CAPITOLO 1
Jessica era seduta in prima fila. Indossava un vestitino bianco decorato con fiori verdi, i suoi capelli rossi erano raccolti in una coda sostenuta da un nastrino rosa.
Gli occhi neri del chierichetto Giuseppe erano fissi su quel bel volto dai lineamenti delicati, ma ogni volta che Jessica si voltava dalla sua parte, lui, vinto dalla timidezza, faceva finta di guardare altrove.
Ma quella domenica, quando ormai mancava poco alla fine della messa, finalmente accadde: il primo sguardo corrisposto!
Tutte le persone ricordano perfettamente il loro primo bacio, o la prima volta che hanno fatto l’amore, ma quasi nessuno ricorda il primo sguardo corrisposto.
Giuseppe invece non avrebbe mai dimenticato l'emozione provata dal primo sguardo con Jessica: rimase incantato a guardare quegli occhi chiari e intensi, la sua anima si perse in quelle iridi striate di blu, si sentiva in preda a una malia, il suo cuore batteva forte, la sua anima protendeva verso di lei.
Nel frattempo, il prete, un uomo sulla cinquantina dalla faccia d’avorio e dai capelli d’argento, continuava la sua funzione: «Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”».
Uno strano silenzio cadde sulla chiesa, rotto solo da sporadici colpi di tosse e dal pianto di un bambino in fasce. A un tratto, Giuseppe si sentì preso a gomitate dai suoi due colleghi chierichetti che gli indicavano preoccupati l’altare.
Il ragazzo si voltò di malavoglia, staccandosi a fatica dagli occhi di Jessica, e vide l'alta figura del prete che gesticolava scomposto.
Giuseppe lo guardò confuso, il sacerdote perse le staffe e, lasciando da parte i suoi modi solitamente impeccabili, con un mezzo ghigno accompagnato da un aspro tono, gli intimò a gran voce: «La navicella!! Portami la navicella con l’incenso!! Sbrigati, stupido di un moccioso!!»
In un attimo Giuseppe si rese conto del pasticcio, prese la navicella e con passo celere si avviò verso l’altare, ma inciampò in un tappetino e fini col viso per terra, spargendo incenso per tutto il presbiterio.
Una risata generale scoppiò tra i presenti, tutti ridevano di lui, anche Jessica.
Il prete era furente, il suo viso si alterò dalla rabbia: «Vi prego, vi prego, calmatevi! Cos’è questo baccano? Non siamo mica in un teatro! Portate rispetto, non dimenticate che questa è la casa del Signore! Ricordatevi che il riso abbonda sulla bocca degli stolti!!»
Giuseppe si alzò e dolorante si rimise al suo posto, col capo chino, non alzando gli occhi fino alla fine della funzione.
Era il 2 agosto del 1992, un largo sole, rosso come una palla di fuoco incandescente, si pavoneggiò all’orizzonte, prima di alzarsi veloce sopra le scoscese montagne dell’Aspromonte, spargendo luce al giorno e illuminando Mosorrofa, una piccola circoscrizione di Reggio Calabria, che visto dall'alto, sembrava un serpente adagiato sulla collina.
Era un paese caratteristico, formato da alte palazzine dalle facciate variopinte, piccoli negozi, casette abbarbicate a strade sterrate, campi fertili e valli fiorite.
Giuseppe prima di tornare a casa, come ogni domenica d'estate, si fermò al bar “Da Franco” per comprare i gelati. Era il bar più grande del paese, aveva un pergolato con l'edera e i tavolini affacciati sulla strada.
Anche se aveva solo dieci anni, Giuseppe era un bambino dotato di una grande intelligenza che sfiorava la genialità. Amava la psicologia ed era un grande conoscitore delle persone. Non faceva altro che osservare le loro consuetudini, le loro ossessioni, i loro comportamenti. Aveva un fisico minuto, i capelli scuri erano crespi e arruffati, un accenno di acne rendeva spigoloso il suo viso, era poco curato nel vestire. Ma bastava parlare qualche minuto con lui per rimanerne affascinato. Esprimeva, senza ostentare, cultura, talento e gentilezza.
Davanti al bar, seduti ai tavolini sulla strada, vide Bartolo e Michele che giocavano a briscola e Aldo che leggeva la Gazzetta dello Sport. Erano degli uomini di trent’anni che vivevano ancora con i genitori. Avevano le mani senza calli e l’espressione distesa e spensierata tipica di quelli che invece di lavorare e farsi una famiglia, preferivano bighellonare con l’unico scopo di evitare ogni responsabilità; eterni Peter Pan che anziché aggredire la vita, la subivano, anziché cercare di migliorare ed evolversi, trascorrevano tutto il loro tempo immersi nell’ozio e nella mediocrità.
Giuseppe si fermò un attimo a guardare la loro partita.
Bartolo, un uomo dalla corporatura grande e proporzionata, ma dal viso minuto e smunto, tirò il due di coppe.
Giuseppe notò che Michele spostò la sigaretta, ormai ridotta a un mozzicone, dall'angolo destro a quello sinistro della bocca.
«Ha l’asso di coppe!» pensò Giuseppe.
Michele aveva un’aria da duro, aumentata dai suoi jeans attillati, dalle borchie e dalla camicia aperta sul petto. Si alzò e con forza scaglio l’asso di coppe sul tavolino: «Hai perso, mi devi pagare la consumazione!!!»
Bartolo cominciò a bestemmiare e a imprecare contro la sfortuna.
Giuseppe si avvicinò ad Aldo “l’Archimede” e gli chiese:
«Chi si è comprata l’Inter?»
Aldo, che portava una camicia di jeans abbottonata fino al colletto e occhialini tondi da intellettuale, senza distogliere gli occhi dalla sua lettura preferita gli disse, sottolineando ogni nome: «Pancev, Sammer, Shalimov e Totò Schillaci!!!»
Giuseppe esclamò con entusiasmo:
«Quest’anno lo vinciamo sicuro lo scudetto! Pancev l'anno scorso ha vinto la scarpa d'oro.»
Aldo chiuse il giornale rosa e rimase con lo sguardo trasognato e un sorriso ebete sulle labbra, senza accorgersi nemmeno che il ragazzo l’aveva salutato già da un pezzo.
Quando Giuseppe entrò nel cortile di casa, un forte odore di sugo pervase le sue narici: «Adoro la domenica e adoro i maccheroni col ragù di salsiccia!» pensò con l'acquolina alla bocca.
La signora Margherita Baldini accolse suo figlio con un largo abbraccio: «Va’ a lavarti le mani, è pronto in tavola!»
Mentre inzuppava una fetta di pane di grano nel sugo rimasto dalla sua seconda porzione di pasta, Giuseppe raccontò alla madre della sua esilarante caduta in chiesa.
Margherita rise di gusto, mostrando una solarità spesso sopita.
Il ragazzo chiese con tono insicuro, quasi si volesse scusare della domanda:
«Ci vieni con me in chiesa domenica prossima?»
Lo sguardo della donna si fece severo, le labbra si chiusero in una smorfia: «Ho da fare, lo sai! Devo dar da mangiare agli animali, abbeverare le piante di...»
«Puoi farlo di pomeriggio, ti aiuterò io!»
«Ho detto no!» disse Margherita, con una forte alterazione della voce.
Giuseppe si morse il labbro per non piangere. «Va bene mamma, come vuoi.» Finì il suo bicchiere di acqua e si alzò. «Vado in terrazza a leggere.»
La donna, rimasta sola, si appoggiò allo schienale della sedia con espressione triste, esausta.
Era trascorso ormai un anno dall'ultima volta che aveva messo piede in una chiesa e quel giorno, subito dopo il funerale di suo marito, promise a se stessa che non ci sarebbe mai più entrata.
Credeva ancora in Dio, ma non riusciva ad accettare quello che le aveva fatto.
Prima di rimanere vedova era una donna ottimista e spensierata. Riusciva a vedere la bellezza e la felicità anche nelle piccole cose. Era molto bella , aveva lunghi e morbidi capelli neri che le scendevano fino alle spalle, gli occhi scuri color notte riuscivano a irradiare luce a ogni sguardo. Aveva due fossette sulle guance che ingentilivano i fini lineamenti del volto. Indossava vestiti eleganti che lasciavano intravedere le sue generose forme.
Ma, dopo l'incidente, il colore dei suoi sguardi sbiadì, i suoi capelli persero lucentezza, smise di andare dal parrucchiere e dall'estetista, cominciò a indossare solo abiti lunghi e scuri che coprivano ogni lembo di pelle.
Era sempre stata una cristiana praticante, ma ormai la sua fede aveva vacillato. Non le interessava più niente, non aspirava a nient'altro che a far trascorrere i giorni. Le sue emozioni si nascondevano e non crescevano mai. Se vedeva qualcosa di bello, distoglieva lo sguardo. I suoi pensieri erano scuri, se un pensiero piacevole si accendeva nella sua mente lei lo scacciava subito via. Come tutte le donne che hanno perso l'amore non desiderava più nulla , non andava più al mare, né al cinema, si sentiva in colpa a fare qualsiasi cosa le potesse procurare piacere, persino sorridere.
CAPITOLO 2
La maggior parte dei giorni della nostra vita scivolano via senza lasciare traccia, trascorrono senza quasi accorgercene, così simili gli uni agli altri, spesso banali. Ma poi ci sono quei pochissimi giorni indimenticabili, speciali, più unici che rari, come quel giorno in cui per la prima volta vedesti la neve scendere dal cielo, ricordi quanto era morbida? Come quel giorno in cui imparasti a nuotare senza salvagente né braccioli, ricordi come ti sentivi grande? Come quel giorno in cui tuo figlio appena nato si aggrappò al tuo indice e lo strinse con tutta la forza della sua manina, ricordi come ti batteva forte il cuore?
Il 31 dicembre 2012 per Giuseppe e Jessica fu uno di quei rari giorni indimenticabili.
La sfavillante New Year's Ball scendeva lentamente dall'asta posta alla sommità dell’edificio One Times Square.
Mancava un minuto alla mezzanotte e ogni cosa brillava in quella magica serata di Capodanno, era un tripudio di luci, colori, suoni e speranze.
Giuseppe si voltò verso Jessica che, nonostante fosse intabarrata in cappotto e sciarpa per difendersi dal rigido inverno di New York, riusciva ugualmente a irradiare bellezza: i capelli rossi, lisci e lunghi le carezzavano le spalle e davano un'espressione virginia al suo volto fresco e delicato, animato da un sorriso puro e da due penetranti occhi azzurri.
Mentre le centinaia di migliaia di persone che affollavano Times Square osservavano rapite e frenetiche il conto alla rovescia che campeggiava sul megaschermo, Giuseppe aveva occhi solo per la sua fidanzata.
Fece un profondo respiro, tirò fuori dalla tasca interna del suo giaccone un anello, s’inginocchiò e le sussurrò con voce flebile e tremula:
«Vuoi sposarmi?»
L'urlo dalla folla scandiva a gran voce i secondi che mancavano all'inizio dell'anno.
SEI...CINQUE...QUATTRO...
Jessica non era una donna superstiziosa, non credeva né al fato né alla fortuna, per lei il destino era il risultato delle sue decisioni e azioni. E adesso si trovava di fronte a una delle scelte più difficili della sua vita, così, pur essendo sicura della sua risposta, si prese ancora qualche secondo per un'ultima riflessione.
L'attesa innervosì Giuseppe, il suo viso s'infiammò, una piccola ciocca di capelli neri si sciolse e cadde sulle sopracciglia scure, le mani incominciarono a tremare, tanto che l'anello volteggiava in una buffa danza.
TRE...DUE...UNO…
Un unico immenso boato, scaturito all'unisono dalla marea di persone ubriaca di gioia, si levò nell'aria, accogliendo l’avvento del nuovo anno.
Come da tradizione, una marea di coriandoli colorati coprì il cielo di Time Square, dipingendo di arcobaleno la notte. Scesero come pioggia sulla folla in festa. Sopra ognuno di questi piccoli pezzetti di carta c'erano annotati i sogni, le speranze e i desideri per l'anno 2013 di tutte quelle persone che nei giorni precedenti avevano lasciato un messaggio sul Wishing Wall.
“Chissà quanti di quei desideri si realizzeranno e quanti invece resteranno solo dei sogni” pensò Jessica con una punta di malinconia. Poi si rivolse al suo fidanzato, ruotò i grandi occhi color mare, sbatté le lunga ciglia scure e scandì lentamente, accompagnando la voce con un cenno della testa:
«Sì! Ti voglio sposare!»
Giuseppe le infilò l'anello al dito, le cinse la vita e la baciò intensamente.
CAPITOLO 3
«Mamma voglio tornare a casa. Voglio tornare a New York.»
«Non torneremo mai più in America, dimenticala! Sbrigati a prepararti, altrimenti farai tardi al tuo primo giorno di scuola.»
Il vicolo sul quale dava la finestra della cucina era vivamente rischiarato da lamine di luce solare, ovunque i cardellini spargevano trilli sonori, sciami di rondini volavano alto, compiendo evoluzioni e acrobazie in un cielo azzurro pallido.
Nicoletta Colasanto non sopportava la bellezza della natura, chiuse le tendine e accese la televisione.
Fin da quando era appena una ragazzina quattordicenne, Nicoletta era considerata la ragazza più bella del paese: aveva due occhi pervinca che ammaliavano chiunque li guardasse, il suo viso dai lineamenti delicati era incorniciato in una cascata di capelli color oro, le labbra sensuali sembravano disegnate.
Nicoletta sentiva stretta la vita monotona di paese, così appena compiuti diciotto anni, prima ancora di terminare la scuola superiore, partì per gli Stati Uniti d’America, riempiendo la valigia di sogni.
Diciotto anni dopo, però, era ritornata a...