Piccola storia delle avanguardie da Baudelaire al Gruppo 63
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Piccola storia delle avanguardie da Baudelaire al Gruppo 63

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Piccola storia delle avanguardie da Baudelaire al Gruppo 63

About this book

Il Gruppo 63 è stato, e non solo per l'Italia, l'ultima, estrema manifestazione della cultura d'avanguardia. Nel cinquantesimo anniversario della fondazione del Gruppo giova ricordare che esso, attraverso le discussioni e i dibattiti dei suoi membri, dei quali sono stati forniti anche di recente ampi e precisi ragguagli a stampa, e attraverso la pubblicazione dei loro libri, ha elaborato una cultura profondamente nuova che, al tempo stesso, si nutriva delle opere e delle sollecitazioni più fertili prodotte dalle precedenti avanguardie.
Per questo il presente opuscolo di Fausto Curi traccia una rapida ma totalmente comprensiva storia dei movimenti d'avanguardia guardati attraverso i loro protagonisti, a partire da Baudelaire, primo vero scrittore della modernità, passando per Rimbaud, Mallarmé, Lautréamont, soffermandosi su Pound, Eliot e Joyce e giungendo fino a Marinetti, Tzara e Breton. In questo contesto le ragioni e i modi del Gruppo 63 risultano alla fine storicamente forniti di più salde ed evidenti motivazioni. Non sfuggono all'attenzione dello storico i protagonisti delle avanguardie pittoriche, musicali e cinematografiche come, per esempio, Picasso, Braque, Kandinski, Duchamp, o Schönberg, Berg, Webern, o Buñuel e Clair. Una densa bibliografia essenziale conclude l'opuscolo.

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Information

I

“Che «tutto continui così» è la catastrofe”. Questa frase di Walter Benjamin corrisponde così perfettamente alla odierna situazione politica italiana da lasciare stupefatti. Il pericolo non viene dunque tanto dai mutamenti e dalle trasformazioni, che pure, quando ci sono stati, sono stati tutti di segno negativo. Il pericolo viene dall’immobilità e dalla ripetizione. Il pericolo viene dal fatto che il nuovo, quando non è un peggioramento dello stato precedente, altro non è che un suo stanco prolungamento. Mi pare che non lo si noti abbastanza ma il nuovo più infame e più deleterio, se non fosse il più ridicolmente assurdo, è, oggi, in Italia, Berlusconi che si presenta come il salvatore della patria, colui che ha soprattutto a cuore gli interessi del Paese. La catastrofe, dunque, non è una minaccia, la catastrofe è qualcosa in mezzo alla quale viviamo da tempo. Qualcosa alla quale sopravviviamo perché siamo così assuefatti al disastro e allo schifo da accorgerci appena che fa schifo. Attenzione però: c’è qualcuno che alla catastrofe non si è assuefatto perché non può permetterselo. Il giorno in cui verrà meno anche il pochissimo di assuefazione che gli è rimasto, verrà meno anche la catastrofe. Allora il nuovo nascerà davvero. Non sappiamo però che forma avrà e se ci piacerà.
La frase di Benjamin indica perfettamente anche la situazione da cui nasce l’avanguardia. La quale è dunque prima di tutto una rottura della continuità, un’interruzione volontaria della normalità e della stabilità. Ed è un’interruzione globale, che non riguarda solo la letteratura, ma aspira a investire tutte le arti e, al di là di queste, tutte le istituzioni, politiche, sociali, economiche. Per questo non sempre si dà avanguardia, quando sembra che vi sia avanguardia.
Da un punto di vista storico, si è soliti far iniziare l’avanguardia da Baudelaire. Ma Baudelaire non è propriamente un poeta d’avanguardia, anche se con lui incominciano una condizione dello scrittore, e un comportamento dello scrittore, che in un breve volgere di anni porteranno all’avanguardia vera e propria. In un capitolo del suo saggio intitolato Il pittore della vita moderna, tracciando il profilo di quello che egli chiama il dandy, Baudelaire ha perfettamente prefigurato il profilo dello scrittore d’avanguardia. Il dandy, per Baudelaire, non è il personaggio ozioso, amante del lusso e preoccupato soltanto dell’eleganza della propria persona al quale di solito quella denominazione rinvia. I dandys sono una sorta di comunità, una “casta”, dice precisamente Baudelaire, costituita da uomini “disgustati”, “declassati” e “disoccupati” che si collocano all’“opposizione” e aspirano alla “rivolta”. Il dandy è all’“opposizione” della classe dominante, cioè della borghesia, perché è “disgustato” dal suo comportamento banale, volgare e repressivo, mentre il cittadino che sarebbe un giorno diventato un dandy si era illuso, in un primo momento, che i borghesi potessero amare e proteggere le arti. Il dandy è inoltre un “declassato”, cioè non ha più una classe di appartenenza, o perché da essa è stato espulso o perché ne è uscito volontariamente. Dunque è un uomo socialmente libero, anche se porta il peso di quella libertà. Infatti è un “disoccupato”, nel senso che, essendo un “declassato”, è stato privato di ogni mandato sociale, cioè di ogni funzione all’interno non soltanto della propria classe d’origine, ma dell’intera società, o a quel mandato ha rinunciato per suo conto. Non è tanto un ritratto, quello fornitoci da Baudelaire, quanto un autoritratto, o meglio, per usare una nota definizione di Starobinski, un “autoritratto travestito”, mediante il quale il poeta rappresenta la propria condizione, che è socialmente e culturalmente nuova in quanto egli non è più, come era ancora in quegli stessi anni in Francia un poeta come Victor Hugo, un rappresentante della classe borghese, perfettamente integrato nelle idee e nei valori di quella classe, ma è all’opposizione” e in “rivolta” contro di essa, da essa completamente dissociato. Si pensi a ciò che questo significa. Si pensi a ciò che per secoli la poesia ha quasi sempre significato per la classe dominante, abituata a considerare gli scrittori, e segnatamente i poeti, come propri cortigiani. Trattati con maggiore o minore riguardo, essi erano pur sempre al servizio dei potenti. E, come è noto, si trattava non di rado di grandi poeti: Ariosto, Tasso, Racine, La Fontaine. Dopo la Rivoluzione francese, salita al potere la borghesia, la condizione del poeta si fa certamente più libera, ma non lo è mai totalmente. Per essere libero Hugo deve scegliere l’esilio. E la vita del borghese Foscolo è sempre libera ma precaria. Mentre precaria non è, se non per scelta, la vita del conte Alfieri, del conte Manzoni, del conte Leopardi. Libero ma integrato: così può riassumersi la condizione del poeta postrivoluzionario. Libero e non integrato è invece Baudelaire, che, si narra, si aggira per Parigi coperto di stracci e quasi sempre pieno di debiti, tranne quando la sua fitta collaborazione ai giornali gli concede un po’ di respiro. Il giornalismo, divenuto una vera e propria professione, è infatti spesso il segno della nuova condizione del libero scrittore.
L’“autoritratto travestito” delineato da Baudelaire nel Pittore della vita moderna non ci dice tutto su di lui e sulla prefigurazione del poeta d’avanguardia. Giacché occorre guardare a un episodio fondamentale della vita di Baudelaire per intendere appieno quella prefigurazione. Non si tratta, ora, di letteratura, o meglio, non si tratta soltanto di letteratura. Il 20 agosto 1857, a pochi giorni dall’uscita del suo capolavoro, I fiori del male, la sesta Camera correzionale di Parigi, su segnalazione del Ministero dell’Interno, condanna Baudelaire a 300 franchi d’ammenda e soprattutto a sopprimere sei componimenti del libro. Sua colpa: “oltraggio alla morale pubblica”. Facciamo attenzione, non siamo di fronte a un incidente di scarso rilievo. Siamo di fro...

Table of contents

  1. I
  2. II
  3. Bibliografia essenziale