Il diritto penale come etica pubblica
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Il diritto penale come etica pubblica

Considerazioni sul politico quale "tipo d'autore"

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Il diritto penale come etica pubblica

Considerazioni sul politico quale "tipo d'autore"

About this book

L'idea che l'etica pubblica sia oggi circoscritta al diritto penale può sembrare una provocazione che risente di una deformazione professionale nel punto di osservazione. Nondimeno, la permanente messa sotto accusa della classe politica, insieme a quella imprenditoriale, da parte della magistratura non è solo segno di una crisi della politica, ma anche espressione del controllo della sua moralità. In un contesto culturale dove ogni etica tradizionale (cattolici, laici, comunisti, socialisti, liberali eccetera) è ormai declassata a morale privata, e dove il pluralismo e il multiculturalismo impongono che solo il diritto, mediando tra stranieri morali, sia espressione di un'etica pubblica, che pure, finché giuridica, non obbliga in coscienza, il comando più autoritario ed espressivo di un prohibiting non riducibile a onere o a tassa, è quello penale. Senza nulla concedere al pensiero che se una condotta è penalmente irreprensibile sia politicamente corretta, occorre peraltro recuperare le virtù repubblicane senza le quali ogni legge è inerme, come regola senza costume. Tali virtù non sono l'effetto di una macchina giudiziaria dove tutti sono sottoponibili a un controllo di "moralità pubblica" attraverso un processo penale. Questo stato delle cose ha invece prodotto l'effetto di un uso strumentale del processo penale, e dunque una sorta di indiretta privatizzazione della giustizia, usata via via da vari protagonisti come strumento di lotta politica. Se non è detto che la ragione pubblica si esprima solo attraverso una qualche Corte suprema, certo sarebbe grave se l'etica pubblica fosse riconosciuta e praticata solo per effetto dei processi penali che la sanciscono.

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Information

Year
2015
Print ISBN
9788870006377
eBook ISBN
9788870006728
Topic
Law
Subtopic
Criminal Law
Index
Law
1. La sovraesposizione della magistratura penale oltre il repubblicanesimo: specificità di un fenomeno italiano
In nessun Paese che io conosca le amministrazioni locali e quelle regionali, i parlamentari, gli esponenti dei partiti, di regola insieme agli imprenditori, sono così esposti come in Italia all’azione penale e alle indagini delle Procure della Repubblica, e poi al controllo e talvolta anche all’applicazione di sanzioni effettive da parte della magistratura giudicante.
Non è un giudizio di valore. Il mestiere del politico è da noi particolarmente a “rischio penale”, anche se non ancora come quello dell’imprenditore, specialmente in forma societaria. L’abolizione dell’autorizzazione a procedere per i parlamentari, avvenuta nel 1993 nel pieno di Tangentopoli, può essere vista solo come una delle condizioni giuridiche del sistema perché esso “funzioni” così. Lo stesso dicasi, per quello che concerne le singole condizioni giuridico-istituzionali del fenomeno del “rischio penale” della classe politica, dell’effettiva indipendenza della magistratura italiana1, comprese la politicizzazione e la visibilità mediatica di alcuni pubblici ministeri, del ruolo iperattivo e libero da vincoli della stampa e della televisione nella fase delle indagini, e della perdita di credibilità dei partiti politici e delle loro “comunicazioni simboliche” post-ideologiche, quale veicolo di rappresentanza. Il fenomeno presenta tante peculiarità da avere sollecitato analisi continue2, anche oltre gli aspetti internazionali di una “espansione mondiale del potere giudiziario”3. Queste condizioni nazionali hanno favorevolmente svolto un ruolo importante nelle prime due grandi battaglie storiche che il paese ha di fatto superato anche grazie al contributo decisivo della magistratura e al prezzo di numerose vite umane che è stato sopportato dalla stessa magistratura: l’emergenza terrorismo e l’emergenza mafia. C’è poi stata la terza grande sfida che sempre la magistratura ha condotto per il risanamento delle istituzioni: tangentopoli e la corruzione istituzionale.
Questa battaglia è ancora in corso ed è la più dura di tutte, perché riguarda un vero problema di ethos nazionale, che non attiene alle sole fattispecie di corruzione: un contrasto con noi stessi, e non contro gruppi criminali in qualche misura esterni o avversi, anche se espressione della società. E dunque ancora più rilevanti a me paiono le condizioni culturali che governano la “lotta” alla corruzione delle istituzioni, ma anche dell’impresa e dell’economia: cosa c’è nella testa dei politici e dei giudici, dell’opinione pubblica e dei mass-media, come si svolge effettivamente la lotta politica in Italia, quali sono realmente il costume e il comportamento della classe di governo, la sua moralità, quali insuperabili commistioni di potere esistono tra politica ed economia e magistratura stessa, tali da frenare, condizionare o bloccare ogni intervento decisivo al riguardo. E infine, quale tipo di controllo effettivo esista sul potere politico, al di là del sindacato sull’etica pubblica in termini di giudizio di “criminally innocent” = politically correct. Un’equazione che a qualsiasi persona sana di mente dovrebbe apparire inconcepibile anche, e anzi soprattutto, nel Paese di Machiavelli4.
È stato il repubblicanesimo americano, a ripresa di tematiche dell’umanesimo civile e del repubblicanesimo italiano del Cinquecento, che dalla fine del secolo scorso ha rinnovato fortemente i temi della virtù civica e della corruzione (decadimento, lotte intestine, perdita di valori condivisi eccetera) quali aspetti centrali di una teoria del potere politico5: teoria costituzionale o politica, peraltro, della ‘vita activa’, non teoria del reato!6
L’esigenza che la virtù dei politici sia controllata e condivisa dai cittadini (come richiesto dal repubblicanesimo e dall’impegno civico che esso sollecita verso forme di patriottismo), non potendo costringere a tanto impegno quotidiano chi desidera nel tempo libero vedersi un film o guardare una partita di calcio, ha di fatto visto realizzato lo stesso risultato attraverso il controllo indiretto da parte della magistratura, oltre che della stampa.
Perché di questo andremo trattando. Per molto tempo da noi non è esistita più un’etica generale comune agli schieramenti politici, diversa da quella definita dal diritto e in particolare dal diritto penale.
La politica agisce mediante il diritto e anzi lo costruisce; solo in parte ne è da principio vincolata; ha grandi spazi7. Come si può pensare che essa sia ormai così priva di statuto etico-politico da avere bisogno di recuperare un orientamento ai valori attraverso il diktat di qualche provvedimento giudiziario penale?
In questa dimensione culturale si passa immediatamente da ciò che è reato a ciò che è lecito in quanto non delittuoso: come se la grande terra di mezzo, di quello che è società civile non perché non delittuosa, ma semplicemente e lecitamente perché privata o pubblica, fosse una realtà priva di autonoma definizione e forza aggregante. Dove è il delitto a stabilire il lecito – ciò che delitto non è! – abbiamo una società già compromessa o dal troppo penale (anche il non delitto appare spesso di difficile o incerta definizione), o da una mancanza di valori autonomi di etica socio-politica (manca un’etica non legale e non penalistica di comportamento), in quanto frammentata nell’individualismo di singoli o di gruppi le cui ideologie sono oggi un non-valore per la generalità. Non esiste insomma un’etica pubblica dei partiti, degli amministratori e della classe politica diversa dalla non delittuosità del comportamento, perché «va già bene», in termini etici, che esso non costituisca reato. Il resto è efficienza, accordo, consenso, risultato eccetera: un qualcosa che neppure si definisce bene nei termini di un’etica di matrice utilitaristica. Perché è chiaro che non stiamo ipostatizzando l’idea di un’etica di tipo kantiano, idealistica, in quanto anche una vera etica utilitaristica8, o anche soltanto orientata alle conseguenze, a verifiche ex ante ed ex post, in input e output, manca nella giustificazione pubblica della moralità dell’azione dei pubblici poteri.

1 Vanto nazionale. Cfr. N. Rossi, I tratti dell’esperienza italiana: l’indipendenza della magistratura e l’attiva presenza di una magistratura progressista, in Giudici e democrazia. La magistratura progressista nel mutamento istituzionale, a cura di N. Rossi, Franco Angeli, Milano, 1994, 283 ss. Per una forte rivendicazione di questi tratti, da ultimo, sempre testimoniando un’esperienza identitaria (ma in realtà non esclusiva) di Magistratura democratica, v. A. Canepa, Intervento svolto a Bologna al Convegno Il diritto penale fra scienza e politica. Nel ricordo di Franco Bricola, 20 anni dopo, 7-8 marzo, 2014, i cui atti sono in corso di pubblicazione. Per una riflessione critica (a posteriori) sulla parabola espansionistica del ruolo della magistratura rispetto al “controllo di legalità”, al “giudice di scopo” e a una presunta “missione di pulizia morale” del Paese, cfr. L. Violante, Magistrati, Einaudi, Torino, 2009, 51 ss., 161 ss. e passim.
2 V., per esempio, oltre al citato libro di Violante, C. Guarnieri / P. Pederzoli, La democrazia giudiziaria, il Mulino, Bologna, 1997; e in precedenza, sempre C. Guarnieri, Magistratura e politica in Italia. Pesi senza contrappesi, il Mulino, Bologna, 1992.
3 È il titolo del noto studio di C.N. Tate / T. Vallinder (Eds.), The Global Expansion of Judicial Power, New York University Press, New York, 1995. V. quindi, tra gli altri, C. Guarnieri/P. Pederzoli, La magistratura nelle democrazie contemporanee, Laterza, Roma-Bari, 2002; A. Garapon, Le gardien des promesses. Justice et démocratie (1996), tr. it., I custodi dei diritti. Giustizia e democrazia, Feltrinelli, Milano, 1997; A. Garapon, D. Salas, La République pénalisée (1996), tr. it. La repubblica penale, Liberilibri, Macerata, 1997.
4 L’onestà deve qualificare la condotta politica, ma non è un connotato della sua definizione obiettiva, scientifica. La lezione di Machiavelli, come noto, è andata anche oltre questa declinazione, nel separare più nettamente l’ambito del politico da quello della morale, in quanto il principe «bisogna che… abbi un animo disposto… a non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato» (Il principe, XVIII). Da quando, peraltro, la politica dei pubblici poteri si attua mediante il diritto, essendo quest’ultimo vincolato a intrinseci ed estrinseci limiti di legalità sovraregolamentare (decreti, regolamenti e provvedimenti del Governo e della P.A.) e sovralegislativa (atti del Parlamento), ogni forma di ragion di Stato è a sua volta subordinata a criteri di coerenza valoriale almeno di tipo costituzionale. Sul rapporto tra governo della legge (rule of law), stato di diritto e machiavellismo, cfr. L. Baccelli, Machiavelli, la tradizione repubblicana e lo Stato di diritto, in Aa.Vv., Lo stato di diritto, a cura di P. Costa e D. Zolo, Feltrinelli, Milano, 2002, 424 ss., che è quasi un commento all’esergo di Machiavelli sopra riprodotto, e riportato all’inizio anche di tale scritto.
5 Un aspetto della tradizione del pensiero politico del Cinqu...

Table of contents

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Citazione
  5. 1. La sovraesposizione della magistratura penale oltre il repubblicanesimo: specificità di un fenomeno italiano
  6. 2. Lo scenario storico-filosofico della distruzione della ragione classica
  7. 3. La ricerca di valori comuni e la linea Maginot del diritto “che proibisce” una violazione, anziché “fissare il prezzo” per poterla commettere: prohibiting vs. pricing
  8. 4. Verso la ragione pubblica. Tutte le etiche non giuridiche sono visioni private del mondo?
  9. 5. Criminally innocent = politically correct. Se l’unica etica pubblica rimasta è quella penalistica
  10. 6. Un pluralismo trasferito nel processo penale e fonte di conflitti giuridici
  11. 7. Incorrotto come competitivo. Quando la lotta alla corruzione istituzionale è presentata come problema utilitaristico e condizione di efficienza economica
  12. 8. Il corrotto come associato per delinquere e l’esenzione del politico da questa qualificazione
  13. 9. Le cause non giuridiche della corruzione istituzionale
  14. 10. Il tipo d’autore politico, tra valore generale della legge e uso della pena come strumento di lotta politica
  15. 11. Perché è necessaria un’etica pubblica non penalistica