La straordinaria vita di Tell Jordan
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La straordinaria vita di Tell Jordan

About this book

Un treno è in arrivo alla stazione di Louisville, Tell e Hank devono raggiungerlo prima che lo facciano i loro inseguitori. Su quel treno viaggia il passato di Tell Jordan, che, con una lettera proveniente da New York, ha sconvolto la tranquillità di Bloomfield, piccola cittadina nel sud del Kentucky. Hank racconta in prima persona l'ultima avventura in cui Tell Jordan lo ha coinvolto, una corsa gambe in spalla sulle strade meno battute del Kentucky, durante la quale vengono a galla tutti i segreti di un'amicizia nata nel segno del mistero e segnata da un amore ucciso sul nascere. Tell Jordan è con le spalle al muro, non può più evitare di fare i conti con dei trascorsi che ha tentato di dimenticare rifugiandosi a Bloomfield. Hank racconta di come lo ha aiutato ad affrontare i fantasmi del suo passato, in una trama che corre al ritmo di blues, profuma di grano ed è costellata di personaggi e situazioni che dialogano con l'assurdo.
«Ho conosciuto un tizio, giù nel sud del Kentucky, si chiamava Tell Jordan. Una pioggia scrosciante bagnava lo stato da diversi tramonti senza alcuna tregua, da allora niente è cambiato poi tanto, malgrado oggi tutto sembri diverso. Conoscere Tell Jordan è stata una vera fortuna, la più grande di tutta la mia vita.»

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Information

1. Bloomfield

«Sono fra i pochi che accettano la vera natura dell’uomo. Il mondo si riempie la bocca di belle parole, ma tutti siamo pronti a sacrificare il più alto dei valori, siamo pronti ad uccidere, pur di giungere al nostro obiettivo. Tu stesso avresti venduto l’anima di tua madre pur di pubblicare quel ridicolo romanzo. Non ti biasimo, il tuo problema è che sei sempre stato troppo vigliacco per ammetterlo, troppo attento ad essere una persona per bene, piuttosto che essere onesto fino in fondo.»
Queste parole hanno riecheggiato nella mia testa per molto tempo, ma perché le capiate è necessario che io vi racconti una storia.
Ho conosciuto un tizio, giù nel sud del Kentucky, si chiamava Tell Jordan.
Una pioggia scrosciante bagnava lo stato da diversi tramonti senza alcuna tregua. Da allora niente è cambiato poi tanto, malgrado oggi tutto sembri diverso. Conoscere Tell Jordan è stata una vera fortuna, la più grande di tutta la mia vita.
Era un animo buono ma, come tutti, aveva i suoi problemi. Mi è sempre stato detto che saper scegliere per il giusto è ciò che fa crescere e diventare uomini, Tell aveva un talento per le grandi decisioni e ciò gli ha portato diverse grane. Tanto si sa, la vita non va esattamente come vorremmo, o almeno non come ci aspetteremmo.
Quando s’invecchia si tende a diventare noiosi e nostalgici, ma, a Dio piacendo, sarò in giro ancora qualche giorno, magari qualche mese. Non ho più troppo da combinare ormai, eppure, anche se questo piccolo paesino sembra non offrire niente più che noiosa vita di campagna, posso dire di averne viste davvero di tutti i colori. Prima ho sentito dire che un uomo sarebbe andato sulla luna, poi, insieme a tutta la gente che conoscevo, attraverso un piccolo schermo grigiastro ho visto quell’uomo riuscirci. Ho anche visto due uomini sposarsi e creare un gran baccano per averlo fatto, ma, onestamente, vi dirò che se sono felici loro, sono felice anche io.
Le mie giornate passano ormai placide e tranquille ad osservare gli altri, magari sorridendo a qualche signorina nella speranza di ricevere in cambio un’occhiata compassionevole.
Tell ha lasciato questo mondo guardando chissà quale cielo, mi auguro nella tranquillità che era andato cercando per tutta la vita. Non posso esserne del tutto sicuro, ma mi piace molto crederlo.
Mettetevi comodi, perché, da vecchio rimbambito quale sono, racconterò questa storia, che vi piaccia o meno! Cercherò di non dilungarmi troppo, ma nel caso i pensieri inizino a non tornare nel loro giusto ordine, datemi un bel colpo in testa e svegliatemi.
Io mi chiamo Hank, Francis Hank O’Keefe per l’esattezza. Hank è il mio soprannome, ma non chiedetemene il motivo, è qualcosa che ho ereditato da mio padre.
Il mio racconto non può che cominciare a Bloomfield, Kentucky, a nove miglia da Taylorsville Lake e una cinquantina da Lexington. Bloomfield è una cittadina della Contea Nelson, la quarta dello stato in ordine di riconoscimento, creata pochi anni dopo la guerra d’indipendenza in onore di Thomas Nelson Jr, allora governatore della Virginia. Il terreno su cui sorge Bloomfield era di proprietà di un certo Leven Powell.
Luogotenente colonnello del sedicesimo reggimento delle forze continentali, Powell servì nella Guerra d’Indipendenza senza portare a compimento niente di troppo eclatante. Nel 1778 fu rispedito a casa per motivi di salute e così terminò la sua avventura militare. Nel 1781 prese possesso della zona dove sorse successivamente Bloomfield, ma non fu mai troppo interessato a questo posto.
Il dottor John Bemiss era un uomo di ben altra stoffa. Trasferitosi da Rochester, comprò molti acri di terra ed è a lui che si deve il nome e la nascita di Bloomfield. Bemiss si stabilì qui con la bella moglie, la signorina Bloomer, dall’unione del nome della donna e del futuro figlio Merifield fu coniato quello della nostra cittadina.
Sulla bandiera di Bloomfield è raffigurata una bella foglia di tabacco chiusa in un cerchio rosso, questo perché in Kentucky la cosa più importante, insieme a corse di cavalli, whiskey e automobili, è il tabacco. Qui in città tutto ruota attorno ai campi di tabacco e al grano macinato, era così anche quando ero giovane e niente è cambiato ora che gli anni sono passati. In tutta onestà ho sempre trovato la nostra bandiera poco interessante, ma quale bandiera lo è?
Mi sono sempre piaciute le carte geografiche però, ci ho giocato per tanto tempo. Bloomfield si trova a 37° 54’ di latitudine nord e 85° 19’ di longitudine ovest, ma non affannatevi a cercarla sulla vostra cartina, molto probabilmente non la troverete. C’è chi dice che i posti più straordinari non sono mai segnati su nessuna mappa, quindi ci consoliamo così.
Fu proprio Tell Jordan a insegnarmi come leggere una carta geografica e ricavarne le coordinate. Mi sono sempre piaciute perché regalano l’illusione di viaggiare senza allontanarsi da casa. Il vecchio atlante di mia madre è stato un compagno di giochi indimenticabile, peccato sia andato perduto, insieme a quasi tutto il resto delle mie cose, quando una banda di malviventi entrò in casa e distrusse quanto più possibile. Questo però ve lo racconterò un po’ meglio più avanti.
Tell Jordan mi ha aperto gli occhi, dandomi alcune delle lezioni più importanti, quelle che un giovane di Bloomfield finirebbe probabilmente per non affrontare mai. Ha usato metodi poco consueti, questo è vero, ma in fondo a qualcosa sono serviti.
Bloomfield è un luogo solitamente baciato dal sole. Da ragazzo trascorrevo intere giornate sdraiato in qualche campo con il naso rivolto verso il cielo, motivo per cui spesso tornavo a casa con vistose scottature. Mi piaceva starmene per i fatti miei nei prati, forse perché non avevo molti amici. Mi arrangiavo passando le giornate come meglio capitava, sdraiato in un campo o arrampicato su un albero leggendo un libro rubato a mia madre, la solitudine non mi turbava.
Diventai presto molto bravo nell’inventare storie, anche abbastanza intricate, così tanto per divertirmi. Se avessi avuto l’accortezza di appuntarne qualcuna, probabilmente sarei diventato anche un bravo scrittore. La realtà è che quando si passa molto tempo da soli, le cose prendono un significato diverso, perché difficilmente si trova qualcuno con cui condividere gioie e dolori, scoperte o compleanni, storie e avventure.
Non vi preoccupate, ho avuto anch’io le mie grandi amicizie, o forse dovrei dire la mia grande amicizia.
È tra le fronde di qualche albero che ricordo le mie più belle avventure di gioventù, anche se oggi non sono più tutte così chiare nella mia testa. L’età gioca brutti scherzi, ma almeno una voglio raccontarvela.
Avevo tredici anni ed il sole d’agosto bruciava senza riguardo i prati dello stato. L’aria del mattino profumava di pane e quando il sole scendeva all’orizzonte, tutto si tingeva d’amaranto per lasciar posto ad un nero cielo stellato. D’estate non c’era un granché da fare, ma io avevo preso l’abitudine, una volta finite le mie lezioni di pianoforte, di andarmi a sdraiare in riva ad un piccolo laghetto senza nome, che si trovava tra i boschi a due passi da Highgrove Road.
Non era un luogo molto conosciuto perché non era poi così facile da trovare. Nel corso degli anni il laghetto è scomparso ed ora al suo posto c’è una fattoria. Quando ero più giovane mi piaceva tanto accarezzare a piedi nudi l’erba che cresceva vicino all’acqua, farmi solleticare e poi addormentarmi con il naso rivolto verso qualche sogno lontano.
Gli odori degli alberi erano forti, la resina si lasciava annusare anche a distanza e gli aghi dei pini, caduti in un folto letto ai piedi del proprio tronco, rilasciavano una penetrante fragranza selvatica. Ricordo un tipo di pace che ho sperimentato poche altre volte nel resto della mia vita.
Erano momenti di quiete, lontani dalle urla di mia madre e di mio padre, come dalle prese in giro dei miei coetanei. Là tra gli alberi nessuno poteva colpirmi per i capelli tagliati male o per la passione per le storie. In riva al lago nessuno guardava alla mia difficoltà nel parlare, non c’erano risolini o sguardi di scherno, solamente un luogo dove rispecchiarsi senza troppa paura di quello che il riflesso poteva mostrare.
Quel giorno decisi di arrampicarmi su un enorme ramo che avevo adocchiato in una delle serate precedenti. Mi innalzai senza troppi problemi, sedendo a gambe distese sul ramo, con la testa appoggiata al tronco. Da lì potevo controllare l’intero laghetto, che sembrava ancor più piccolo e raccolto. Chiusi gli occhi per lasciarmi andare a profondi respiri, così da inalare a pieno il tepore di un luogo famigliare. Mentre mi lasciavo cullare dal crepitio della natura, sentii alcuni rumori provenire dal sottobosco. Questione di un istante, tutt’intorno calò nuovamente il silenzio.
Alzai il capo dalla corteccia cui ero appoggiato. Rimasi con l’orecchio proteso verso il vuoto per qualche momento, poi appoggiai nuovamente la testa all’albero. In quell’esatto momento la vidi comparire dalla boscaglia sul lato opposto del laghetto.
Aveva un vestito chiaro, coperto di una fantasia floreale dalle tinte turchesi. I capelli color rosso acceso erano ciò che di più lucente si poteva trovare nel raggio di diverse miglia. Non era la prima volta che qualche altra persona si aggirava nei paraggi, ma per qualche motivo la ragazza aveva vinto completamente la mia curiosità.
Si guardava alle spalle controllando di essere sola. Alzò lo sguardo anche nella mia direzione, ma non mi trovò. Ero incantato da una delle visioni più candide che la mia mente possa ricordare.
Dopo qualche passo verso lo specchio d’acqua, vi si era seduta molto vicina, così da potersi bagnare le mani ed il volto.
Scesi dall’albero con cautela, cercando di non far rumore, ma la ragazza era troppo intenta ai fatti suoi per accorgersi della mia presenza. Fui preso dalla voglia di avvicinarmi, così azzardai qualche passo nella sua direzione, rimanendo sempre ben coperto dagli alberi. Con timidezza e circospezione mi sporgevo da dietro qualche tronco per osservare i suoi gesti delicati. Mi innamorai del modo in cui muoveva le dita, sembravano animate da polvere magica.
Solo avvicinandomi mi accorsi che la ragazza piangeva, piangeva disperatamente. Mi prese un nodo allo stomaco, come se un sasso mi fosse andato di traverso. Respirava a fatica, tra un singhiozzo e l’altro, come se tutt'attorno non ci fosse abbastanza aria.
Tentai un passo verso di lei, ma calpestai un ramoscello che fece trasalire entrambi. Mi nascosi nuovamente dietro il tronco da cui mi ero affacciato e lei iniziò a guardarsi intorno intimorita.
«C’è qualcuno?»
Improvvisamente aveva smesso di piangere ed io trovai il coraggio di farmi vedere sporgendomi da dietro il tronco. Quando finalmente mi vide comparire, tirò un grosso sospiro di sollievo. Restò infastidita per lo spavento che le avevo procurato. Rimasi con le braccia incrociate dietro la schiena per qualche secondo. Ero inebetito nell’osservare tanta bellezza turbata da enormi lacrime ed occhi così arrossati da non sembrare umani. Visti da vicino i capelli erano ancora più lucenti.
«Che fai lì impalato?» mi disse «vattene… per favore.»
Fu proprio quella preghiera a persuadermi nel restare. Avanzai di pochi passi, per poi fermarmi nuovamente a guardarla meglio negli occhi. Aveva il volto colorato da una nuvoletta di lentiggini chiare, che le copriva naso e zigomi. Era stupenda.
«Ragazzino, ti ho detto di andartene!» ripeté massaggiandosi energicamente il ventre.
Io non mi spostai. Qualcosa mi diceva che lasciarla sola sarebbe stato un errore. Mi avvicinai ulteriormente per mettermi a sedere su un masso dalla forma piatta che le stava accanto. Raccolsi le gambe al torace e con un dito iniziai ad accarezzare l’acqua. La ragazza mi guardava ora affascinata, indecisa sul da farsi: cacciarmi nuovamente o parlarmi.
«Io mi chiamo Hank…» dissi timidamente «anzi no… Francis» continuai correggendomi immediatamente.
Mi guardò incuriosita, le lacrime avevano smesso di sgorgarle dagli occhi.
«Francis oppure Hank?» chiese abbassando il capo ma non gli occhi, in un espressione di tenerezza che mia madre stessa poche volte mi aveva rivolto. Ero troppo impaurito per rispondere così sussurrai qualcosa di poco comprensibile, che lei sembrò intuire dal movimento delle mie spalle.
«Io preferisco Francis comunque…» disse accennando un tenue sorriso. Riprese quindi a singhiozzare ed io mi trovai nuovamente nell’imbarazzo di non saper cosa fare. Lei bagnò le mani nell’acqua per portarsele poi al viso, cercando così di nascondere la vergogna del suo pianto.
«Mi… scusami… è meglio che me ne vada…»
Mi alzai prima che potesse farlo lei e mi pronunciai nel gesto più spontaneo. Allungai la mano porgendole un fazzoletto di stoffa bianca. Mi guardò sbalordita ed io rimasi in silenzio, incapace di proferire parola di fronte ad un viso così sofferente. Lei aprì leggermente la bocca per dire qualcosa, ma abbandonò immediatamente l’idea. Con il fazzoletto si asciugò gli occhi, ripiegandolo poi in quattro e ringraziandomi con un timido sorriso.
«Tu come ti chiami?» chiesi io raccogliendo tutto il coraggio che avevo in corpo.
La ragazza esitò nel rispondermi, ancora non aveva recuperato le forze necessarie a parlare nuovamente.
«Amy» disse infine «mi chiamo Amy…»
Tornò a massaggiarsi nuovamente la pancia.
«Ti fa male?» chiesi.
Lei abbassò lo sguardo, come se si fosse accorta per la prima volta del gesto che aveva compiuto fin da quando si era seduta in riva al lago. Guardò il palmo della propria mano per poi rivolgermi un sorriso.
«Si… o forse no. Ora non più, credo» disse con un soffio di voce.
Si alzò e mi venne incontro. Solo allora mi accorsi di quanto fosse alta rispetto a me. Si abbassò e mi diede un bacio sulla guancia. Morbido e delicato, mi sembrò che della seta si fosse posata sulla mia pelle. Quando le sue labbra si staccarono, rimasi con quella piacevole ed umida sensazione addosso, incapace di poter sentire altro.
«Grazie del fazzoletto Francis… posso tenerlo?»
Risposi annuendo con il capo e lei si limitò a sorridere di ritorno. Mi salutò con un leggero movimento della mano per avviarsi nuovamente nella boscaglia. La vidi scomparire tra gli alberi mentre con la mano destra continuava ad accarezzarsi il ventre.
Quel volto e quel bacio hanno sconvolto per molti anni la mia mente di ragazzo. Ricordo la pacca sulla spalla che mi diede Edward Beckett quando a sera gli raccontai l’accaduto, come anche il sorriso dolce di sua moglie Edna. Insieme ai Beckett, Amy è stata una delle poche persone ad avermi trattato con dolcezza sincera.
Tante volte, quando ero ancora ragazzino, mi sono chiesto il perché dell’ostilità che gli altri mi riservavano. Una volta cresciuto ho capito che molto aveva a che fare con mio padre e il suo essere mal voluto dal resto della città.
Non abbiamo mai goduto di ottima reputazione noi O’Keefe. Non che mi sia poi interessato molto, ma devo ammettere che ogni tanto qualche pensiero me lo sono creato. Purtroppo in una città di poche facce è facile essere etichettato una volta per tutta la vita. Il mio rapporto con Bloomfield cambiò in maniera decisa quando si venne a sapere che il vecchio Beckett mi aveva preso con sé al laboratorio e spesso anche a casa sua. Beckett e Edna erano due fra le persone più benviste di tutta la città. Rispettati, ricercati da molti per consigli, capaci di restare sempre indifferenti ai pettegolezzi, ma mai distaccati dalla comunità.
«Non è utile farsi dei nemici solo per controbattere alla stupidità della gente. In una città piccola come la nostra è meglio cercare di andare d’accordo… anche con quelli più strambi» Beckett me lo ripeteva spesso.
Quando ero giovane Bloomfield contava poco meno di trecento anime, contadini, fattori e piccoli artigiani. Anche oggi si è in pochi a vivere qui, ma si è diventati tutti più diffidenti, più competitivi e più nervosi. Non ci si aiuta più, ci si fa gli affari propri, cercando di nascondere i propri segreti. I più vecchi raccontano che negli anni passati tutt’intorno Bloomfield si vedevano solo distese di prati e campi coltivati, lontano dalle strade principali le case se ne stavano sparse qua e là, ognuna con il proprio terreno e la propria campagna.
Da sempre la calma cittadina scorre, giorno dopo giorno, con costanza e regolarità, ecco perché ogni evento fuori dalla norma è riconosciuto come un preavviso di qualcosa che sta per accadere. A Bloomfield non è mai accaduto nulla senza che gli abitanti abbiano creduto di esserne avvisati da qualche spettacolo sovrannaturale. Storie e leggende si tramandano fin da quando Bloomfield non era che una strada, qualche casa e poco altro. In merito alle leggende locali voglio raccontarvi una storia che mi ha terrorizzato fin da quando ero piccolo, e, come me, ha spaventato molte generazioni di ragazzini nati e cresciuti qui.
Dovete sapere che Bloomfield è famosa per una precisa lapide che si trova nel cimitero Maple Grove.
A Frankfort, nel 1825, Jereboam O. Beauchamp uccis...

Table of contents

  1. 1. Bloomfield
  2. 2. Uno straniero in città
  3. 3. Io e Tell Jordan
  4. 4. La situazione precipita
  5. 5. In fuga verso Louisville
  6. 6. Paesaggi newyorkesi
  7. 7. Una notte di luna
  8. 8. La maschera cade
  9. 9. Addio
  10. 10. Laggiù nel Kentucky
  11. 11. Émile
  12. 12. Dieci ore
  13. 13. Un indiano.
  14. 14. Un pirata.
  15. 15. Punto di non ritorno.
  16. 16. La mongolfiera
  17. 17. Ritorno a casa