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I rapporti con il cliente e la parte assistita
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Dal 15 dicembre 2014 è in vigore il nuovo codice deontologico che sostituisce il previgente del 1997. Secondo quanto dichiarato dal CNF alla presentazione del nuovo Codice Deontologico, il nuovo testo colloca al centro delle sue previsioni il cittadino, perseguendo l'interesse pubblico al corretto esercizio della professione. Quali sono le differenze e le analogie tra i due testi riguardo il rapporto tra avvocato e parte assistita? Una guida pratica che aiuterà a cogliere nell'immediato similitudini e differenze.
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Le nuove disposizioni deontologiche
Non potendo ancora essersi formato alcun orientamento giurisprudenziale e non essendoci casi pratici sui nuovi articoli del Codice, si possono unicamente riportare i primi commenti degli esperti della materia ed analizzare le differenze tra i due testi. Si analizzano alcuni aspetti.
Art. 23 Conferimento dell'incarico
Con questo articolo, di apertura del titolo II CdF, viene approfondito il momento della nascita del rapporto professionale, indicando quei comportamenti ritenuti necessari e doverosi per un corretto svolgimento dell'incarico.
Il nuovo testo della norma deontologica in esame racchiude disposizioni precedentemente inserite negli articoli 35 (rubricato "rapporto di fiducia") e 36 (rubricato "autonomia del rapporto") del Codice Deontologico attualmente in vigore.
Viene meno l'espresso richiamo alla fiducia, comunque inserito in un articolo ad hoc tra i Principi Generali, l'art. 11 rubricato "rapporto di fiducia e accettazione dell'incarico", ove viene scandito che il rapporto con il cliente e la parte assistita è fondato sulla fiducia.
Lo stesso, per quanto riguarda l'autonomia. Infatti, il 1° comma dell'attuale art. 36 non viene inserito nel nuovo testo. In questo caso, però, non troviamo un articolo specifico, anche se è riscontrabile un velato richiamo nell'articolo 10 Principi Generali "dovere di fedeltà", che solo in parte ricalca l'attuale testo: “l'avvocato deve adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell'interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa”.
Di poi, il nuovo 1° comma riprende il I canone dell'art. 35, escludendo però l'ipotesi del conferimento dell'incarico da parte di altro avvocato che difenda l'assistito. Inoltre, nel caso di incarico conferito dal terzo, viene sottolineato che questo deve essere svolto nell'esclusivo interesse della parte assistita.
Anche il nuovo 2° comma ripete quanto statuito dal II canone dell'art. 36 del previgente codice, anche se, in parte, è utilizzata una terminologia diversa (nella versione attualmente in vigore si dice che “l'avvocato, prima di accettare l'incarico, deve accertare l'identità del cliente e dell'eventuale suo rappresentante”; la nuova disposizione dice invece che “l'avvocato, prima di assumere l'incarico, deve accertare l'identità della persona che lo conferisce e della parte assistita”).
Il 3° comma è una ripetizione di quanto stabilito dall'attuale II canone dell'art. 35 (codice 1997) aggiungendo, oltre all'astensione dall'intrattenere rapporti economici, patrimoniali, commerciali, una previsione di portata generale: “anche di qualsiasi altra natura per evitare e scongiurare ogni tipo di influenza che può incidere sul rapporto tra professionista e parte”.
Il 4° comma riprende parte del primo canone dell'art. 36 "l'avvocato non deve consigliare azioni inutilmente gravose"; mentre il restante testo del 1° canone attualmente in vigore diventa un comma indipendente nella nuova norma (6° comma: “l'avvocato non deve suggerire comportamenti atti, comportamenti o negozi nulli, illeciti o fraudolenti”).
Il nuovo 5° comma si rifà all'art. 36, III° canone, codice 1997 (“l'avvocato è libero di accettare l'incarico, ma deve rifiutare di prestare la propria attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla realizzazione di operazione illecita”). La libertà dell'avvocato di accettare l'incarico è già stata inserita nel testo dell'art. 11 sopra menzionato, e qui nuovamente riproposta.
La novità è rappresentata dal 7° comma, non riscontrabile nelle disposizioni del vecchio titolo III. In tale comma, infatti, vengono indicate le sanzioni disciplinari che conseguono alla violazione dei precedenti commi distinguendo tra:
a) avvertimento (violazione dei doveri di cui ai commi 1 e 2);
b) censura (violazione dei doveri di cui ai commi 3 e 4);
c) sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da uno a tre anni (violazione dei doveri di cui ai commi 4 e 6).
Art. 24 Conflitto di interessi
La nuova disposizione, rispetto alla precedente versione si compone di più commi. Infatti, sono sei rispetto ai tre presenti nell'art. 37 del codice del 1997.
La ratio rimane immutata: evitare situazioni che possano creare conflittualità con gli interessi del cliente e della parte assistita e che possano compromettere la garanzia dell'effettivo e corretto svolgimento della difesa. Viene enfatizzata l'importanza dell'indipendenza del professionista, necessaria e imprescindibile per rafforzare tale garanzia.
Il 1° comma è pressoché identico, tranne la scelta di porre l'accento sulla potenzialità rispetto all'effettività del conflitto di interessi, che si manifesta con un uso diverso dei verbi ("determini un conflitto" è sostituito da "possa determinare un conflitto") e dall'indicare oltre che l'assistito anche il cliente, come sopra sottolineato.
Il 2° comma non è presente nella precedente versione dell'art. 37, ma trae spunto e ricalca l'art. 10 (rubricato "dovere di indipendenza"), collocato tra i Principi Generali. Adesso recita "l'avvocato nell'esercizio dell'attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati ad interessi riguardanti la propria sfera personale".
Il 3° comma è identico all'attuale I canone dell'art. 37 (vecchio testo), sempre, però, con l'inserimento accanto alla figura dell'assistito di quella del cliente.
Il 4° comma è parte di quanto prescritto nel I canone dell'art. 12 (rubricato "dovere di competenza"), collocato nel codice del 1997 tra i Principi Generali, e stabilisce che "l'avvocato deve comunicare alla parte assistita ed al cliente l'esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell'attività richiesta". Vi è un richiamo al principio di responsabilità che attribuisce all'avvocato le conseguenze connesse all'accettazione dell'incarico.
Per quanto attiene al 5° comma, questo ricalca il II canone dell’art. 37 (precedente codice), ma nella parte finale aggiunge, con riferimento all'ipotesi di avvocati che esercitino negli stessi locali, la frase "e collaborino professionalmente in maniera non occasionale". Tale previsione sembra sia diretta a restringere le ipotesi di astensione, con riferimento ai professionisti che lavorano in uno stesso studio, condizionandole a una collaborazione non occasionale.
Il 6° comma, novità rispetto al precedente testo in vigore, indica le sanzioni disciplinari in caso di violazione dei doveri elencati nei sopra descritti commi, e in particolare:
a) sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da uno a tre anni per la violazione dei doveri indicati ai commi 1,3,5;
b) censura per la violazione dei doveri indicati ai commi 2 e 4.
Art. 25 Accordi sulla definizione del compenso
Nel codice del 1997, gli accordi sulla definizione del compenso sono collocati tra gli articoli di chiusura del Titolo III, mentre adesso è stato scelto di inserirli subito dopo la disciplina del conferimento dell'incarico e del conflitto di interessi, sottolineando la centralità di tali accordi nel rapporto tra professionista-cliente e parte assistita.
In primo luogo, la norma stabilisce che la pattuizione del compenso è libera, salva la previsione di cui all'art. 24, 4° comma secondo il quale "l'avvocato non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all'attività svolta o da svolgere" che richiama la previsione del vecchio art. 45.
Di poi, vengono elencate le varie possibilità di accordi che sono ammessi: pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente a oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento ed ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale. Tale elencazione si ispira e riprende quanto dettato dalla L.P. 247/2012.
Importante è la reintroduzione del divieto del patto di quota lite. Infatti, l’art. 25 mutua la previsione da quella della legge n. 247/2012 e reinserisce tale divieto.
In particolare, la nuova legge professionale n. 247/2012...
Table of contents
- Premessa e inquadramento
- Il Titolo III del Codice Deontologico Forense previgente
- L'analisi dei singoli articoli del Titolo III del previgente Codice Deontologico Forense
- Le nuove disposizioni deontologiche
- Considerazioni conclusive
- Note