Il Libro di Ruggero
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Idrisi

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Idrisi

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Scritta da un viaggiatore arabo del XII secolo, il titolo originale dell'opera è "Il diletto di chi è appassionato per le peregrinazioni attraverso il mondo", divenuta più nota come "Il libro di Ruggero". Il testo risulta prezioso riferimento geografico-toponomastico, frutto maturo di quel ponderatissimo colloquio greco-arabo-latino che si intrecciò alla corte del re normanno. Al lettore si apre un mirabile percorso dalla Sicilia a Roma ed oltre, attraverso fondachi, mercati, bagni, botteghe, fortezze, castelli, caravanserragli, mulini, casalini, fiumi, monti, coste e promontori: la natura e la cultura indagate insieme per rendere suggestiva testimonianza di un'epoca.

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Information

Year
2012
ISBN
9788878043336
Tascabili
Flaccovio
8
Idrisi
Il Libro di Ruggero
Il diletto di chi è appassionato
per le peregrinazioni attraverso il mondo
traduzione e note di
Umberto Rizzitano
FLACCOVIO EDITORE
Proprietà artistica e letteraria riservata all’Editore a norma della legge 22 aprile 1941 n. 633. È vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, anche per mezzo di fotoriproduzione, sia del testo che delle illustrazioni.
ISBN 9788878043336
www.flaccovio.com [email protected]
© 2008 copyright by S. F. Flaccovio s.a.s. - Palermo - via Ruggero Settimo, 37
Stampato in Italia - Printed in Italy
Prefazione
La cultura siciliana in epoca normanna non poteva non riflettere la poliedricità della vita intellettuale dell’isola, sempre più ricettiva e diffusiva di quelle correnti mediterranee di pensiero che trovavano la loro triplice fonte di alimentazione nella tradizione greca, araba e latina. Il Nuzhat al-mushtàq fi ikhtiràq al-afàq – ossia «Il diletto di chi è appassionato per le peregrinazioni attraverso il mondo», come suona l’estroso titolo dell’opera geografica che presentiamo in traduzione italiana – è appunto il frutto più maturo della componente arabo-islamica di tale trittico.
Gli studi geografici e cosmografici ebbero modo di svilupparsi nel mondo musulmano solo agli inizi del secolo IX nell’ambito dei nuovi interessi determinatisi alla corte del califfo abbàside al Ma’mùn (813-833) verso alcune delle più genuine espressioni culturali del mondo greco e, nel caso specifico, anche indiano. Ad avvantaggiarsi di quell’improvviso quanto fecondo dischiudersi dell’Oriente islamico a discipline non appartenenti alla più genuina tradizione araba fu la geografia scientifica – o supposta tale – seguita di rincalzo da quella descrittiva in cui militò un cospicuo numero di neofiti, autori di opere che in parte si imposero alla attenzione degli studiosi.
Se i precursori di questo genere neoterico si proposero con le proprie compilazioni, inizialmente manualistiche, di fornire ai segretari delle Cancellerie insediate nei vari territori musulmani dei prontuari di consultazione per l’espletamento delle loro funzioni amministrative, altri eruditi invece indulsero a ravvivare con divagazioni di carattere letterario la materia più strettamente tecnica dei loro scritti geografici. In tale senso operano alcuni epigoni, che spesso seppero erudire dilettando, alternando cioè l’esposizione scientifica con racconti più o meno rocamboleschi sui vari territori e sulle genti dell’ecumene musulmana, racconti dovuti all’esperienza personale ma anche all’accesa fantasia di navigatori e capitani di ventura.
Ma fin dal secolo X, quando con l’intensificarsi dei traffici commerciali e delle esplorazioni nei territori del Medio ed Estremo Oriente divennero più dirette e feconde di risultati le esperienze di viaggiatori arabi e persiani, alcuni fra i più apprezzabili esponenti della geografia descrittiva cominciarono a mostrarsi poco di-sposti a fare uso di quella dilagante aneddotica geografica che meglio precisate e precisabili conoscenze specifiche tendevano a squalificare ed a sostituire con più attendibili informazioni, ulteriormente arricchitesi in quell’età ad opera delle missioni politiche e diplomatiche musulmane presso popolazioni fino allora poco note o del tutto sconosciute.
Non ad un pubblico di dilettanti ma piuttosto a lettori esigenti e preparati ad assaporare, più che l’amena narrativa delle volgarizzazioni geografiche, il contenuto tecnico di opere impegnative, si rivolsero alcuni qualificati esponenti di questo settore, i quali, sollecitati da istanze di carattere scientifico, si misero sul solco degli astronomi e geografi greci. E ben presto s’impose al mondo erudito islamico al-Biruni (m. nel 1048), erudito di origine iranica che si distaccò dalla cospicua schiera di geografi ed astronomi, cronografi e viaggiatori, per la conoscenza della lingua greca, sanscrita araba e persiana e per quella vasta dottrina nelle scienze matematiche ed astronomiche che lo segnalò all’attenzione di principi, mecenati e studiosi.
Diremo ancora – ma per concludere questo cenno, necessariamente breve, sullo sviluppo della geografia presso gli Arabi – che verso l’ultimo quarto del secolo XII nacque ed ebbe immediato sviluppo un genere, la Rihla, che fu di sostanziale contributo alle conoscenze storico-geografiche ed etnografiche insieme, dell’ecumene islamica; si trattò di relazioni più o meno circostanziate sulle esperienze dei viaggiatori che dai territori più periferici si recavano in pellegrinaggio alla Mecca: e l’occasione era propizia per visitare oltre ai luoghi santi dell’Islàm, anche altre famose metropoli del mondo musulmano. Il nuovo genere venne elevato a dignità letteraria soprattutto dall’andaluso Ibn Giubàir (m. nel 1217) che altri in seguito tenteranno di imitare senza mai tuttavia riuscire ad emulare. Nella sua Rihla il viaggiatore ci ha lasciato una suggestiva relazione del suo primo pellegrinaggio alla Mecca, estrosamente ravvivata dalla descrizione delle avventure capitategli nel corso delle lunghe peregrinazioni attraverso i principali centri della Valle del Nilo, del Higiàz, dell’Iràq, della Siria e della costa siciliana, percorsa fra Messina e Trapani dal dicembre 1183 al successivo febbraio. La parte più attraente di questo itinerario – in cui le pagine sulla Sicilia normanna di Guglielmo il Buono hanno per noi un valore documentario di eccezionale interesse – ha inizio soprattutto là dove l’esposizione storico-geografica e l’indugiare, spesso monotono, sui dettagli di carattere monumentale cedono il passo alla vivace descrizione di ambienti, folle e scene particolari, che trovano nel sagace viaggiatore un narratore vivace ed estemporaneo anche quando non sa resistere alla tentazione dell’artificiosa prosa rimata.
Nativo di Ceuta fu invece il nostro Idrisi – anzi Abu Abdallàh Muhammad ibn Muhammad ibn Idrìs, se vogliamo sottostare alle esigenze della bizzarra onomastica araba – discendente da una dinastia, quella degli Idrisiti, il cui eponimo aveva fondato, verso la fine del secolo VIII, uno Stato indipendente nel Marocco settentrionale, dove ancor oggi viene venerato. Dei diretti discendenti di quell’illustre ceppo alcuni legarono il proprio nome alle vicende della storia marocchina medievale, altri divennero invece famosi in Andalusia; ma dopo alterne vicende il ramo che era riuscito ad affermarsi a Malaga si stabilì a Ceuta, e qui appunto sembra avere avuto i natali nel 1100, quel rampollo che avrebbe dato lustro alla corte normanna di Sicilia.
Idrisi avvicendò agli studi, condotti con successo nella prestigiosa Cordova, i frequenti viaggi, che gli diedero la possibilità di conoscere, oltre alla Spagna ed al Marocco, Lisbona, la zona costiera della Francia ed il litorale britannico; pare anche accertata la sua conoscenza diretta dell’Asia Minore. Finalmente nel 1138, per circostanze che ci piacerebbe conoscere ma su cui le fonti tacciono, il giovane passò a Palermo quale ospite ambito della corte di Ruggero II ed alla morte di quest’ultimo trovò lusinghiere accoglienze anche presso il successore Guglielmo I. Al limite della maturità o forse già alle soglie della vecchiaia, il geografo – che appunto come tale si era imposto all’attenzione del mondo erudito in Sicilia ed altrove – decise di rientrare a Ceuta; secondo la tradizione più corrente, la morte lo colse nel 1165 nella città natale.
L’arrivo di Idrisi a Palermo segna il momento più suggestivo ma anche più fecondo di quel colloquio culturale fra la Cristianità e l’Islàm che ebbe la sua apoteosi proprio alla corte di Ruggero II, non il primo ma certamente il più qualificato fra quei dinasti normanni con cui la Sicilia si era resa garante, dopo i primi inevitabili attriti, di una pacifica convivenza fra vincitori e vinti. Auspice di quell’incontro, veramente sensazionale per l’assoluta diversità etnica e confessionale delle due parti, fu Palermo, che dopo essere stata la splendente medina degli emiri kalbiti, divenne con gli Altavilla la polis in cui si maturarono le più promettenti espressioni di una monarchia dalle salde strutture e si perpetuò la peculiare funzione della Sicilia quale coordinatrice di diverse tradizioni culturali.
In epoca normanna a promuovere tale coordinamento fu un sovrano: Ruggero II, forse stimolato a quell’iniziativa dello stesso clima spirituale dell’isola, che in epoca araba aveva già assistito, con lo scontro delle armi, all’incontro di due diverse civiltà, incontro da cui sarebbero rampollati più robusti virgulti sul piano culturale se la Sicilia bizantina avesse potuto disporre – come invece non fu – della necessaria linfa vitale per l’alimentazione del nuovo germoglio.
Artefice di un regno, ma anche stimolatore e paladino di tutte le espressioni dello spirito che lo sostanziarono, Ruggero II di-schiuse la propria corte a forme di vita e di pensiero cui avevano dato impulso, nell’isola, i Saraceni; ed in quell’ambito, e sotto l’egida di un sovrano i cui orientamenti culturali furono più specificatamente scientifici che scolastici, ebbe la sua genesi l’opera geografica di Idrisi la cui ammirazione per il regale normanno si trova abbondantemente riflessa nelle ditirambiche espressioni encomiastiche contenute nella prefazione del Nuzhat al-mushtàq. Ed in questa stessa premessa, che ci palesa l’esaltaltante ambito culturale in cui lavorarono in intima comunione di idee e di intenti Ruggero, il suo illustre suddito musulmano ed i loro diretti collaboratori, il geografo ci illustra con abbondanza di particolari ed in un linguaggio che affonda le radici nei più estrosi virtuosismi della retorica araba le fasi attraverso le quali è passata l’opera voluta e finanziata da Ruggero II, che ha presieduto l’autorevole suo prestigio al complesso e metodico lavoro propedeutico. Il sovrano concludeva la sua terrena esistenza a distanza qualche settimana dal compimento della fatica idrisiana, fiero di avere annoverato fra i fasti del proprio regno un’opera scientifica di alto livello, se non in tutti, certamente in numerosi suoi aspetti.
Il Nuzhat al-mushtàq fi ikhtiràq al-afàq non è stato condotto in tutte le sue sezioni con uguale precisione e compiutezza; anzi nella seconda parte Idrisi ci appare quasi costretto a cedere alle istanze della fretta: era forse la malferma salute di Ruggero ad imporre un ritmo di lavoro sempre più accelerato ed a trasmettere nel geografo l’ansia di portare a compimento l’opera prima che avvenisse l’inesorabile. E infatti, come già abbiamo ricordato, si giunse appena in tempo.
Com’è facile immaginare, le notizie più interessanti ed anche le più attendibili ed originali sono q...

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