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Tra le pietre un fiore. Una storia privata

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Tra le pietre un fiore. Una storia privata

About this book

Un artista emiliano semisconosciuto, innamorato della musica e dei sogni che spera di realizzare suonando e cantando le proprie canzoni insieme al suo gruppo, i FEV. Ma nella notte del 20 maggio 2012 tutto cambia. Un forte boato scuote violentemente l'Emilia e la ferisce in profondità a causa di un violento terremoto.
Gian Luca Taddia racconta quelle notti e quei giorni di terrore, insieme allo struggente racconto della sua prima grande fan, sua madre perduta contestualmente per un male tremendo, come un secondo terremoto nella sua vita.
Scrive una canzone sul terremoto, Bellemilia, dove descrive il dolore lancinante della sua gente emiliana, ma al tempo stesso motore e inno alla vita, dedicato a una terra così tormentata che però non molla mai.
Una canzone che decide di inviare a Gianni Morandi nella speranza che il grande artista emiliano la faccia propria. E inaspettatamente Gianni Morandi la trova bellissima e la inserisce all'interno del suo nuovo disco e la canterà nel mega concerto all'Arena di Verona. Bellemilia è un libro di una storia vissuta, dolorosa, ma al tempo stesso è un messaggio di speranza; è l'augurio per un nuovo inizio, scritto e cantato da un autore innamorato della sua terra.

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Information

CAPITOLO III
Ho un lavoro, per fortuna. In questi tempi di crisi è un aspetto per nulla scontato che mi rende privilegiato rispetto a tanti altri.
Dopo qualche anno giovanile da rappresentante dei primi prodotti dell’era dei computer, ho lavorato dodici anni nei supermercati della Coop a Bologna e poi nel nuovo millennio in CGIL.
Ho una compagna che non vive stabilmente con me, più giovane ma più matura di quanto non sia io e con la quale condividiamo un bellissimo rapporto e l’amore profondo per i gatti che riteniamo, indubitabilmente, esseri superiori.
Ho una passione incontenibile per la musica, senza la quale dubito sarei ciò che sono oggi, nel bene e nel male.
È alla musica che devo il fatto di essere stato lontano dalle droghe quando tutti intorno a me ne facevano uso. È grazie alla musica se ho potuto sopportare un enorme complesso dovuto al mio essere “diversamente magro”. È la musica che mi ha dato le emozioni di cui avevo bisogno quando le mie fissazioni non mi consentivano di vivere quelle stesse emozioni con i miei coetanei, specie se erano ragazze. Ed è infine grazie alla musica se ho superato, o credo di averlo fatto almeno in parte, quei complessi.
Da quel giorno di scuola, da quella Lugano Addio, di canzoni ne ho imparate parecchie. Con la fortuna di una voce discreta mi sono prima divertito e poi rotto i coglioni in tanti anni di piano bar.
Adoravo cantare i pezzi di Morandi. Non quelli degli anni Sessanta che fanno tutti. Naturalmente qualcuna di quelle canzoni era inevitabile cantarla: La fisarmonica, Non son degno di te, Occhi di ragazza, C’era un ragazzo che come me...
Quello che davvero amavo era il Morandi di Canzoni Stonate. Quell’album era bellissimo. Era anche il suo vero ritorno sulla scena musicale italiana dopo un lungo periodo oscuro.
È stato un album che ho adorato. Mi ha accompagnato per tutto il servizio militare e tutta la vita che avrei avuto davanti.
Mi teneva compagnia nelle lunghe ore di guardia con quindici gradi sotto zero; mi teneva compagnia quando la sera non riuscivo a dormire; mi teneva compagnia quando imbracciavo la chitarra e suonavo solo per me o per gli amici, le canzoni che lo componevano.
“Tu gridi aiuto e nessuno ti ascolta... e soprattutto lei…”
Da quel momento Morandi è stato un compagno di viaggio costante. Sono andato a molti suoi concerti. Il primo a Cesenatico, in un agosto caldissimo del 1982, al campo sportivo. La band era composta da quelli che poi sarebbero diventati i Tazenda. Allora si facevano chiamare Sole Nero e la voce del mai sufficientemente ricordato Andrea Parodi era già fantastica. Poi ne sono seguiti molti altri, anche se l’emozione più grande l’ho provata nei concerti del tour teatrale dove lui e Michele Santoro, non il giornalista tv, con solo due chitarre e qualche base, portavano in scena uno show clamoroso.
Il sipario si apriva e Gianni dava le spalle al pubblico seduto su una di quelle scalette di legno usata come sgabello. Si voltava e, dopo l’inevitabile applauso del teatro, partiva con un Sol minore e quella frase fantastica: “Canto solamente insieme a pochi amici, quando ci troviamo a casa e abbiam bevuto, non pensare che ti abbiam dimenticato, proprio ieri sera parlavamo di te”. Era come se ti stesse parlando. Creava immediatamente quel senso di intimità che faceva sparire le altre mille persone presenti. Era lì per te. Solo per te.
Avevo comprato due biglietti per andare al concerto che teneva a Bologna alla Sala Europa.
Avrei visto quel concerto per la terza volta, ma quello che lo differenziava dagli altri era il fatto che ci sarei andato con mio padre. Mi piaceva condividere queste cose con lui.
Ero riuscito a prendere due biglietti in alto nelle ultime file in un teatro completamente esaurito. Una volta entrati andiamo verso i posti a noi assegnati e troviamo due persone già sedute. Verifichiamo i biglietti e in effetti sono uguali per fila e numero ma loro sono arrivati prima e lo fanno notare con una certa supponenza come per dire: “Eh eh, noi siam qui e voi adesso vi guardate il concerto in piedi”.
Ci rivolgiamo ad una di quelle ragazze che ti indirizzano al posto giusto nei teatri, credo che allora le chiamassero “maschere”. Questa geniale e carinissima “maschera”, vista la situazione, ci invita a seguirla. Ci porta in seconda fila centrale, nei posti riservati agli inviti che a volte restano liberi. Fantastico. Incredibile. Bellissimo colpo di culo. E bellissimo anche voltarsi e guardare perfidamente la faccia di quei due che, visti da qui, sono lontanissimi e verdi di invidia.
Sono quelle piccole cose che ti danno una soddisfazione esagerata e un senso di rivincita a “non si sa bene che cosa” ma che comunque ti riempiono per un attimo di gioia infantile mista a quella sana dose di cattiveria insita nell’essere umano.
A metà concerto Gianni viene davanti al proscenio, in quella che pareva essere una passerella e, mentre Santoro lo accompagna con la chitarra nell’esecuzione di un classico della canzone napoletana, sai che fa? Si mette il microfono in tasca e canta a voce nuda.
Una sala con più di mille persone cade in un silenzio che aveva un qualcosa di religioso.
A voce nuda e cruda ci ha tenuti inchiodati alle poltrone senza che nessuno si permettesse un respiro che spezzasse quell’incantesimo. Un momento molto teatrale, furbo fin che si vuole, un trucco da navigato mestierante, un effetto scenico che però solo un grande artista può permettersi.
Avevamo le lacrime agli occhi sia io che mio padre. Era ad un metro e mezzo da noi e potevamo sentire il rumore che facevano le sue dita, grandi come è noto, serrate in un pugno di concentrazione e sforzo. Ho portato a lungo dentro di me quel momento e ringrazio Gianni per avermelo regalato.
Non so perché, ma la musica è qualcosa di più di una passione. Mi entra dentro e mi dà ciò di cui ho bisogno. Un nutrimento emozionale vero e proprio.
Ho cantato davvero tanto nei piano bar. Le mie serate erano una specie di “caffè concerto” o così mi illudevo che fossero. Non un sottofondo, ma una roba piuttosto invasiva, anche per il volume che tenevo e, se non ti piaceva, potevi anche andare in un locale più silenzioso.
Provo una grande tristezza per chi si fa in quattro per una serata intera mentre la gente è distratta dalle proprie discussioni. Al massimo si avvicinano per chiederti se «puoi abbassare il volume?». Li odiavo. Prima di iniziare la serata ti potevo dire esattamente chi si sarebbe avvicinato per dirti la frase fatidica. Non sbagliavo quasi mai perché c’è una particolare tipologia di essere umano che basta guardarlo un attimo e capisci immediatamente che è un rompicoglioni.
Dopo un po’ la passione diventa sacrificio e lasci perdere.
Ho smesso per un paio d’anni e all’inizio andava bene. Sembrava fossi riuscito a disintossicarmi. Poi “la bestia” ritorna. Ti manca da morire quella tensione di quando stai per iniziare. Ti manca la fatica di montare l’impianto e di fare i suoni, ti manca l’odore degli amplificatori quando si scaldano, ti mancano soprattutto gli applausi che, fortunatamente, non mi sono mai mancati. E non è mica un fatto di successo. Puoi cantare in un palasport gremito o nell’osteria dell’ultima Festa dell’Unità davanti a cinque persone e la base di quell’emozione è fondamentalmente la stessa.
Non avrei più fatto piano bar nel senso tradizionale del termine, questo era sicuro, così come non sarei più stato disponibile a suonare in occasioni quali matrimoni, cresime, feste di addio al celibato, feste di laurea, capodanno e similari.
Avrei fatto solo qualche serata cantando le canzoni che piacevano a me senza piegarmi a fare il jukebox che esaudisce le richieste con dedica e avrei anche proposto canzoni mie, se me ne fosse data la possibilità.
Ho mandato un cd con un brano autografo alla selezione di Sanremo Giovani e sono stato preso. Fu una bella esperienza. Sono andato con mio padre.
Abbiamo dormito per tre giorni all’Hotel Morandi. Abbiamo conosciuto Ruggeri, i Timoria di Francesco Renga ed altri che ora non ricordo. Sono stato naturalmente eliminato al terzo giro perché, obiettivamente, la canzone faceva schifo e avrebbero fatto bene ad eliminarmi subito.
In giuria c’era Fio Zanotti. Produttore e grande musicista che adoravo per averlo ascoltato un mil...

Table of contents

  1. Bellemilia
  2. Titolo
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Dedication
  6. Prologo
  7. Capitolo I
  8. Capitolo II
  9. Capitolo III
  10. Capitolo IV
  11. Capitolo V
  12. Capitolo VI
  13. Capitolo VII
  14. Capitolo VIII
  15. Capitolo IX
  16. Capitolo X
  17. Capitolo XI
  18. Capitolo XII
  19. Epilogo