Patria di Carta. Storia di un quotidiano coloniale e del giornalismo in Argentina
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Patria di Carta. Storia di un quotidiano coloniale e del giornalismo in Argentina

About this book

Il volume descrive il periodo di massimo splendore della stampa italiana in Argentina, corrispondente agli anni di maggiore affluenza immigratoria. Lasciando l'Italia, gli immigrati hanno trovato nella Repubblica platense la loro "seconda patria". Una "terza patria" è stata rappresentata dalla stampa di comunità. In questo ambito, ha svolto un ruolo chiave La Patria degli Italiani, quotidiano fondato da Basilio Cittadini, che per oltre mezzo secolo (1877-1931) segnò la storia del giornalismo etnico diventando all'interno della comunità di immigrati un punto di riferimento importante, una "Patria di carta". Dopo ricerche in biblioteche, emeroteche, archivi pubblici e privati in Argentina e Italia, attraverso la storia della Patria degli Italiani l'autore ricostruisce in filigrana una sorta di epopea del giornalismo dell'immigrazione in Argentina tra i secoli XIX e XX. È una storia che nasce a metà dell'Ottocento e arriva fino all'avvento e al consolidamento del fascismo in Italia che scompaginò la situazione delle "colonie di immigrazione" e soffocò, perché non volle sottomettersi al regime, quello che è stato il più grande giornale in lingua italiana mai pubblicato all'estero.

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Information

Il duello tra «La Patria» e il Fascio

1. Giornale autorevole e venduto

Rafforzatasi nel periodo bellico quando raggiunse tirature eccezionali, «La Patria» mantenne e accentuò il tradizionale ruolo di riferimento per la comunità, anche quando tra gli emigrati italiani si registrarono distorsioni e squilibri introdotti dalle avanguardie fasciste. Esse – ricordò lo stesso quotidiano – erano arrivate «con ispirazioni e criteri del tutto estranei agli italiani, onde questi si tennero in disparte e finirono con il disinteressarsi anche di ciò che il Fascio faceva e si proponeva di fare»[1]. Mettere le mani sulla stampa etnica, specialmente su quella che aveva una lunga tradizione e, per tale motivo, una consistente base di lettori fidelizzati, era la missione affidata ai Fasci di combattimento all’estero, un obiettivo essenziale e necessario per ampliare l’influenza del fascismo tra i numerosi emigrati[2].
Ancora nel 1923, tuttavia, la società editrice menava vanto degli «eccezionali progressi» fatti con il potenziamento della tipografia e della fototipia: quello della «Patria» in quel momento «era il terzo stabilimento tipografico dell’Argentina»[3]. L’anno prima erano state, infatti, acquistate nuove linotypes e una macchina da stampa piana completa di accessori. In più era stata commissionata alla ditta Fratelli Serra una rotativa doppia «Augsburg» capace di 45 mila copie l’ora, una macchina di grande potenza, «enorme come un monumento» (era lunga, infatti, 15 metri) e «perfetta come un congegno ad orologeria»[4]. Il laboratorio di fototipia, inoltre, era stato completato e potevano essere eseguiti tutti i «lavori speciali per il giornale e per tutte le pubblicazioni che vedono la luce nello stabilimento»[5]. Assegnandosi un’alta missione patriottica, il quotidiano spiegava: «Tutto questo è indizio certo della prosperità economica dell’azienda, mentre lo sviluppo del giornale è indizio certo della sua grande e sempre crescente diffusione ed influenza morale»[6].
Con la consolidata direzione di Prospero Aste, «La Patria» continuò a contare su giornalisti molto quotati come il vicedirettore Caranci, il segretario di redazione Aurelio Abele Cattaneo, che aveva esordito come corrispondente da Genova nel 1908, e su «un numeroso e scelto corpo di Redazione», di collaboratori e corrispondenti nella Repubblica, in Uruguay, Cile, Bolivia, Perù, Spagna e ovviamente Italia. A Roma il giornale aveva aperto una propria sede in Galleria Colonna. Vista anche la vicinanza con i luoghi della politica e del governo essa svolgeva un’interessante attività, essendo un punto di riferimento per coloro che giungevano dall’Argentina e per i rappresentanti diplomatici dell’America Latina[7]. L’ufficio romano era affidato a Renzo Sacchetti e Gino Bandini. Quest’ultimo, ex capitano dell’esercito, direttore dell’«Idea democratica», membro della direzione del Partito Radicale Italiano nonché valente conferenziere, era stato officiato dell’incarico nel corso una sua lunga visita in Argentina quando il giornale lo presentò entusiasta ai propri lettori[8]. Tra i principali collaboratori, citati in una pagina pubblicitaria pubblicata sull’«Annuario della Stampa Italiana» del 1924, c’erano poi Innocenzo Cappa (nominato senatore del Regno, in tale veste si recò in Argentina per alcune conferenze in cui polemizzò con Francesco Scozzese Ciccotti) e Otto Cima da Milano. Ad essi «la vita attuale politica, sociale, artistica italiana dà ampia materia di informazione e di acuto commento»[9]. A Genova, ancora, il giornale disponeva di un «Ufficio di corrispondenza commerciale», diretto dal professor Francesco Maria Zandrino, che da giovane aveva lavorato al «Secolo XIX», il quale svolgeva l’incarico di corrispondente politico anche per la Liguria, come si deduce dalla carta intestata utilizzata per la propria corrispondenza[10]. Altri collaboratori di primo piano erano, poi, Carlo Gaspare Sarti da Parigi[11], Folco Testena da Montevideo (dopo avere lasciato la direzione de «L’Italia del Popolo»), Secondo Lorenzini dalla Spagna, e ancora Nina Infante Ferraguti, Stefano Cavazzuti, Roberto Campolieti, esperto di problemi agricoli, Alfredo Gradilone, Giovanni Tafuri, «tutti – secondo quanto si legge nella citata pagina pubblicitaria – molto conosciuti nel mondo intellettuale e giornalistico». «La Patria» poteva contare, inoltre, su proprie succursali a Rosario di Santa Fe, Mendoza e Montevideo e su mille agenti disseminati sul vasto territorio argentino. Alle corrispondenze interne, il giornale aveva dedicato una cura particolare in modo da far fronte alla concorrenza dei quotidiani nazionali e completare «il magnifico materiale informativo telegrafico dall’Italia e dall’estero»[12].
Il quotidiano, infatti, offriva ai propri lettori un eccellente servizio telegrafico, pubblicando due pagine di notizie fresche di agenzia provenienti da ogni parte del mondo e in aggiunta informazioni che arrivavano direttamente dall’Italia mediante un servizio telegrafico speciale. La vera forza del quotidiano – si legge sull’«Annuario della Stampa Italiana» – stava, comunque, nel suo «programma liberale, indipendente, sempre ispirato nei più puri e sani principii del patriottismo e del progresso», un programma che, assicurava il giornale, «ha esercitato ed esercita la sua incontestabile influenza su l’opinione della collettività come anche nei circoli ufficiali del paese».
Per il giornalismo argentino, specialmente quello bonaerense, gli anni venti furono un periodo fertile. Accanto alle grandi testate, tra cui il «colosso» restava sempre «La Prensa», che vantavano numerosi collaboratori italiani, cercavano posto riviste illustrate sportive e altre che oggi definiremmo di gossip, dedicate cioè «alla vita cosiddetta sociale, popolate di ‘niñas’ e di ‘flirts’»[13].
In queste condizioni, «La Patria» riteneva di potere guardare al futuro con serenità. Ben presto, invece, la situazione mutò. Problemi politici e, di conseguenza, finanziari si profilarono all’orizzonte come nubi minacciose.
Per ricostruire le vicende societarie di questi anni ci viene in aiuto ancora la memoria al Tribunale redatta in difesa della società editrice dal professor Oria e dall’avvocato Coppello nel 1931.
A metà degli anni Venti, quando si rese necessario produrre il massimo sforzo sia industriale che informativo, data la concorrenza dei giornali bonaerensi e l’ostilità del movimento fascista italiano che puntava a controllare l’intera collettività, si avvertirono le prime gravi difficoltà, accentuate dalla peggiorata situazione occupazionale determinatasi tra il 1924-25 in tutto il Paese che provocò problemi concreti nelle famiglie.
Nel caso specifico tali difficoltà costrinsero la società editrice della «Patria» ad assumere decisioni drastiche nel tentativo di riportare in equilibrio i conti senza con ciò sacrificare (opera risultata tuttavia impossibile) la ricchezza dell’informazione che fino ad allora era stata garantita ai lettori. A tal fine furono messe in campo diverse operazioni bancarie e finanziarie che avrebbero dovuto garantire alla «Patria» una vita tranquilla a breve e, addirittura, uno sviluppo futuro.
Il 4 novembre 1924, l’assemblea generale straordinaria dei soci approvò un ordine del giorno, autorizzando il Consiglio di amministrazione presieduto da Nicola A. Gallo[14], un medico di Avellaneda, a realizzare una operazione di prestito ipotecario fino a 450.000 pesos necessari anche per costruire la nuova sede del giornale in Calle Rivadavia in cui avrebbero dovuto essere sistemati gli uffici della società, la tipografia e la redazione e trovare spazio anche sale per manifestazioni delle associazioni italiane. La costruzione della nuova «casa della Patria» era stata decisa nel maggio dell’anno precedente[15]. Era un progetto ambizioso che, anche simbolicamente, avrebbe dovuto rappresentare il successo del giornale. La nuova sede, che sarebbe sorta al posto di un edificio acquisito per 205.000 pesos nel 1916, dalla società editrice all’epoca presieduta da Francesco Jannello con Benito di Broglio amministratore, era stata progettata dal defunto ing. Gino Aloisi, componente del consiglio d’amministrazione del giornale[16]. La sua costruzione sarebbe stata affidata all’impresa Negroni e Ferraris, specializzata in opere di cemento armato, e la direzione dei lavori all’arch. Hauser, collaboratore di Aloisi[17].
Il giornale, grazie anche allo sforzo della sua redazione, manifestò allora un’ottima performance, sebbene nel 1925 tutti i quotidiani della città, che avevano ampia diffusione pure tra gli emigrati italiani, avessero raddoppiato i propri servizi informativi in ogni settore. «La Patria», però, corse il rischio di perdere il confronto. Pur non potendo rivaleggiare con loro, mise in atto alcuni accorgimenti tecnico-giornalistici per non perdere terreno. I risultati furono incoraggianti: nonostante le maggiori spese affrontate, il bilancio 1924-1925 registrò un utile di oltre 58 mila pesos.
Sono questi gli anni in cui il fascismo, anche in Argentina, operava per mettere in pratica uno degli obiettivi principali fissati nel primo Congresso nazionale dei fasci italiani all’estero del 1925, quello di ampliare la rete dei giornali italiani amici nelle colonie di emigrazione[18] per difendere l’immagine del governo di Mussolini e «per indurre le ‘colonie’ italiane ad appoggiare la politica estera del regime». Mussolini credeva molto nella capacità del fascismo di infiltrarsi nelle comunità italiane del Plata[19], dedicandovi, una volta al potere, una attenzione particolare[20]. Tramite ambasciate e fasci di combattimento «il governo di Roma esercitò pressioni psicologiche e finanziarie sulle maggiori testate in lingua italiana nel mondo affinché lo sostenessero nella sua opera propagandistica»[21]. Il regime, infatti, si fece sentire, in maniera diversa secondo le necessità ma sempre con lo stesso fine, ovunque ci fossero associazioni italiane nei paesi stranieri[22]. Nonostante gli sforzi prodotti, tuttavia, non si può certo dire che in Argentina i risultati siano stati eccezionali, vista anche la scarsa adesione alle organizzazioni fasciste che pretendevano il monopolio dell’italianità, parola chiave per solleticare i sentimenti nazionalistici degli emigrati: nel 1923 erano 4.315 e si calcol...

Table of contents

  1. Prologo
  2. La stampa italiana degli esordi
  3. Nel segno di Basilio Cittadini
  4. Stampa migrante oltre Buenos Aires
  5. La breve e intensa direzione di Valentini
  6. Gli anni di Gustavo Paroletti
  7. La concorrenza alla «Patria»
  8. Dal ritorno di Cittadini all’era Aste
  9. Italiani da sostenere, italiani da esaltare
  10. Più emigrati, più informazione
  11. «La Patria» e le guerre lontane
  12. La concorrenza editoriale nel dopoguerra
  13. Il duello tra «La Patria» e il Fascio
  14. L’epilogo sofferto
  15. Ringraziamenti
  16. Appendice fotografica