Il posto del padre
I
Dopo tutto quel tempo che era stato impossibile addomesticare in certe sue ore troppo lunghe e negli anni che erano diventati subito fumo, dopo otto anni per l’esattezza, Sergio si ritrovava di nuovo seduto, sorpreso, sbilanciato, nel salotto di Anna.
Il sole, gonfiandosi d’improvviso, rischiarò con più intensità la stanza già luminosa. Proprio quel salotto con i mobili bianco avorio, animato dai quadri di marine e di viali alberati autunnali e primaverili appesi alle pareti. Solo gli schienali essenziali e perfettamente scuri di due sedie poste ai lati della porta prosciugavano un po’ quel tanto di algido che a prima vista il visitatore poteva ricevere. Sul tavolo rotondo di fattura moderna spiccava una scatola indiana dai numerosi scomparti che parevano moltiplicarsi con splendore orientale nella ricchezza delle loro decorazioni. Un acquisto recente, dell’ultima ora, che si sovrapponeva a tutto l’arredamento senza realmente integrarsi. Ma bello di per sé. Quel salotto dove Sergio era stato decine e decine di volte sempre occupando la stessa poltrona, tanto che aveva potuto credere che sarebbe potuto diventare tranquillamente suo. E così sarebbe stato se la sua storia con Anna fosse continuata e non avesse subito la brusca interruzione che i fatti, così come si erano svolti, avevano imposto. Per tutto quel tempo, che era trascorso lungo e pieno, lui e Anna avevano continuato ad abitare nello stesso paese della Lomellina, come sempre, come da ragazzi. Eppure erano riusciti a perdersi di vista perfettamente, come se fossero andati a vivere fisicamente molto lontani, una lontananza per cui la fatica del cercare il contatto fosse impari alla possibilità reale di ritrovarsi, una di quelle fatiche che si sentono senza speranza, senza motivo soprattutto, alla fine inutili. Ma di nuovo il movimento della vita aveva colpito con la sua sferzata il quotidiano, la consuetudine abituale dei giorni che scorrono e che, chissà perché, fissano il loro schema nella mente degli esseri umani convincendoli che sarà così per sempre.
Si avrà per sempre trent’anni. Si provvederà per sempre a questi bambini. Si passerà il tempo a cercare l’amore, a braccare un successo. Si odieranno per sempre le persone che hanno ferito chi amiamo. Si lotterà. Impossibile credere che un giorno davvero il nostro corpo sarà di carta friabile, il corpo di un vecchio incontinente, smemorato di avvenimenti troppo lontani. Moriremo? Com’è morire? Si chiudono gli occhi, si trattiene il respiro e non si immagina niente. Sono parole. In realtà sotto i sensi scorre questa vita di cui non si può credere la fine. Si tornerà ancora e ancora in un salotto, immutabile se non per qualche particolare, dove per anni siamo stati familiarmente.
Anna entrò con le tazze del caffè appena fatto, fumante, e la stanza si riempì di aroma. Lui la guardò con sentimenti contraddittori che gli si agitavano in petto. Non sapeva se era bene che fosse lì, a bere quel caffè preparato da lei.
II
Anna appoggiò con eccessiva attenzione le tazze. I suoi capelli castani, il suo profilo deciso, la sua alta figura lievemente robusta, erano accarezzati dal sole che attraverso i vetri irrorava la stanza, donando una sensazione di tepore, anche se l’aria di quei primi giorni di marzo faceva rabbrividire nelle zone d’ombra.
Lei gli parlò quietamente. “Hai fatto bene a salire da me”.
“Non l’avrei mai fatto, se tu non mi avessi sorpreso per strada mentre prendevo a calci la mia automobile. Avevo perso il controllo, non sapevo più cosa facevo. Mi ero appena reso conto che il mondo mi era franato addosso. Ho perso la testa. Mi dispiace”.
“Avresti potuto scegliere di far del male a qualcuno. Seriamente. Invece ti sei limitato a prendere a calci la tua automobile. Sei stato in gamba”.
“I passanti che si sono fermati a guardare la mia scena di pazzia non avevano l’aria di trovarmi così in gamba”.
“Già. Ma hai risparmiato le persone. E anche te stesso. I pettegoli in strada non potevano sapere che stavi già cominciando a vincere qualunque cosa ti stessi giocando”.
Sergio appariva smarrito, incredulo. Ora guardava Anna più apertamente, cercando di leggere tra le sue parole. Dove lo stava spingendo? Dove voleva andare a parare?
Lui era così concentrato ancora sul suo dolore, così sorpreso dagli avvenimenti, che proseguì con crudeltà.
“Otto anni della mia vita, otto anni in cui ho creduto di gettare delle fondamenta, di costruirmi una felicità personale. Ho lavorato come uno schiavo, ho affrontato il doppio lavoro, i turni di notte, senza quasi sentire la stanchezza, la fatica massacrante, perché le avevo vicino. Ho amato con tutta l’anima lei e la sua bambina. Come fosse stata mia. Poveri passeri spaventati. Perché così erano, quando quella sera le ho incontrate gelate, mute, bagnate di pioggia. Così traumatizzata, lei, che non sapeva nemmeno dove stava andando. Otto anni di passione e di fedeltà assoluta”.
Anna aveva ombre scure sotto gli occhi che teneva socchiusi. “Ti lamenti? Sei stato ricambiato, mi sembra. Anche lei ti ha dato amore e dedizione. La piccola poi, ti adora”.
“La piccola? Ah, non so. Tutto è cambiato, ogni cosa si è capovolta. Ioana è sconcertata, divisa, piena di pietà e di affetto per quell’uomo che è riuscito a tornare da lei. Il marito. Il marito! Che magia c’è in questa parola? Non è solo la storia triste di lui, la sua assenza di colpa. E’ come dice (dovresti vederla, dovresti sentirla), come pronuncia la parola: mio marito. E’ mio marito. E’ tornato mio marito. E io? Io! Non sono stato forse più che un marito? E la bambina! Folgorata dall’apparizione di quest’uomo che neanche conosce, solo perché può dire: è mio padre. Eppure è a me che vuole bene, e non potrebbe essere che così!”
“Sergio, Sergio. Calmati ora. So che cosa provi, che tempesta. Lo so perfettamente”.
E allora lui parve rinsavire, trattenersi. La guardò titubante, imbarazzato. “Oh mio Dio, Anna. Credi che non mi vergogni? Sì, mi vergogno del mio egoismo, mi sto muovendo come un elefante in un negozio di porcellane. Come posso riversare su di te queste cose? Non dovevo venire qui”. Fece per alzarsi, voleva andarsene. Una ruga profonda gli segnò la fronte, gli occhi di nuovo smarriti. Dove pensava di andare? Anna sapeva bene che non c’era nessuno, proprio nessuno che poteva accoglierlo. Niente fratelli né sorelle. I genitori morti da tempo. Gli amici attuali andavano bene per una bevuta o per discussioni e verifiche sul fronte salariale. Otto anni dedicati esclusivamente a quella donna e alla sua bambina, guardando con sospetto ogni maschio giovane che si avvicinava. Otto anni di lavoro senza tregua mangiandosi ogni tempo libero. Non c’era forse il deserto intorno? Era rimasta lei. E lei capiva, lei sapeva in ogni fibra, in ogni cellula del suo corpo, che ne avevano conservato memoria, cosa significava quella sofferenza soffocante perché anche lei l’aveva vissuta, e sapeva, fin troppo bene sapeva, che quella corrente di dolore poteva trasportare alla deriva, bruciare i sentimenti e la volontà, far sprofondare nel pozzo dell’apatia e del rancore per non risalirvi più. Sapeva che la tentazione di distruggere e distruggersi cresceva a dismisura nel cuore di un uomo così provato. Lei conosceva quella densa, specifica sofferenza perché un giorno di otto anni prima Sergio gliela aveva inflitta.
III
Con la pressione di una mano sul braccio Anna lo fermò, lo costrinse a sedersi di nuovo. Gli servì un’altra tazza di caffè in silenzio, mentre lui mandava in giro uno sguardo torvo e infelice. Fuori, la luce del sole si era condensata in una lunga striscia rossa che rapidamente si consumava. Ma si poteva aspettare ancora un po’ prima di accendere la luce.
“Potevi venire solo qui, in fondo. Di acqua sotto i ponti per noi ne è passata. Abbiamo avuto una storia noi due, è vero. Interrotta un po’ troppo bruscamente. Siamo andati all’asilo insieme, credi me ne sia dimenticata? Le nostre famiglie sono amiche da sempre. Ho voluto un gran bene a tua madre. Pensi davvero che voglia vederti affondare? Pensi che vedere degli esseri umani a pezzi, tu, lei, la bambina, quel suo sfortunato marito, possa essere per me un indennizzo perché tu mi hai preferito un’altra?”.
“In confronto a te, in questo momento, mi sento avventato, irresponsabile. Sono così confuso. Mi sono procurato una storia difficile, rischiosa. Ho fatto soffrire te. Non ho capito, allora, quello che ti stavo facendo. Solo ora so. E così aggiungo altra sofferenza a quella che ho già. Che fallimento, che fallimento!”
Lei lo guardò con una luce ironica negli occhi, seduta ritta sul busto, le ginocchia unite.
“Non so di cosa tu stia parlando. Chi ha fallito? Tu? Un uomo forte. Hai sempre difeso il tuo mondo, con i piedi ben poggiati a terra. Ma al momento buono hai saputo vivere una gran storia. Romantica persino, quasi drammatica. Hai lasciato me, la fidanzatina sicura, affidabile, senza esitazioni, nel momento stesso in cui i fari della tua automobile hanno fatto balzare sulla scena quella ragazza stordita che piangeva per strada. L’hai soccorsa, sei stato il suo eroe.”
“Questa storia, Anna, non è mai somigliata a una favola. E’ stata carica di un’ipoteca sin dall’inizio, di nodi poco comprensibili che stentano a sciogliersi anche adesso. Avrei dovuto averne paura, subito.”
“Hai amato, sei stato amato. Hai avuto la forza di accettare il ritorno del marito, di rispettare la scelta di lei, di non fare male a nessuno. Hai vinto il rancore. Adesso provi il dolore acuto di un ferito che è rimasto vivo. Perché sei vivo, e il sollievo di essere vivi e con le mani pulite alla fine è quello che conta. Non ci sono falliti in questa stanza.”
Lui alzò la testa, gli occhi socchiusi. Un soffio di felicità raggiungeva una parte di lui. Anna aveva detto: non ci sono falliti in questa stanza. Allora lo liberava anche dal rimorso che avrebbe potuto nutrire nei confronti di lei? La ferita che lui le aveva inferto non era così profonda, non l’aveva infettata? Lei capì.
“Sono rimasta tanto tempo senza più reazioni dopo che ci siamo lasciati. Non avevo la forza di lavarmi, il desiderio di mangiare. Sempre il bisogno di piangere. Lavoravo male, senza pensare, senza capire le finalità di quello che facevo. La sola cosa che riusciva a distrarmi per qualche istante era leggere. Cercavo altre storie di donne, di uomini, non importa se immaginari, bastava che fossero travolti da un destino che non avevano voluto. Leggevo sempre di più, senza neanche accorgermi, e nelle storie che leggevo a poco a poco ho finito col trovare il senso delle cose, che in qualche modo sono tornate a posto, perché cominciavo a comprenderle. E poi, senza neanche rendermene conto bene all’inizio, ho cominciato a voltarmi altrove, verso altri ambienti, altre persone, come una pianta che gira cercando il sole. Ho imparato a vederti per strada, a incontrarti con lei e con la bambina senza sentirmi una vittima e senza percepire te come colpevole perché l’amavi. Anzi.”
“Io l’amerò sempre.”
“Anche lei ti amerà sempre.”
“La bambina mi dimenticherà”
“La bambina forse sul momento ti dimenticherà. Ma crescerà, diventerà una giovane donna, poi una donna matura e forse vivrà sino a essere molto anziana. E più gli anni passeranno e più guarderà indietro, al ricordo della sua infanzia, più il suo affetto per te tornerà e salirà sempre più alto, per quell’uomo gentile che ha protetto lei e la sua mamma per otto lunghi anni che avrebbero potuto essere pieni di buio. Un uomo che poi ha consentito il rientro del padre nella sua vita, e la riunione dei suoi genitori.”
“Mi amerà dici, tornerà ad amarmi quando sarà una vecchia donna piena di ricordi? Un premio di consolazione così piccolo. Io sarò morto e non ne saprò niente.”
“Noi non ne sappiamo mai niente. Non sappiamo chi siamo nella testa degli altri. Eppure anche lì abbiamo una vita e forse qualche potere.”
Il buio serpeggiava ormai nel salotto, li avvolgeva. Anna accese la luce. Lesse negli occhi di lui un’espressione riconoscente, capì che era qualcosa per cui era impossibilitato a trovare le parole, un’emozione che lo colmava tutto intero, un’emozione forte e positiva che si rivolgeva verso di lei.
“Sono così pieno di gratitudine per te, sei stata un balsamo su ferite aperte. Quello che provo, quello che mi hai appena detto…. Non so dire, non so se lo merito, non so se merito la tua amicizia, non sono neppure capace di ringraziarti davvero.....”.
Poi Sergio uscì dal salotto, percorse il breve corridoio, si congedò. Rimasta sola, Anna si permise un’altra tazza di caffè. L’aveva fronteggiato. Si era mostrata aperta e generosa. Ma il suo cuore procedeva a battiti accelerati come in seguito a uno sforzo imprevisto. Aiutarlo a non ferirsi e a non ferire altri le era costato parecchio dal punto di vista emotivo. Forse si sarebbe limitata a ignorarlo se non se lo fosse trovato davanti poco prima in strada mentre gridava e prendeva a calci l’automobile. La gente intorno guardava e sorrideva sprezzante prima di allontanarsi. Lei allora gli aveva chiesto di smetterla, di calmarsi e di salire a casa sua.
IV
Già poche ore dopo l’incontro con Anna, tornato a casa, Sergio avvertiva diminuire il beneficio delle parole di lei. Come un’anestesia che lentamente indebolisce il suo effetto, e lascia salire alla coscienza un dolore sempre più vivo. La giornata si spalancava su una domenica scialba e solitaria che peggiorava la situazione. L’aria si era fatta più fredda, il cielo si presentava grigio, inespressivo. Era un fatto che in quegli otto anni lui e Ioana avevano conservato ciascuno il proprio appartamento, lui continuava a vivere nella casa che era stata di suo padre e sua madre, lei nel monolocale che aveva affittato non lontano, con la bambina. A pensarci adesso, quella decisione di stare ciascuno per conto suo, presa da subito e mai messa in discussione, gli parve ora molto significativa, una porta aperta per eventi futuri legati a un disimpegno, un sottrarsi, una possibile fuga. Solo da parte di lei? Oggi gli pareva di sì (impossibile averne una certezza assoluta ). L’amore in quegli otto anni gli aveva riempito l’esistenza, aveva dato un senso a ogni suo gesto, era stato un motore che l’aveva spinto a una pienezza e a un benessere a cui non poteva rinunciare senza che tutto gli si sgretolasse in mano. Il sangue gli era circolato felice nelle vene, dormiva sodo e brevemente, per alzarsi sempre pieno di energie. Era un amore da cui non aveva preso, così, semplicemente. Era un amore in cui soprattutto aveva dato. E non gli era costato affatto. Dare amore a quella ragazza lo nutriva di per sé, lo rinvigoriva. E si che non era poi un tipo tanto generoso e disponibile con la maggior parte delle persone. Onesto, si sentiva di definirsi. Gli piacevano i rapporti in cui il dare e l’avere si pareggiavano, pronto a troncare senza ripensamenti ogni situazione in cui le regole del gioco erano eccessivamente aggirate. In passato aveva avuto alcune ragazze che gli erano crudamente piaciute, di cui aveva ammirato magari certi aspetti del carattere o dell’intelligenza, ma con cui aveva giocato alla pari e al momento buono nulla lo aveva indotto a risparmiarle più di tanto.
Solo con Anna era stato diverso. Per lei, la sua compagna d’infanzia, aveva sempre provato un affetto autentico e costante. a un certo punto si erano messi insieme, spinti anche da tutto un coro esterno alla prospettiva di un vero e proprio fidanzamento. Anna si era innamorata di lui, se lo prendeva tutto intero senza esitazioni, conoscendone qualità e difetti. A lei piacevano la solidità fisica e caratteriale di Sergio. Si affiancava a lui come una compagna fidata, forte, sempre pronta al sorriso, a sbrogliare la matassa, di qualunque cosa si trattasse. Si volevano bene, forse si completavano. E poi, in un attimo, Sergio aveva conosciuto di sé qualcosa che era sempre rimasto a dormire nell’ombra e che si era risvegliato con una potenza esplosiva, per una visione. Per l’apparizione di una ragazza fradicia lungo una strada battuta dalla pioggia, verso sera. Una ragazza che camminava senza sapere dove andare stringendo fra le braccia un neonato riparato alla meno peggio.
Anna aveva meditato a lungo su questo fatto e per molto tempo ne era stata offesa. Si era sentita lasciata indietro solo perché non era entrata nell’immaginario di Sergio con il fascino della debolezza. No, lei era indipendente, organizzata, capace di affrontare la vita con lealtà e senza speculazioni di sorta. Per queste doti era stata amata di meno, invece di...