere era ovviamente gestire in maniera impeccabile il tempo, non come farebbe un arido economista, tutto preso dalla frenesia per il suo lavoro, ma come farebbe un “ uomo- che- non- vuole-restare ” …
Un secondo in più al momento sbagliato e nel posto sbagliato può esserti fatale, per cui, pensava Elsewhere, meglio non trattenersi troppo da nessuna parte, meglio andare via, sempre, non permettere ai luoghi di entrarti dentro, di trattenerti, perché quando una cosa ti entra dentro … Oh, beh … Se una cosa ti entra dentro, è fatta, non puoi più tornare indietro, si lega alle tue cellule, t’inquina il sangue, si fonde irrimediabilmente con il tuo essere e tu stai lì, a chiederti perché diavolo sei rimasto così a lungo, perché non te ne sei andato prima che potesse inquinarti il sangue, prima che ti fosse del tutto indispensabile, prima di non poterne fare a meno … E poi … E poi ... Perché non le sei entrato dentro anche tu? Perché non ti sei legato alle sue cellule, perché sei uscito subito dal suo essere, perché … E su cosa si fonda, poi, l’affinità delle anime, dei luoghi, delle persone ?
Allora, pensava Elsewhere, meglio andare, meglio andare sempre e mai, mai restare.
 

2.

 
 
 
 
Elsewhere sorrideva mentre camminava per strada, aveva già dimenticato la sua notte di passione, una delle tante.
Gliel’avessero detto quando era partito per Mumbai che sarebbe finita così, non ci avrebbe creduto.
Gliel’avessero detto quando tutto era iniziato, non ci avrebbe creduto.
Adesso, adesso era finita così. E quello che conta in una buona storia è il finale.
Mumbai. Come c’era finito a Mumbai? Sapeva perché c’era andato. Andare via era stato per lui un atto d’amore mancato. Mancato, certo, perché la ragazza che amava era morta. Era stata una cometa, che gli aveva squarciato il cuore e poi era andata via, e tanti saluti!
Non c’era stato tempo di dire addio, di chiedere perché, di insultarsi, di arrabbiarsi, di amarsi, di capire. Emma era morta per quella strana ironia del destino, che non fa ridere nessuno se non il demonio.
Come c’era finito a Mumbai? Era stata la speranza di trattenere in vita un ricordo la causa della follia senza fine che lo aveva condotto dall’altra parte del mondo, imprigionandolo in un buco nero dal quale nessuno sapeva quando sarebbe uscito. Emma era morta, e che fine avrebbero fatto adesso i suoi sogni? Michael Elsewhere li usò per la sua personale caccia allo spettro, per trattenere in vita una vita che non esisteva più. Era una continua seduta spiritica ed era tutta dentro la sua testa. Perché? Aveva amato. Michael aveva amato e la quantità del suo amore era simile a quella dell’acqua strabordante dalla più grande delle anfore al mondo, che si era rotta per la pressione dell’acqua, e tutto quello che la sua anima ci aveva guadagnato era stata l’apatia d’essere.
Aveva fatto della sua anima un mosaico composto da pezzi provenienti da ogni parte del mondo, incastrati in maniera ineccepibile l’uno con l’altro, la sede perfetta dei contrari dell’universo, l’equilibrio degli opposti, una strategia per dimenticare, per arricchirsi di cose nuove …
In realtà si era svuotato. Michael adesso era vuoto,e la sua anima era niente, ma un niente che sapeva di tutto.
 

3.

Aveva camminato per giorni e giorni, era assetato, affamato, ma non gli interessava.
Perché faceva tutto questo? Voleva dimostrarle qualcosa, voleva dimostrarle che gli importava. Tutte le notti, che fosse sotto un ponte, o in una stanza d’albergo, che fosse solo o in compagnia, sentiva la voce di Emma. Lo chiamava, lo rimproverava, lo implorava di tornare indietro. Ormai Michael era finito nell’oblio, un oscuro tunnel in cui era entrato di proposito, era impazzito di proposito, perché solo i pazzi parlano con i fantasmi. Lo trovai che stava vagabondando all’ingresso del mio tempio, poco fuori Mumbai; aveva la lingua asciutta, e quando mi vide si gettò per terra, nella polvere, e fissava il cielo con un mezzo sorriso. “E’ ancora giorno” mi disse “Quando arriverà la notte starò meglio”.
Avevamo pressappoco la stessa età, io però ero un monaco, lui un vagabondo. Lo guardai in viso e la prima cosa che vidi fu la sofferenza; era un dolore profondo, che esulava dalla mancanza d’acqua, di cibo, dalla stanchezza …
Le sue parole m’incuriosirono ed ebbi voglia di conoscere la sua storia.
“Amico, vieni dentro al tempio, potrai ristorarti.” gli dissi
Il ragazzo continuava a sorridere.
“Non voglio ristorarmi. Sono pazzo! Lasciami in pace”
“Lo vedo che sei pazzo, e non ho nulla in contrario, ma è mio dovere aiutarti”
“Dovere? Ma che cazzo dici?”
“Dico il cazzo che mi pare!”
Rise.
“Mi chiamo Amal” dissi, e gli porsi la mano.
Questa dimostrazione di confidenza gli fece credere che poteva fidarsi, che ero solo un ragazzo, e che in fondo una mano gli faceva comodo.
“Michael … Elsewhere” rispose
Lo aiutai ad alzarsi e insieme entrammo nel tempio. Le nostre vite s’incrociarono per la prima volta quella mattina.
MOMENTI D’ESSERE
1.
La cosa che Michael amava fare di più, quando ancora non aveva bisogno di uno psicologo, era, a parte il sesso, giocare a freccette.
Uno,due , tre e zac… centro! Era più o meno come nella vita, faceva sempre centro. Il merito però non era suo, ma della dea bendata. Che birbante, in mezzo a tutti i morti di fame, l’aveva fatto nascere dalla “parte fortunata della strada”. Aveva vent’anni e un lavoro di tutto rispetto, un lavoro finto, perché in effetti tra le sue mansioni più importanti, a parte riscaldare la sedia, c’era interloquire con le segretarie e organizzare serate di gruppo. Ufficialmente, però, lavorava nella sede amministrativa della famosa casa editrice di suo padre, il dott. Gordon.
Papà- boss, come lo chiamava lui, aveva lasciato sua madre quando Michael aveva dieci anni e aveva deciso di iniziare una vita da scapolo d’oro, mentre la madre aveva rimediato un rampollo francese e una mattina era salita su un volo di sola andata per Parigi. A Natale, però, di solito mandava una cartolina … Che carina!
Un esempio di tutto rispetto per il figlio, che altro non poteva diventare se non una pessima copia del padre. La parte più divertente erano le sue scorribande notturne, insieme a quei quattro amici che si teneva stretto; andava sempre in giro per i pubs di Roma e non tornava a casa fin quando non accalappiava qualche amore notturno.
Amore? Qualcuno potrebbe anche chiedersi se si è realmente capaci di parlare d’amore a vent’anni, o forse si tratta solo di una sorta di attrazione caduca che i ragazzi scambiano per “amore”.
Comunque sia, a Michael Gordon non importava un fico secco d’amare qualcuno, a lui piaceva l’alcool, perché quando si beve non si riesce più a pensare, non si ha tempo nemmeno per considerare il fatto di essere soli, il fatto di sentirsi come un equilibrista che cammina su un filo sospeso sul vuoto e soffre di vertigini, e siccome soffre di vertigini avverte quel tipico senso di vuoto che si prova quando si è fermi sopra un precipizio, e lo stomaco è sottosopra perché manca il terreno sotto i piedi …
Ogni volta che passava una sbronza e Michael si ritrovava su un letto diverso avvertiva proprio quel senso di vuoto. Ogni carezza che dava era un pretesto per rubare un pezzo d’anima e riempirsene, ma non funzionava mai, ogni volta era peggio di prima. Così, quando veniva la sera provava di nuovo con l’alcool.
Il giorno del suo ventesimo compleanno aveva detto a suo padre che voleva andare a vivere da solo, per responsabilizzarsi, disse, perché aveva bisogno di vedere se era in grado di badare a se stesso, così si era fatto comprare un appartamento lontano dal centro, in periferia, perché voleva essere il più lontano possibile da lui, doveva riuscire a cavarsela da solo.
Qual era invece la verità? La verità era che lo disgustava la figura del padre, lo disgustava vederlo ogni giorno con una donna diversa, lo disgustava il suo atteggiamento, le sue parole, il suo essere, tutto questo lo disgustava perché sapeva che era uguale a lui.
Michael Gordon sarebbe stato un caso interessante per il dottor Freud: Michael era esattamente il ritratto della persona che più odiava al mondo.
La parte più interessante della sua storia, però, a mio parere, fu quando si trasferì in periferia, quando abbandonò tutto e trovò un pretesto per impazzire.
2.
Il giorno in cui Michael conobbe Emma la routine giornaliera era stata già infranta un paio di volte.
La sveglia era suonata in ritardo e questo condusse Gordon a disertare il lavoro sia la mattina sia il pomeriggio.
Papà- boss al massimo avrebbe reagito con qualche lagna in più, ma poco importava.
Cominciò a camminare compiaciuto per strada, in cerca di qualche posto carino in cui poter fare colazione.
Quando si voltò dall’altra parte della strada, quella “sfortunata”, Emma serviva ai tavoli in un delizioso bar di centro.
Michael sorrise; quel bel visino sarebbe stato un incentivo in più per sedersi e farsi due risate.
“Ehi, mi porteresti un menù?” chiese alla ragazza, una volta seduto.
“Certo” rispose Emma
La ragazza gli consegnò il menù e poi tornò sorridendo dentro il locale.
C’era un sole molto piacevole quella mattina, e questo contribuiva al buon umore di Elsewhere, insieme al viso della giovane e la “mattinata libera”.
Emma consegnò due caffè e due mignon al tavolino affianco a quello di Michael; lui la chiamò schiarendosi la voce.
“Vorrei un caffè e un croissant, grazie.” disse, porgendole il menu e sorridendo gentilmente.
Emma annuì e presto tornò con l’ordinazione.
“Mi piacerebbe offrirti un caffè” le disse appena gli portò la colazione.
La ragazza lo guardò stranito: “Non posso, sto lavorando, mi dispiace” rispose.
Il rifiuto e l’indifferenza con cui Emma si allontanò sconvolsero Michael.
Era stato respinto. La cosa lo rese talmente perplesso da non riuscire a replicare alla ris...

Table of contents

  1. ...
  2. 1.
  3. 2.
  4. 3.
  5. 4.
  6. 5.
  7. 6.
  8. 7.
  9. 8.
  10. 9.
  11. 10.
  12. 11.
  13. 12.
  14. 13.
  15. 14.
  16. 15.
  17. 16.
  18. 17.
  19. 18.
  20. 19.
  21. 20.
  22. 21.
  23. 22.
  24. 23.
  25. 24.
  26. 25.
  27. 26.
  28. AMAL
  29. 1.
  30. 2.
  31. 3.
  32. 4.
  33. 5.
  34. 6.
  35. 7.
  36. 8.
  37. 9.
  38. 10.
  39. 11.
  40. 12.
  41. 13.
  42. 14.
  43. 15.
  44. 16.
  45. 17.
  46. 18.
  47. 19.
  48. 20.
  49. VERTIGINE
  50. 1.
  51. 2.
  52. 3.
  53. 4.
  54. 5.
  55. 6.
  56. 7.
  57. EPILOGO.
  58. Indice