SAONA
Ci avvicinammo alla costa assolata di Saona e notai diverse strutture alberghiere dove i turisti prendevano il sole e facevano il bagno. Fissai Misan e lui, senza che io aggiungessi altro, mi disse: "Non qui, qui è frequentato dai turisti.
Ci sono parti di questa isola inaccessibili da terra per via della fitta vegetazione, e via mare non ci viene nessuno perché a parte casa mia non c'è niente da vedere."
Difatti, virammo verso la parte nord dell'isola e arrivammo a un’insenatura dove a malapena si scorgeva una piccola casa e un molo fatto di legno, al quale Misan accostò la barca per attraccare.
Non appena misi piede sul molo di legno, cominciai a guardarmi intorno e scoprii che mi trovavo in un posto magnifico.
La vegetazione era di un verde fantastico, vivo. Osservai il mare, l'acqua era cristallina e al suo interno scorgevo delle macchie che si muovevano… era pieno di pesci.
Sulla riva, tra due tronchi, una rete da pesca stesa ad asciugare.
Ero convinto che mi avrebbe portato in una 'baracca' ma così non fu. La casa era piccola, due stanze da letto, un salotto con un tavolo per mangiare, la cucina e il bagno. Per l'elettricità usava un piccolo generatore che andava a olio di colza, non l’avevo mai visto. Chissà dove l’aveva trovato e, per un attimo, pensai che lo avesse inventato lui.
Niente televisione né telefono, ero fuori dal mondo. Mi mostrò la mia stanza: un letto, un comodino e un armadio, tutto qua.
Ora mi sentivo anche un po' in imbarazzo, non sapevo che pensare, e cosa avrei fatto lì. Mentre mi guardavo intorno, Misan sistemava la rete da pesca. Mi avvicinai e gli chiesi: "Allora, cosa si fa?" Lui rispose: "Niente! Adesso, niente. Domani mattina presto andiamo a gettare la rete."
Poi aggiunse: "Se non vuoi che te lo butti in mare, come ho fatto col telefono, togli l'orologio, qui non ti serve sono io il tuo orologio".
Mancavano ancora molte ore prima che facesse buio, io non sapevo cosa fare e non riuscivo a stare fermo, ero a disagio. Misan stava preparando un intruglio formato da strane piante insieme a quello che poteva essere del cibo, o almeno così mi sembrò. Lo impastò per lungo tempo, poi andò sul molo, dove avevamo fissato la barca, e lo lanciò in mare a piccole manciate. Lo seguii e gli chiesi cosa stesse facendo e lui con una espressione sbalordita disse: "Semplice, do da mangiare ai pesci. Loro devono sapere che qui si mangia, che qui possono riprodursi. La quantità che ne pesco è inferiore a quella che viene qui a mangiare. Se poi osservi bene, la mia rete è a maglie larghe, tiene imprigionati solo quelli più grandi, diciamo ormai più vecchi. Non uccide gli avannotti o i pesci di piccola taglia, come fanno le reti usate dai vostri pescatori".
Era vero, osservando la rete aveva dei grossi buchi, lo avevo notato anche quando portava il pesce all'hotel era tutto di grossa taglia. Gli chiesi se voleva una mano per qualcosa e lui rispose: "No, riposati!" Non ero stanco, anche perché non avevo fatto niente per dieci giorni, ma non replicai. Il generatore si accendeva la sera per le luci e solo per poche ore prima di addormentarsi. Con difficoltà giunse la notte, il tempo si era fermato, quella giornata mi sembrò interminabile. Io che correvo sempre sul filo dei minuti, tra un appuntamento e l'altro; l'ospedale, la clinica, lo studio, incontra una persona per pranzo, un’altra per un caffè, ecc. Non avevo certo il tempo per 'respirare' o fermarmi a pensare.
Per cena Misan preparò del riso in bianco e un pesce cotto al fuoco, acceso sulla piccola spiaggia di fronte la sua casa.
Era passato tutto un pomeriggio e tranne la mia domanda su cosa gettasse in mare non parlammo di altro.
Ma a tavola mentre mangiavamo, lui mi disse: “Ascoltami bene, non possiamo fare niente finché tu non dimentichi chi sei, da dove vieni... perché sei qui... devo rassicurarti, per liberarti del peso che hai nella mente, da ciò che ti tormenta...
Potrai andare via quando vorrai, ti riporterò all'hotel ti lascerò i soldi per il volo per tornare in Italia. Tu non sei un turista, non fare come loro che contano i giorni che mancano alla fine della loro vacanza compromettendo tutto il bello del viaggio. Portano nel cuore l'angoscia di dover tornare. Io te ne libero, se vorrai non dovrai tornare mai, ma se decidi... sarai libero di farlo".
E aggiunse: "Non ti aspetta niente e nessuno, questo è quello che conta per me adesso".
Rimasi in silenzio, pensando che aveva ragione. In fondo, non ero sicuro di voler essere lì e avevo paura di non riuscire a tornare indietro. Lo fissavo con attenzione e lui guardava me con i suoi occhi blu come il mare. La sua pelle scura si confondeva con il buio intorno a noi, Sembra un alieno! pensai e poi con la stessa voce calma e monotona continuò e disse: "Così scriveva Bambarèn, ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono! Per questo si chiama presente! E non c’è niente di più vero e giusto.
Ci sono persone come te che non riescono ad andare avanti perché hanno vissuto un brutto evento, o sono vittime di un orrendo passato, e c'è gente che oggi dorme aspettando domani. Ma sono entrambi errori che non ci possiamo permettere, che non dobbiamo permetterci... Tu segui i miei insegnamenti e, quando sarai pronto e smetterai di aver paura, potremo cominciare."
Io rimasi sorpreso e chiesi a me stesso: Cominciare cosa?
Ero curioso e Misan mi affascinava in una maniera incredibile. Sapevo dentro di me che stavo facendo la cosa giusta, dovevo solo fidarmi. Io che non mi sono fidato mai di nessuno, neanche di me stesso.
La conversazione terminò così, finimmo di mangiare e lui aggiunse solo: "Ora devi dormire, domani ti sveglio presto."
Mi diressi verso la stanza, mi stesi sul letto e chiusi gli occhi.
Dopo poco tempo, Misan entrò nella mia stanza e mi svegliò dicendomi: "Alzati, è ora della pesca!" Fuori era completamente buio, come quando eravamo andati a dormire, non avevo idea di quanto tempo fosse passato, ma comunque pochissimo. Il paesaggio era illuminato solo dalla luna, non andai a controllare l'orologio, riposto nel trolley per paura che facesse la fine del cellulare, mi vestii ed entrai in cucina, incontrandolo intento a mangiare in una ciotola del riso in bianco. Al suo fianco ce n’era un'altra e pensai che fosse la mia. Lui me la indicò con un cenno del capo fugando ogni mio dubbio. Io istintivamente dissi: "Ma un po' di caffè?" e lui senza alzare la testa dalla sua ciotola, rispose: "Scordatelo!"
Mi sedetti e cominciai, era riso avanzato dalla sera prima, quello mangiato con il pesce, senza nessun condimento.
Cominciai e lui aggiunse solo: "Il vero sapore dei cibi è nascosto dai condimenti, piano piano riscoprirai il vero sapore delle cose." Finimmo quel piatto insipido, e ci recammo alla barca. Per allontanarsi dalla riva non accese il motore, ma infilò i remi agli scalmi e mi ordinò: "Rema!"
Così dalla prua della barca mi sedetti al centro, impugnai i remi e cominciai a remare. Lui sorridendo aggiunse, riferendosi ai pesci: "Non possiamo spaventare nessuno!" Fissava dritto il mare davanti a sé usando il motore come un timone. Io sorridevo e, pensando di trovarmi in palestra in una sessione di allenamento con il vogatore, continuai con tutta la forza che avevo, abbinando al movimento dei profondi respiri.
Non serviva allontanarsi tanto dalla riva, il mare era pieno di pesci. Così, dopo una cinquantina di remate eravamo distanti già trenta, quaranta metri. Gettammo le reti, non prima d’averle passate nello stesso impasto che aveva gettato in mare il pomeriggio precedente. Pensai che quella fosse un’ottima idea per attirare il pesce.
Io da bravo allievo assecondavo i suoi movimenti e facevo come lui diceva. Aggiunse solo che c'era la possibilità di catturare anche qualche squalo.
Finito di stendere la rete tornammo indietro a remi, come all'andata. La luna era alta nel cielo e si rifletteva su quello specchio d'acqua, ma una luce diffusa compariva all'orizzonte… il sole! Se non mi fossi alzato a quell'ora non avrei mai potuto godermi uno spettacolo così bello. Questo mi comunicavano gli occhi di Misan quando incrociavo il suo sguardo, mentre remavo e mi guardavo intorno. Appena ormeggiata la barca al molo di legno, Misan si sedette sulla riva nella posizione del loto e cominciò a fumare una specie di pipa. Rimase così a scrutare il mare, anche se oltre a esso pareva non esserci nulla.
Io che vengo da una città, o meglio da diverse città, io che ho vissuto in vari continenti sparsi nel mondo, io che vengo dalla civilizzazione dove corre tutto sul filo dei minuti, adesso cosa faccio? pensai.
Non avevo neanche un libro con me, e prima del tardo pomeriggio le reti non si sarebbero ritirate. Allora, cosa fare?
Lui era ancora impalato lì, rivolto verso il mare. Io, invece, in preda alla paura di fermarmi a pensare, di scoprirmi dentro. Terrorizzato che il 'film' ripartisse, in quel momento e in quel posto, cominciai a sentirmi prigioniero, iniziava a mancarmi l’aria.
Ero in una sorta d'attesa, così decisi di farmi un bagno in mare, come oramai ero abituato a Los Scorales.
Nuotai fino a che mi fecero male le braccia. Poi, all’improvviso, mi tornò in mente quello che mi aveva detto mentre gettavamo la rete, pensai agli squali. Smisi subito di 'sentire il mare ' e mi precipitai verso riva.
Misan mi vide uscire dall'acqua in fretta e furia e mi chiese, continuando a fissare il mare: "Hai avuto paura, eh?" Accennando un sorriso risposi: "Mi sono ricordato che hai parlato di squali", e lui annuì.
Non vedevo l'ora di iniziare, anche se non sapevo cosa. Pensai che mi stesse studiando bene. Nel tardo pomeriggio andammo a ritirare la rete. Aveva fatto un ottimo lavoro, era piena di pesce. Lui prese la quantità giusta per l'hotel, una piccola parte la tenne per noi e il resto, ancora vivo, lo gettò in mare ridandogli la libertà. Mentre divideva il pesce da liberare, notai che scelse quello in miglior stato di salute, quello che sicuramente sarebbe sopravvissuto. Il resto, magari con una branchia o una pinna rovinata, poteva essere mangiato e venne destinato a noi e all'hotel.
Tornammo a riva e mi disse: "Uccido per vivere, ma chiedo al mare solo quello che mi serve per mangiare, non sono ammessi sprechi! Porto all'hotel la giusta quantità di pesce per i turisti che pernottano lì, non uno di più né uno di meno. Questo non mi procura soldi, qui i soldi non servono, qui serve il riso, l'olio di colza per il generatore e altre piccole cose. Io fornisco loro il pesce e loro danno a me quello che mi serve.” E poi concluse: "Tu resterai qui mentre io vado a consegnare il pesce all'hotel, è presto per vedere gente, dobbiamo ancora cominciare e tu devi smettere di aver paura, e di desiderare!"
Partì alla volta dell'hotel e io rimasi da solo. Passavo il tempo tra il guardarmi intorno, fare il bagno, stando attento a non allontanarmi troppo per paura degli squali, il dormire e lo scrutare i gabbiani, e qualche altra specie di uccello, volare.
Io che di tempo a disposizione ne avevo sempre avuto poco, diviso tra mille impegni, adesso sembrava non passare mai. Misan tornò nel pomeriggio e non disse nulla. Si muoveva, come se io non ci fossi, e io stetti al suo gioco.
Questo continuò per molto tempo che non avevo modo di contare. Non potevo dire che stavo male, in media pescavamo un giorno sì e uno no, o anche due no e uno sì, ma a parte questo non facevamo niente. Misan a volte fumava in riva al mare, a volte era lì in silenzio. Una volta solo mi disse: "Oggi vieni con me a portare il pesce all'hotel."
Ne fui contento e meravigliato, non so quanto tempo era che mi trovavo lì senza vedere nessuno.
Come arrivammo alla riva attraccammo la cima della barca al solito sasso, e lui prima che dicessi qualcosa mi chiese: "Cosa vorresti per festeggiare? Oggi è Natale!" Rimasi colpito e senza parole, quanto tempo era passato, da quanto mi trovavo lì? Avevo perso il conto dei giorni, senza i soliti punti di riferimento. Così mentre lui prendeva del riso, dell'olio e un paio di saponette per lavarsi, io risposi: "Niente!" Fu allora che mi resi conto di non aver veramente più bisogno di niente. Lui sorrise e mi disse: "Adesso sei pronto! Andiamo che si comincia". La sera, dopo aver cenato con riso e aragosta, ci andammo a sistemare sulla spiaggia uno accanto all'altro. Lui accese quella sua specie di pipa, in cui dentro metteva strane foglie e mi chiese di fumare insieme a lui.
Il mio pensiero andò subito a ciò che mi dava da fumare, pensai che fosse droga, ma mi fidai.
Aveva un buon sapore, e quando vidi che non mi faceva stare male pensai che non contenesse droga. Lui disse, quasi leggendomi nel pensiero: "Pensavi che ti drogassi? Ma come, sono qui per aiutarti, che faccio, ti uccido con la droga?" E io replicai: "Ma come fai a sapere sempre tutto quello che penso?"
Lui rispose: " È molto semplice, basta ascoltare, ma non le parole. Credi che degli esseri così evoluti e intelligenti come gli uomini possano usare solo le parole per comunicare? Lo sai perché la gente parla tanto? Perché con il p...