DEISSI
1. Che cos’è la deissi
Deissi deriva da una parola greca che significa “indicazione”. È il fenomeno per il quale alcuni elementi linguistici hanno la proprietà di mettere in relazione l’enunciato e il contesto extralinguistico in cui l’atto comunicativo è prodotto. Tali elementi sono detti deittici e per interpretarli correttamente occorre conoscere aspetti del contesto enunciativo come i partecipanti all’atto comunicativo e la loro collocazione spazio-temporale. Sono dunque elementi deittici tutti quelli che rinviano al momento e al luogo in cui avviene lo scambio comunicativo o che si riferiscano ai parlanti o agli scriventi, come, ad esempio, i pronomi personali, gli aggettivi e i pronomi dimostrativi (questo, quello), alcuni avverbi (lì, là, sotto, sopra, oggi, domani, prima, dopo ecc.).
La deissi è importante perché ogni volta che si parla o si scrive ci si riferisce agli elementi personali, spaziali, temporali, testuali relativi alla comunicazione stessa. Come molti fenomeni linguistici di cui i parlanti sono inconsapevoli la deissi si rileva in assenza: l’assenza o l’incompletezza degli elementi deittici può rendere ambiguo o meno comprensibile un enunciato. Ad esempio l’avviso “Torno tra dieci minuti”, se non è completo di indicazione del tempo in cui è stato scritto, non fornisce al lettore un’informazione esauriente e non risulta rassicurante.
La deissi si forma sempre attorno a un centro deittico corrispondente alla tripla io, qui, adesso, che rappresentano le categorie tradizionali di persona/luogo/tempo. Nell’interazione faccia-a-faccia la deissi relativa al contesto coincide con il centro deittico; il locutore si pone come ego e correla ogni cosa al suo punto di vista. Egocentricità e referenzialità sono perciò caratteristiche degli elementi deittici in rapporto al centro deittico. Durante un conversazione il centro deittico cambia a ogni cambio di turno.
Nell’enunciato “Torni qui anche tu domani?” troviamo: deissi personale (io locutore, tu interlocutore, morfema verbale di seconda persona singolare), temporale (domani), spaziale (qui), sociale (tu indica simmetria di rapporto sociale).
Fondamentale è non confondere la deissi con l’anafora. Questa, infatti, è il procedimento di rinvio istituito, all’interno di un testo, da un elemento linguistico (un pronome personale o dimostrativo ma anche una riformulazione) a una o più parole precedenti. Ad esempio, nella frase “Marco è un bravo studente, lo vedo sempre leggere”, lo è un pronome personale con funzione anaforica perché rinvia a Marco. L’anafora, in breve, non dirige l’attenzione del lettore/ascoltatore verso un elemento della realtà extralinguistica come uno spazio o un’estensione di tempo, ma compie un rinvio di tipo semantico da un elemento linguistico a un altro che precede o segue (in quest’ultimo caso si parlerà di catafora).
2. La deissi personale
Con deissi personale ci si riferisce ai referenti che partecipano alla comunicazione e si indica il loro ruolo nell’atto comunicativo. Il centro deittico è il locutore del messaggio da cui sono distinti destinatario e partecipanti “terzi”. La deissi in base ai ruoli conversazionali si articola fra:
– I persona (io, riferimento del parlante a se stesso),
– II persona, a cui si indirizza (tu, voi; riferimento del parlante a uno o più interlocutori),
– III persona, non partecipa direttamente all’atto comunicativo (egli/lui, ella/lei, loro, riferimento a persone o entità che non sono né locutori né interlocutori e non partecipano direttamente all’atto comunicativo).
Vi sono elementi linguistici che sono intrinsecamente deittici in ogni contesto, ovvero che possono essere interpretati solo come tali. Si tratta dei pronomi personali di prima e seconda persona singolare e plurale: io, tu, noi, voi. Si consideri l’enunciato “io non voglio che tu esca con Giulio”; io e tu indicano il locutore e l’interlocutore e in base alla situazione si è grado di stabilire chi sia io, colui che parla e centro deittico, e chi sia tu, chi ascolta. Lo stesso valore deittico hanno gli aggettivi e i pronomi possessivi di prima e seconda persona singolare e plurale; inoltre in italiano la deissi personale può essere espressa anche soltanto per mezzo della flessione verbale: in “abbiamo visto” la prima persona plurale codifica il riferimento a due o più persone, una delle quali è chi parla; in “prendi il coltello”, invece, la seconda persona singolare indica l’ascoltatore.
Le forme linguistiche di III persona hanno valore deittico in casi come il seguente: “per il programma di francese chiedete a lei, che ha appena sostenuto l’esame”. Immaginando che la frase non dipenda da altre precedenti, in cui sia stata citata lei, e che sia accompagnata da un gesto indicante una persona di sesso femminile si può sostenere che il pronome personale di terza persona è deittico in quanto la sua corretta interpretazione dipende dalla conoscenza della situazione extralinguistica. I pronomi di terza persona plurale e singolare non sono deittici quando sono impiegati in circostanze nelle quali la loro interpretazione non è legata alla conoscenza del contesto extralinguistico. In un enunciato come “Non chiedete il programma a Maria. Lei non ha ancora dato l’esame” la comprensione del pronome lei dipende dal cotesto che precede. Siamo in presenza di un lei anaforico e non deittico, perché rimanda a un altro elemento linguistico (Maria) presente nel cotesto che ne definisce il riferimento.
In linea generale la III persona è l’“assente”, è esterno alla relazione discorsiva, non può assumere un ruolo attivo, non può mai dire io né dunque asserire una propria identità.
In italiano, la deissi plurale può configurare varie forme di inclusione/esclusione del...