III.a.1. Le consultazioni, la risoluzione delle crisi e il conferimento dell’incarico di formare il Governo nella fase del bipolarismo trionfante: i Governi Prodi (2006) e Berlusconi (2008)
L’art. 92, secondo comma, Cost. dispone che «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». Nel descrivere l’atto conclusivo del procedimento di formazione del Governo, detto articolo non pone al potere presidenziale alcun limite espresso. Dal legame sistematico con l’art. 94 della Costituzione – il quale prevede che «Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere» – si desume però che la nomina del Presidente del Consiglio deve essere esercitata al fine di assicurare all’Esecutivo il sostegno delle Camere.
Le possibilità di intermediazione politica del capo dello Stato nell’esercizio del potere in discorso sono condizionate dal vincolo di scopo al quale esso è assoggettato: il Presidente non può designare persone che realisticamente non abbiano la possibilità di raccogliere attorno al proprio Governo il consenso maggioritario delle Camere. La sede nella quale il Presidente esercita l’attività diretta a raccogliere gli orientamenti delle forze politiche circa la soluzione della crisi e la formazione di una nuova compagine ministeriale è quella delle consultazioni.
Queste non formano oggetto di espressa disciplina costituzionale, né rappresentano un elemento necessario del procedimento di formazione del Governo, tanto che a volte non vi si è fatto ricorso, ma piuttosto sono frutto di convenzioni insorte fra gli organi costituzionali. Convenzioni che non pongono un problema di validità di atti, ma generano semplici oneri politici, la cui inosservanza non è giuridicamente coercibile.
Il margine di manovra del Presidente della Repubblica nella fase delle consultazioni è venuto mutando con il mutare del sistema elettorale. Nel vigore della formula proporzionale pura, le forze politiche non indicavano agli elettori, in campagna elettorale, quale coalizione di governo avrebbero sostenuto. Si tenevano, per così dire, le mani libere. Le consultazioni rappresentavano allora la sede propria in cui si svolgeva il complesso gioco di traduzione del responso elettorale in una formula di governo. Sotto la guida autorevole del capo dello Stato, che sovente di tale gioco era parte non ininfluente, nelle consultazioni si compiva l’attività di costruzione della base parlamentare del Governo. Il potere di nomina era, in questo contesto, di intensità inversamente proporzionale alla forza dei partiti politici.
Il quadro è radicalmente mutato a partire dal 1993, con la bipolarizzazione del sistema politico e l’introduzione di leggi elettorali che premiano l’aggregazione dei partiti spingendoli a formalizzare gli accordi di governo prima del voto, in campagna elettorale. In questo scenario lato sensu “maggioritario”, se il risultato del voto è chiaro, perché la coalizione vincente può contare sulla maggioranza di entrambe le Camere, l’incarico di formare il Governo non può che cadere sul leader di tale coalizione e una diversa scelta è giustificabile – sempre restando nell’ambito dello schieramento vincitore – solo per gravissimi fatti sopravvenuti al voto che impediscano di dare corso alla decisione popolare (l’impedimento, la morte, l’arresto o la condanna penale, la rinuncia dell’interessato). L’obbligo previsto nella legge elettorale “Calderoli” (n. 270 del 2005) di indicare «l’unico capo della coalizione» come candidato alla Presidenza del Consiglio (art. 1, comma 5) è stato letto, in questa chiave, come la formalizzazione giuridica del ridottissimo margine di apprezzamento del Presidente della Repubblica nel conferimento dell’incarico. Non sorprende perciò che, all’indomani delle elezioni politiche celebrate nel 1994, 1996, 2001, 2006 e 2008, le consultazioni presidenziali sono state poco più che rituali e hanno avuto una durata estremamente ridotta.
Per limitarci alle consultazioni svolte da Napolitano, nel 2006 si è giunti al conferimento dell’incarico a Romano Prodi al termine di una sola giornata di consultazioni, e il capo dello Stato, nel conferire l’incarico, ha voluto sottolineare che «i rappresentanti della Casa delle Libertà non hanno minimamente contestato che l’incarico debba andare al capo della coalizione di centrosinistra, secondo quello che è, d’altronde, il chiaro dettato della nuova legge elettorale». L’automatismo fra la designazione del capo della coalizione vittoriosa (pur di stretta misura) e l’indicazione del Presidente del Consiglio era rigido e faceva premio su ogni eventuale giudizio presidenziale sulla capacità di tenuta politica della coalizione di Governo.
Nel 2008 questo automatismo si volle ribadire in modo ancor più esplicito. Nel conferire l’incarico a Berlusconi dopo un solo giorno di consultazioni, il 7 maggio 2008, il capo dello Stato ricordava che la netta vittoria elettorale del centro-destra aveva permesso al capo della coalizione vincente di «mettersi subito al lavoro per la formazione della squadra di governo (…) per presentare al più presto al Presidente della Repubblica, una volta accettato l’incarico, la lista dei ministri». In effetti Berlusconi accettò l’incarico senza «riserva di rifiuto», fatto inusuale, e presentò immediatamente dopo la lista dei Ministri. È possibile che Napolitano, nel periodo intercorrente dallo svolgimento delle elezioni al conferimento dell’incarico abbia svolto pre-consultazioni informali per poter esercitare in forma anticipata in questa fase una qualche influenza sulla designazione della compagine di governo. Ed è certo che egli, in quell’occasione, ha plaudito alla celere formazione del Governo; ma è forte il sospetto che la prassi berlusconiana, oltre che da esigenze di speditezza, fosse animata anche dalla volontà di evidenziare, da un lato, la sua diretta investitura popolare, e quindi la funzione meramente protocollare del conferimento dell’incarico da parte del Presidente della Repubblica; dall’altro, l’assoluta estraneità del capo dello Stato – sia pure nella forma di una tenue influenza “in negativo” – sulla scelta dei Ministri.
Quale che fosse la rispettiva volontà soggettiva dei due Presidenti nella formazione del IV Governo Berlusconi, in questo caso, come in precedenza nel caso della formazione del II Governo Prodi, la secca divisione bipolare del quadro politico e l’univocità del risultato del voto hanno ridotto i tempi delle consultazioni e limitato, fino ad annullarlo del tutto, il potere di nomina del Presidente della Repubblica. Questo potere è stato invece esercitato con pienezza, e con tratti di indubbia originalità, con l’insediamento dei Governi Monti e Letta, sui quali si tornerà fra breve.
Sul piano delle forme e dei riti delle “crisi”, Napolitano ha fatto ricorso a consultazioni in occasione di ogni crisi, laddove i governi Pella e Tambroni non furono preceduti da formali “giri di consultazioni”. Inoltre l’elenco dei convocati è stato limitato ai capigruppo dei partiti presenti in Parlamento, ai Presidenti delle Camere e ai Presidenti emeriti della Repubblica, questi ultimi sentiti non per primi, come avevano fatto Gronchi nel 1962, Segni e Saragat, ma per ultimi, talvolta senza riceverli a Palazzo, ma per telefono. Infine Napolitano non ha audito – come avevano fatto tutti i Presidenti fino a Saragat – gli ex Presidenti delle Camere né gli ex Presidenti del Consiglio, né ha convocato sul Colle personalità prive di funzioni di rappresentanza politica, come ad esempio sindacalisti (convocati da Pertini nel 1979 durante la crisi del IV Governo Andreotti), il presidente della Corte dei conti, il comandante dell’arma dei carabinieri, il capo della polizia o il governatore della Banca d’Italia, chiamati da Segni nelle consultazioni che precedettero l’insediamento dei Governi Moro I e II (novembre 1963 e luglio-agosto 1964). Nel complesso, Napolitano ha dunque cercato di limitare il novero dei soggetti consultati, per assicurare una maggiore speditezza alla procedura. Quanto infine alla consultazione del gruppo misto, ad essa si era sempre proceduto convocando il solo Presidente del gruppo. Napolitano, sin dal 2006, ha invece sentito separatamente i rappresentanti delle diverse componenti interne al Gruppo, come pure i rappresentanti delle minoranze linguistiche.
III.a.2. La formazione del Governo Monti. Napolitano “kingmaker”
Della successione di eventi che hanno condotto alla formazione del Gabinetto Monti vanno ricordati alcuni passaggi cruciali, che hanno concorso a definire un clima, nell’opinione pubblica e nella classe politica, tale da rendere necessitata la conclusione dell’esperienza del IV Governo Berlusconi.
Il 6 ottobre 2011, a Biella, Napolitano rievocava il primo “Governo del Presidente” della storia repubblicana: quello presieduto dal biellese Giuseppe Pella. Un «governo di tregua», ricordava in quella occasione il capo dello Stato, che fu voluto da Einaudi perché «ce n’era bisogno» dopo che le elezioni del 1953 – in cui la DC non raggiunse la soglia fissata dalla legge “truffa” per far scattare il premio di maggioranza – avevano decretato la fine del centrismo degasperiano. Un Governo, continuava il Presidente, che «non durò a lungo, ma servì». Il lapidario commento non era affatto innocente, ma al contrario lanciava un messaggio a quanti, tra le forze politiche e sociali, erano preoccupati per le ricadute negative di una fine anticipata della legislatura. Un messaggio così traducibile: qualora il Presidente valutasse, come un tempo Einaudi, che «ce n’è bisogno», non esiterà a insediare un governo d’emergenza nazionale per fronteggiare la tempesta finanziaria in atto. Intelligenti pauca.
In questa cornice si inserisce il fatto che ha avviato la dissoluzione della maggioranza di governo: la votazione dell’11 ottobre 2011 con cui la Camera dei Deputati ha bocciato l’art. 1 del rendiconto generale dello Stato. Il giorno successivo il Quirinale diramava una nota che aveva il sapore di un ultimatum al Governo. Il Presidente si chiedeva «se la maggioranza di governo ricompostasi nel giugno s...