II. Il contributo del diritto costituzionale comparato alla branca “storica” della scienza del diritto e all’intelligenza dei grandi fenomeni politici dell’epoca contemporanea
La concezione realistica delle norme e lo studio del diritto comparato, svolto con metodi appropriati, si supportano in certo senso a vicenda. La prima – che ha una sua base filosofica – induce il secondo a fare confronti tra normative di diversi ordinamenti guardando alle utilizzazioni delle norme di fatto intervenute nella storia degli ordinamenti, la sola loro vera realtà. Il secondo – che si muove su un terreno empirico – constata che per raffrontare intelligentemente ordinamento con ordinamento e rimarcare le vere somiglianze e differenze si deve prendere in considerazione la realtà delle norme applicate, e non la loro lettera presa in astratto isolamento.
Di fatto, la influenza crescente delle esperienze comparatistiche ha contribuito, non meno e forse più della teoria filosofico-realistica delle norme, a produrre il graduale superamento delle concezioni formalistiche del positivismo giuridico, dominante in Europa alla fine dell’Ottocento e rimasto con grande seguito anche nella prima metà del Novecento e oltre.
Quell’influenza ha concorso, in primo luogo, alla trasformazione, nel campo del diritto costituzionale in generale, del contenuto e della portata dei concetti fondamentali dello stato e della costituzione. La trasformazione è intervenuta ad opera, sovente, di giuristi non particolarmente impegnati in ricerche comparatistiche. Ma il loro indirizzo innovatore non può spiegarsi se non come riflesso di una mentalità aperta alla comparazione e pronta ad accoglierne i risultati.
A parte la riformulazione di concetti tradizionali, la comparazione nel diritto costituzionale ha facilitato la creazione di concetti nuovi, utilissimi per la esatta comprensione di aspetti essenziali dei modi d’essere delle attuali strutture degli stati.
Infine, la comparazione ha consentito di enucleare i grandi “modelli” dentro i quali vanno situate le molteplici esperienze politiche degli stati contemporanei, modelli costruiti attorno a valori fondamentali diversi e contrapposti, che hanno informato e informano attualmente di sé, a gruppi, quelle esperienze. Essa ha poi reso possibile, in particolare, la definizione scientifica, nel quadro della storia degli stati di tipo occidentale, dei distinti “modelli”, succedutisi nel tempo, dello “stato liberale” e dello “stato sociale”, nonché la individuazione della evoluzione dei principi, ad essi collegati, della divisione orizzontale dei poteri (forme di governo) e di quella verticale (il federalismo).
Vogliamo ricordare, in succinta sintesi, l’essenziale di questi contributi della comparazione alla scienza del diritto e alla conoscenza storica della grande politica contemporanea, prospettandoli in una versione che ne evidenzi la logica che nel profondo li ha animati.
a) Il concetto di stato
La teoria positivistica (espressa nella versione più organica e raffinata dalla grande scuola tedesca di fine Ottocento) concepiva lo stato come ente giuridico dotato per sua natura di un potere sovrano assoluto e illimitato, necessariamente presente in qualsiasi ben organizzato ordinamento politico; e ne cercava il riscontro d’esso in tutte le diverse esperienze politiche della storia. (Si parlava dello stato nelle forme politiche della antichità greco-romana, del medioevo, nonché dell’età moderna).
L’avvento di seri studi comparatistici, abbinato a un approccio realistico ai problemi della organizzazione politica delle comunità, ha finito per scalzare definitivamente questa raffigurazione mitologica delle esperienze politiche, denunciandone il carattere ideologico (mirante in sostanza a indirizzare in certo modo lo sviluppo e la applicazione delle normative degli stati della declinante età liberale).
Fatto il confronto con le effettive forme degli ordinamenti giuridico-politici del remoto e prossimo passato, si è facilmente constatato che il concetto di stato, definito in certa maniera, poteva soltanto applicarsi alle esperienze politico-giuridiche dei secoli successivi al Cinquecento; e che anche con riguardo all’età più vicina la pretesa dell’esistenza di un potere assoluto e illimitato non corrispondeva a rigore alla realtà vissuta delle normative statali applicate.
Lo stato dell’età moderna nasce dalla dissoluzione del pluralismo politico decentrato dell’Europa cristiana e feudale, e si caratterizza per l’assorbimento di un massimo di poteri da parte di un soggetto che a tutti gli altri soggetti della comunità sta giuridicamente sopra (e come tale può dirsi in senso forte, ma non assoluto, sovrano). Questa concentrazione si constata essere intervenuta, sia pure in misure caso per caso differenti almeno nei principali ordinamenti del periodo storico. Sicché la metodologia della scienza comparatistica consente agli studiosi di costruire un concetto astratto di stato, composto con le caratteristiche accennate, applicabile alle diverse fattispecie delle esperienze politiche del tempo, e di vedere se e quanto ciascuna d’esse abbracciasse le tendenze dominanti del periodo. L’applicazione del concetto mette in luce, con grandi vantaggi per l’intelligenza storica, quali forze e quali valori fossero di fatto operanti nei diversi casi, e quanto in ciascuno d’essi riuscisse ad affermarsi la logica del “modello” o “ideal-tipo” elaborato.
La scienza storico-comparatistica sa d’altronde bene che il concetto di stato, così costruito, ha validità storicamente delimitata, soggetta a correzioni più o meno ampia a seconda delle situazioni. Ed è questa consapevolezza che consente ora di scorgere i mutamenti intervenuti nelle fasi recenti degli ordinamenti statali rispetto alle caratteristiche presenti nelle fasi centrali del periodo. Gli stati dell’Ottocento potevano ricondursi a un concetto di stato includente la piena indipendenza dell’ordinamento nei confronti di altri ordinamenti. In diritto, nessuna norma di altri ordinamenti statali o del diritto internazionale poteva valere all’interno dell’ordinamento nazionale senza espresso, speciale consenso di quest’ultimo. Nel secolo ventesimo gli ordinamenti nazionali si sono di regola aperti alla diretta operatività nel loro seno di parte almeno del diritto internazionale, e si sono inseriti nella organizzazione internazionale delle Nazioni Unite e talvolta in organizzazioni di ordine regionale (come l’Unione Europea), le quali hanno comportato notevoli e crescenti limitazioni giuridiche alla loro indipendente sovranità. Il mondo sembra avviato oggi verso sistemazioni politico-giuridiche in cui il potere, concentratosi in soggetti sovrani a partire dal Cinquecento, torna a suddividersi tra soggetti politici plurimi, tra loro coordinati: quasi un rinascere, pur in condizioni del tutto diverse, del modello medievale. In queste prospettive, il concetto stesso di stato – posto che il termine rimanga in uso, come è probabile – dovrebbe subire mutamenti di contenuti rispetto a quelli ottocenteschi (e in parte li ha già subiti) per poter servire a un valido inquadramento descrittivo della nuova realtà.
b) Il concetto di costituzione
Per le teorie classiche del positivismo la costituzione rappresentava l’atto sovrano con cui lo stato istituiva e regolava, in piena libertà, il suo apparato di imperio, conferendogli il potere di disciplinare nei modi da esso scelti tutti gli aspetti della vita dell’ordinamento. Le libertà che gli stati liberali garantivano all’individuo venivano concepite come mere concessioni.
Una analisi realistica a livello storico globale ha indotto a formulare una diversa definizione del concetto, capace di valere per ordinamenti anche i più disparati. Per costituzione – in senso generalissimo – può intendersi l’insieme delle norme fondamentali che conferiscono a un qualsiasi ordinamento la sua specifica identità; norme che in esso sono dotate, a differenza della massa delle fluttuanti, di una relativa, maggiore stabilità e resistenza nel tempo; norme che sono, ad ogni effetto, la lex fundamentalis dell’ordinamento. Il concetto è stato adoperato con riconosciuto successo nella ricostruzione storica di esperienze politico-giuridiche quali quelle, per esempio, della Roma antica (De Martino), dell’Europa medievale (Brunner), del diritto internazionale (Ziccardi), ed anche di esperienze di ordine non politico (come quella dell’ordinamento della Chiesa cattolica).
Con riferimento agli ordinamenti statali moderni si è però elaborata anche, a integrar...