PRIMO CAPITOLO
LA BIZZARRA NASCITA DEL PDL TRA INCOGNITE E SPERANZE
Il partito nuovo nasce sul predellino di un’automobile, alle ore 18 del 18 novembre 2007 a Milano, in Piazza San Babila. Silvio Berlusconi lo annuncia alla folla che lo circonda. Annuncio a sorpresa, che determinò un’accelerazione nella confluenza in una stessa lista di Forza Italia e di Alleanza Nazionale in vista delle elezioni di aprile 2008. Un anno dopo, a fine marzo, i due partiti si sciolsero e diedero vita al Popolo della libertà, il partito unico del centrodestra al quale aderirono altri soggetti minori. Pier Ferdinando Casini non salì sul predellino e si incamminò lungo la via terzista che lo avrebbe portato tra il 2011 e il 2012 al tentativo – fallito – di costruire il Terzo polo, dopo la rottura di Fini con Berlusconi e l’avvento sulla scena politica di Mario Monti e del governo dei tecnici. Anche Umberto Bossi non ne volle sapere del Pdl, preferì tenersi libere le mani (politiche) cercando, da alleato, di conquistare la golden share nel quarto governo Berlusconi. Solo tre anni dopo, il 5 aprile 2012, il Senatur lascia il timone della Lega e si dimette dopo le inchieste della procura di Milano sulla gestione dei fondi del partito. Finisce un’era.
Nella fase di avvio (27 febbraio 2008), il Pdl si costituì come aggregazione elettorale e raccolse il 37,4 per cento dei consensi risultando il partito più votato, per poi formarsi come partito vero e proprio. Vita breve e percorso accidentato per un progetto politico destinato, nelle intenzioni originarie, a modernizzare il Paese, dare finalmente consistenza alla “rivoluzione liberale del ‘94”, consolidare il modello bipolare e la democrazia dell’alternanza, secondo lo schema delle più avanzate democrazie occidentali. Molti di quegli annunci rimasero appesi al predellino di un’auto.
LE ANIME COMPATIBILI DEL PDL
19 aprile 2008
Il bipolarismo che i partiti non erano riusciti a costruire in quindici anni, affermatosi grazie al voto degli italiani, adesso va consolidato ed organizzato. Compito al quale dovranno necessariamente dedicarsi le forze politiche se non vorranno vedere vanificato il risultato scaturito dalle urne.
Il Pd, indubbiamente, è più avanti della lista-coalizione del Pdl, ma è anche vero che rimettere insieme i cocci nel loft veltroniano sarà piuttosto faticoso e lungo.
Il centrodestra, con il vento a favore, ha invece la possibilità di dedicarsi sia alla costruzione della squadra e del programma di governo che alle strutture del soggetto unitario il quale, a questo punto, dovrà necessariamente nascere sul presupposto che sono gli elettori a richiederlo: deluderli potrebbe innescare forme di disaffezione dalle conseguenze imprevedibili.
A differenza del Pd, prodotto di una “fusione a freddo”, e freddo sembra essere rimasto nonostante la passione di qualche suo dirigente, il Pdl non ha bisogno di un laboratorio nel quale strutturarsi come un vero e proprio partito politico per il semplice fatto che la sua natura, la sua essenza, i suoi connotati sono quelli che i suoi elettori esprimono, richiamati tante volte quando si è parlato di partito unico del centrodestra. Si riassumono in un complesso valoriale e culturale proprio dei ceti più dinamici e produttivi del Paese, legati alla tradizione storico-culturale italiana, ma nello stesso tempo proiettati in una visione modernizzatrice delle istituzioni, dell’economia, della società nel suo complesso. Il soggetto nasce dal basso, dunque, e non dalla necessità degli oligarchi di mettere insieme spezzoni di partiti per tentare di sopravvivere. E, per di più, non è detto che non debba avere un’anima.
A quest’ultimo riguardo, sarà interessante osservare come coloro i quali si riconoscono nel Pdl siano portatori di istanze diverse, ma non conflittuali tra di esse. Perciò sarebbe un errore continuare a considerare il nuovo soggetto chiamato a guidare il Paese come un assemblaggio occasionale di identità costrette a convivere per pura convenienza. È vero esattamente l’opposto.
Dalla fusione di identità, culture, esperienze è venuto fuori, e dovrebbe precisarsi, un amalgama tale da costituire una nuova identità. Dunque, sarà indispensabile (ma non difficile) abituarci a considerare il Pdl come un soggetto completamente diverso da una banale sommatoria di componenti. I risvolti immediatamente politici di tutto ciò sono evidenti fin nell’allestimento della compagine governativa. Sarebbe sbagliato, infatti, se si procedesse per quote, diciamo così, rappresentative a seconda della presunta (visto che non ci sono dati oggettivi di misurazione e comparazione) consistenza delle forze che si sono ritrovate nel Pdl.
La “pesatura” e la rappresentatività dei soggetti della lista-coalizione non s’addice in questa fase alla costruzione di un governo efficiente, coeso, forte di competenze perfino eccentriche rispetto allo stesso Pdl: qualcuno ha evocato il metodo Sarkozy, niente di scandaloso poiché si tratta di un metodo universale, a condizione che le politiche che esprimerà siano coerenti con un progetto del quale il garante non può che essere il presidente del Consiglio.
Un bipolarismo maturo è quello che fa convivere due grandi partiti in una concezione della democrazia dell’alternanza nella quale non sono previste fibrillazioni e neppure periodiche crisi di rigetto. Il presupposto del funzionamento di un tale sistema, come si sa, è la reciproca accettazione che si concretizza al più alto livello quando è necessario compiere scelte strategiche per il Paese o quando si devono riformare istituzioni importanti.
Di fronte a prospettive del genere, maggioranza ed opposizione sono “costrette” a dialogare alla ricerca del “bene comune”, fondamento della politica dimenticato, purtroppo, nella nostra fragile e litigiosa democrazia. Tutto ciò non ha niente a che vedere con la “spartizione” delle cariche istituzionali evocata da Veltroni nei giorni scorsi. Il leader del Pd probabilmente ha dimenticato che, privo di una consistente maggioranza parlamentare ed addirittura minoritario elettoralmente, il centrosinistra al debutto della scorsa legislatura si prese tutto quello che si poteva prendere, senza tenere minimamente conto dello stato delle cose.
Adesso cosa dovrebbe fare il Pdl, che ha maggioranze schiaccianti al Senato ed alla Camera, concedere ai terremotati del loft la seconda o la terza carica istituzionale perché così vorrebbe il bon ton?
La Democrazia cristiana per decenni se l’è tenute entrambe e nessuno protestava poiché i numeri erano dalla sua parte e chiunque riconosceva il suo buon diritto ad esprimere quasi tutte le più alte cariche dello Stato. Veltroni dovrebbe sapere che non c’entra niente con il bipolarismo e con la democrazia compiuta quel che lui reclama per dimostrare la precaria esistenza in vita del suo partito, già alle prese con il trucco dell’Italia dei Valori che si rifiuta di riconoscere il patto che prevedeva il suo scioglimento nel Pd.
In una democrazia bipolare non sono negoziabili né le conseguenze dei risultati elettorali acquisiti né le promesse fatte agli elettori. Nel loft, probabilmente, ristagna ancora l’odore di certe pratiche partitocratiche che dà il senso di un’operazione non ancora conclusa, quella del partito unico di centrosinistra appunto.
Davanti a noi ci sono cinque anni di vita politica che dovrebbero essere utilizzati dai maggiori partiti per strutturarsi al meglio, radicarsi sul territorio, dialogare sulle riforme, far ripartire l’Italia. Il Pdl ha, naturalmente, qualche responsabilità in più, ma non commetta l’errore di esaurire la sua funzione nell’azione di governo.
Il bipolarismo è irreversibile per tutti, figuriamoci per chi l’ha inventato e voluto resistendo al richiamo dolciastro del proporzionalismo nel quale ci sarebbe stata gloria per tutti, come è facile capire, ma non per l’Italia. Gli elettori l’hanno percepito benissimo, a destra come a sinistra.
Ora, chi ritiene che non si può e non si deve tornare indietro si regoli coerentemente.
L’OBIETTIVO DEL PDL NON È LA “FUSIONE A FREDDO”
11 maggio 2008
Il processo costituente del partito unico del centrodestra comincia a tutti gli effetti oggi, con le dimissioni di Gianfranco Fini da presidente di Alleanza nazionale e l’avvio di una fase di transizione che dovrà culminare nella nascita, prevista per gli inizi del prossimo anno, del nuovo soggetto politico. Forma, strutture, programma ed idee sono da mettere a punto, non da inventare dal nulla, posto che da tempo ormai si ragiona sulla consistenza del partito che dovrà incarnare i valori dell’Italia profonda e renderli permanenti nel panorama politico del nostro Paese.
Il Popolo della libertà non potrà essere una sommatoria di movimenti, ma lo strumento di una visione del mondo dotata di una sua organizzazione fortemente e capillarmente radicata sul territorio.
Resta da definirne l’identità: lavoro non facile, ma tutt’altro che velleitario. Ed a questo dovranno volgersi le intelligenze dei leader e dei gregari, dei dirigenti e dei militanti e perfino dei semplici simpatizzanti. La fisionomia di un partito politico è affare tutt’altro che irrilevante quando l’ambizione di questo voglia misurarsi con le grandi sfide del nostro tempo.
Perciò immaginare la preservazione delle vecchie identità, la cristallizzazione delle stesse o la gelosa custodia delle differenze potrebbe rivelarsi fatale alla riuscita del progetto al quale Berlusconi e Fini guardano da qualche anno. Le identità, insomma, per quanto certamente nobili, sono fatte per essere superate in una nuova più grande identità.
La contaminazione tra esperienze politiche, derivazioni culturali, sensibilità sociali è il dato che definisce positivamente la modernizzazione politica dalla quale non si può e non si deve prescindere immaginando una formazione capace di interpretare il rinnovamento restando fedele a determinati principi e ad una tradizione storica e civile che ha i caratteri dell’italianità, dell’europeismo e del cristianesimo.
Insomma, guardando a quanto è accaduto nel centrosinistra, vale a dire alla costruzione del Partito democratico, il centrodestra è obbligato a fare l’opposto, cioè mettere insieme le varie anime che lo popolano in una innovativa costruzione che sia federale per ciò che concerne l’organizzazione sul territorio, popolare per quanto attiene alle aspirazioni rappresentative, conservatrice per ciò che riguarda i valori a cui si ispira.
È possibile immaginare un partito con queste caratteristiche? Francamente non vedo alternative. E soprattutto mi è chiara la dimensione della “scommessa” che con il soggetto unitario viene portata all’attenzione degli italiani: si riuscirà, finalmente, a dare, per questa via, stabilità al bipolarismo ed alla democrazia dell’alternanza. Tanto basta perché si rompano gli indugi e si proceda speditamente verso il rinnovamento del sistema politico. Alleanza nazionale ha cominciato. Gli altri si affrettino.
È L’ORA DEL PARTITO UNICO
7 giugno 2008
Do you remember Pdl? Il partito unico del centrodestra, intendo, non la lista che ha vinto le elezioni. È lecito supporre che qualcuno se ne sia dimenticato. Probabilmente proprio chi non avrebbe dovuto. Pur riconoscendogli le attenuanti generiche, tuttavia non possiamo non biasimare che il soggetto unitario sia finito tra le anticaglie della politica degli annunci.
Ci si attendeva ben altra dinamicità che nessuna emergenza post-elettorale avrebbe potuto o dovuto frenare poiché la costituzione del Popolo della libertà in movimento organizzato dovrebbe marciare di pari passo con le molteplici e complicate vicende legate alla gestione della macchina governativa, alle incombenze parlamentari, alla formazione degli organigrammi dei gruppi. Sono passati mesi e più che una coalizione mascherata, come la situazione imponeva, altro non è stato fatto. C’è chi dice che non sarebbe più all’ordine del giorno il “sogno” del partito unico: dopotutto lo scopo, si aggiunge, è stato conseguito.
E allora a che cosa servirebbe? I gruppi parlamentari si sono uniti. La macchina, per quanto in affanno, funziona. Qual è il motivo per cui ci si dovrebbe affrettare a dare vita ad un soggetto organico in grado di superare lo stesso schema del centrodestra?
Si congettura di frenate, raffreddamenti, ostilità addirittura da parte di questo o quell’esponente del Pdl. Berlusconi non si pronuncia. Lo comprendiamo: ha ben altro a cui pensare. Ma anche noi, che pur non fummo entusiasti del “discorso del predellino” e non glielo mandammo a dire al Cavaliere che non era quello il modo in cui poteva nascere un partito dotato di grandi ambizioni, quando abbiamo preso contentezza della necessaria accelerazione impressa al cambiamento del sistema partitico dal Pd e dalla sua timida discesa in campo in solitaria, non ci siamo sottratti, dopo aver sostenuto con pochi altri, almeno dal 2003, l’indispensabile “fusionismo” (non certo a freddo) nell’ambito di quella che era la Casa delle libertà, conviti che non c’era più tempo da perdere.
Gli elettori hanno apprezzato. Ma il partito unitario non basta farlo nelle urne. C’è bisogno di altro.
O qualcuno pensa davvero che si possano riproporre vecchie divisioni o, nella migliore delle ipotesi, un altro listone in viste delle europee dell’anno prossimo senza aver definiti valori, progetto, schema organizzativo, organigramma e, quel che più conta, una politica nuova frutto di un’aggregazione ormai acquisita?
S’illude chi ritiene di poter rimandare alle calende greche la costruzione di una formazione che innanzitutto sia il prodotto del superamento delle identità dei “soci” che ritengono di partecipare all’operazione in una più grande identità. C’è un oceano, per chi non lo avesse capito, da solcare prima di arrivare all’approdo immaginato.
E nel frattempo, sia detto senza perifrasi, cresce il disagio in tanti dirigenti periferici di Forza Italia e di Alleanza nazionale, oltre che in tantissimi parlamentari i quali vedono marginalizzato il loro ruolo dopo aver sbandierato ai quattro venti che il processo costituente era alle porte.
Se davvero si ritiene che il sistema partitico acquisti l’efficienza sperata, è indispensabile che il partito del Popolo della libertà lo si faccia davvero, s’individuino soggetti anche al di fuori delle nomenclature e delle oligarchie in grado di provvedere allo scopo, le si metta in condizione di elaborare un progetto coerente soprattutto sotto il profilo culturale e non si risparmi l’ambizione di volersi candidare alla guida dei processi socio-economici al cui confronto la politichetta nostrana è a dir poco patetica.
Il partito unico è il solo evento “rivoluzionario” possibile. Non lo si annunci più, per favore. Lo si faccia.
DI FRONTE ALLO SFASCIO DEL PD CHE FA IL PDL?
11 giugno 2008
Lo sfascio del Pd, la frammentazione e l’irrilevanza della sinistra radicale, il massimalismo impolitico e volgare del dipietrismo, in altre parole, l’inconsistenza dell’opposizione impongono al Pdl l’assunzione di maggiori responsabilità nella guida e nella ricostruzione del Paese. Insomma, il centrodestra è “condannato” ad una lunga corsa in solitaria, privo dello stimolo della coalizione avversaria e del suo corretto controllo sull’attività di governo.
È un’anomalia, ma non ci si può far nulla a meno che il Pd non cambi radicalmente registro e rompa i ponti con l’universo giustizialista e girotondino.
Se il partito di Veltroni rinuncia ad inseguire il miraggio di innescare nella disputa politica dosi massicce di radicalismo e riprende la via del riformismo possibile, magari cominciando con l’accettare lo statuto dell’opposizione propostogli dalla maggioranza, il bipolarismo può ancora avere un avvenire.
Al contrario, nonostante le prese di distanza dal dipietrismo, se nei fatti continua ad assecondare le pulsioni più devastanti insinuatesi nelle istituzioni politiche, ancorché assolutamente minoritarie nella società civile, sceglierà la solitudine e, dunque, l’inevitabile, progressiva estinzione.
Comunque vada, in attesa di sviluppi che possano essere minimamente confortanti nel centrosinistra, il Pdl ha il dovere di onorare due impegni assunti con l’elettorato. Primo: governare senza alcun complesso di inferiorità, rinunciando perfino al dialogo se le condizioni non muteranno. Secondo: costituirsi in tempi ragionevolmente brevi come una vera e propria forza unitaria. Sono piani distinti, ma connessi dall’obiettivo di modernizzare il sistema politico e, soprattutto, le strutture civili e socio-economiche del Paese. Tanto meglio sarebbe se questo scopo venisse perseguito anche con il concorso delle altre forze politiche, ma nella situazione data ci sembra francamente fantascientifico. Allora, il Pdl dovrà necessariamente coinvolgere, al di fuori del logoro schema destra/sinistra, tutte le componenti dinamiche e culturalmente avanzate le cui aspettative non coincidono con il reazionarismo del centrosinistra così com’è strutturato, e con esse avviare un confronto produttivo incrociando le loro istanze, interpretandole, trasformandole in provvedimenti coerenti con le esigenze generali.
Senza dimenticare il contesto nel quale si opera. Il dato economico-sociale prevalente è quello della stagnazione, come si sa. È pertanto necessario dislocare risorse dove la povertà si sta trasformando in miseria ed in quelle aree del Paese maggiormente bisognose di cure e non di assistenzialismo clientelare. Ma, prioritariamente, bisogna ridare un’anima all’Italia che tutti gli indicatori ritengono ripiegata su se stessa, in declino.
La cultura, la formazione, la ricerca non possono essere trattate come eventualità da tenere retoricamente all’attenzione sapendo che poi non se ne farà niente. Il partito unico, del quale com’è noto si favoleggia da tempo immemorabile, finora non s’è visto. E ancora nulla s’intravede anche se i dir...