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Siciliani
Collana diretta da Giuseppe Carlo Marino
3
Maria Antonietta Spadaro
Renato Guttuso
FLACCOVIO EDITORE
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Proprietà artistica e letteraria riservata all’Editore a norma della legge 22 aprile 1941 n. 633. È vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, anche per mezzo di fotoriproduzione, sia del testo che delle illustrazioni.
ISBN 9788878043374
© 2010 copyright by S. F. Flaccovio s.a.s. - Palermo - via Ruggero Settimo, 37
Stampato in Italia - Printed in Italy
Descrivi, senza fare il furbo,
tutto ciò di cui sarai nella vita testimone.
Aleksandr Puskin [frase amata da Renato Guttuso]
Sui quadri, certo, non si incollano idee:
si dipingono forme e oggetti, e da questi, solo da questi,
le idee ci raggiungono e ci commuovono.
Renato Guttuso
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A Clarissa
Si ringraziano per i consigli e la cortese collaborazione alle ricerche:
Fabio Carapezza Guttuso responsabile degli Archivi Guttuso di Roma, Dora Favatella Lo Cascio direttrice del Museo Guttuso di Bagheria, e inoltre Carmelo Bajamonte, Serena Bavastrelli, Roberto Calandra, Clarissa Cappellani, Lelia Collura, Wilma Cuccia Orlando, Francesca di Carpinello, Rocco Lombardo, Romina Mancuso, Giuseppe Carlo Marino, padre Dino della parrocchia Maria SS. Addolorata ad Aspra, Nina Pellitteri, Mariella Riccobono Orlando, Leontine Regine, Alba Rizzo, Anna Maria Ruta, Adriana Sucato Agnello.
Prefazione
Fu al liceo che il mio professore di italiano e storia, il critico Franco Grasso, amico fraterno di Renato Guttuso, fece conoscere a me e ai miei compagni questa straordinaria personalità. Ci narrava episodi della loro vita, tessendo insieme lotte antifasciste, ideali sociali e valori estetici. Mi colpì molto il racconto della volta che di ritorno in treno da Roma a Palermo, nel 1943, carico di materiale di propaganda clandestina, aveva messo in tasca un disegno donatogli da Guttuso. Il bozzetto era relativo ai Massacri, soggetti che l’artista elaborava in quei mesi. In una stazione salirono degli agenti fascisti che iniziarono a perquisire i viaggiatori. Grasso aveva sistemato il bagaglio compromettente lontano da lui, ma il disegno firmato dall’amico era nella sua tasca! Per farlo sparire non rimaneva che ingoiarlo… cosa che fece, infilandolo con molta disinvoltura in un panino col salame1.
La testimonianza diretta di un’arte così carica di forza, capace di sfidare l’inerzia di una storia soltanto subita, mi avvinse. Nel 1962 il professore ci portò a Bagheria a vedere la mostra La Sicilia nella pittura di Guttuso, a Villa Serradifalco, presentata da Carlo Levi.
Questa è una delle due ragioni per cui ho accolto con piacere la proposta di scrivere un ennesimo libro su Renato Guttuso; l’altra (ragione) riguarda il suo realismo. Per alcuni irritante o impertinente, l’“eresia realista” gli è costata critiche fino alla deplorazione. Una parola, il realismo, troppo carica di significati ma che per Guttuso diviene naturale e spontanea, come il gesto che produce le sue opere.
Secondo Maria Accascina, nota studiosa dell’arte siciliana, dai primordi all’epoca greca, dal medioevo al barocco, l’arte nell’isola si è caratterizzata per i suoi accenti realistici. Mi spiegava che le sculture delle metope dei templi selinuntini erano più vicine alla realtà di quelle idealizzate della madrepatria greca; allo stesso modo i capitelli del chiostro di Monreale, sebbene mutuati da modelli borgognoni, mostravano caratteristiche stilistiche di segno più realista. Era un piacere ascoltare, per me allora molto giovane, le sue considerazioni mentre lavorava, e chiedeva la mia modestissima collaborazione, al suo testo sulla storia della scultura siciliana, opera che purtroppo non riuscì a portare a termine, avendoci lasciato nel 1979.
Guttuso, dunque, potrebbe essere considerato l’ultimo grande realista tra gli artisti siciliani, vissuti o transitati in Sicilia. Pensiamo ad Antonello da Messina, che seppe colorare di reale la visione astratta delle forme del Rinascimento italiano, filtrando la lezione fiamminga; pensiamo a Caravaggio, che nel suo soggiorno siciliano si lasciò andare ad un realismo più totale e diretto, oserei dire privo di ogni accento accademico; pensiamo a Serpotta, al suo rococò che traduceva in forme palpitanti di vitalità bambini e figure del suo tempo. Nell’Ottocento, poi, i nostri maestri del paesaggio, da Lojacono a Leto, da Catti a De Maria Bergler, nel solco del naturalismo, hanno sviluppato una pittura verista di grande qualità.
Nel suo rapporto fortemente connaturato con la Sicilia – il suo era un vero e proprio culto per questa terra –, Guttuso (che del resto adorava sia Antonello che Caravaggio) non avrebbe potuto esprimersi in altro modo che attraverso il suo particolare, personalissimo realismo, che riesce a rendere speciale il quotidiano. Nel tempo ha pure mutato registro, rimanendo però sempre e inequivocabilmente tale: ogni sua opera è talmente riconoscibile che potrebbe anche non firmarla.
Non si è trattato soltanto di adesione ideologica al “realismo socialista” d’oltre cortina: Guttuso, che ha militato nel Pci, è andato oltre i canoni imposti da una qualunque estetica di regime! Ancora qualche anno fa la critica più autorevole, pur considerandone la statura, collocava alcune sue opere nell’ambito dell’accademia e della retorica. Oggi tale giudizio non è più accettabile.
Nei primi anni ’70 acquistai il libro di Guttuso Mestiere di pittore (1972), mi incuriosiva il suo pensiero sull’arte. In quegli anni erano molto frequenti nelle gallerie di Palermo – Arte al Borgo, La Robinia, La Tavolozza, ecc. – le mostre di Guttuso, dove era anche facile incontrare il maestro, che intanto esponeva in tutto il mondo. Confesso che anch’io all’epoca – trascinata dal “conformismo sessantottino” (ero uscita nel ’71, a 22 anni, dalla Facoltà di Architettura) – ero molto critica riguardo al suo “realismo socialista”. Per molti di noi Guttuso, pur prestigioso esponente del Pci, era un borghese lont...