Quanderni di Scienze Politiche 12
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Quanderni di Scienze Politiche 12

About this book

Il volume propone una lettura non effimera, in quanto non appiattita sull'attualità ma collocata in un'ottica di più lungo periodo, delle possibili trasformazioni dello scenario internazionale indotte dall'elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti, che restano pur sempre un attore globale, l'unico in grado di influenzare tutte le aree geopolitiche. Si inserisce quindi nella tradizione della "scuola storica di analisi delle relazioni internazionali" che ha il suo centro nel Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e ha prodotto, tra l'altro, precedenti volumi di questa collana.
In misura diversa secondo la disciplina di riferimento degli autori – storici delle relazioni internazionali, storici di specifiche aree geopolitiche, storici delle istituzioni politiche, scienziati della politica e cultori di studi strategici – la profondità storica dell'analisi è comunque presente. Parallelamente anche gli storici non rifuggono dall'uso di categorie politologiche. Si attua quindi non un'ibrida interdisciplinarietà, che talvolta si riscontra in opere di geopolitica ove si piega l'analisi storica al servizio di una tesi, ma un fecondo approccio multidisciplinare. Non a caso questo volume è il prodotto di una comunità scientifica nella quale è ancora viva l'eredità di Gianfranco Miglio, Preside per un trentennio della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Cattolica e Docente per sette anni anche di Storia dei trattati e politica internazionale, per il quale la storia è il laboratorio privilegiato della ricerca politologica.
Pur nella varietà dei temi e delle metodologie, una constatazione sembra accomunare i diversi saggi. Lo sguardo lungo, proiettato su un passato più o meno recente, permette di ridimensionare la sensazione di rottura che la presidenza Trump pare rappresentare agli occhi degli osservatori più appiattiti sugli aspetti superficiali dell'attualità. Non che si voglia del tutto negare la "novità" rappresentata dal quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti; la si colloca però nel quadro di mutamenti derivanti da "forze profonde" delle quali Trump è l'approdo. E le "novità" sono talvolta un ritorno a passate esperienze. Rileva ad esempio Enrico Fassi che «l'apparente svolta incarnata dalla presidenza Trump potrebbe rivelarsi molto più in continuità con le precedenti amministrazioni USA di quanto inizialmente ritenuto».
A pochi mesi dall'insediamento, la politica estera di Trump è molto in fieri, con enunciati ancora tutti da concretizzare, come il desiderio di un rapporto costruttivo con la Russia, sfuggito completamente a Barack Obama, e la volontà di ridefinire, attraverso un duro confronto, la politica con la Cina, dichiarazioni poi fortemente ridimensionate, come quelle alquanto sprezzanti verso la NATO e i ruoli ancora da definire degli attori istituzionali all'interno della sua amministrazione.

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American (next) Pacific Century? Gli Stati Uniti
di Donald Trump alla fine della «Great Divergence»

di Mireno Berrettini
Abstract – This essay analyzes, from a global and long-term historical perspective, the Sino-US diplomatic tensions arisen after the Donald J. Trump’s election as President of the United States. In the broader system of international relations, the so-called rise of China” and the increasing political and economic dynamism of the new Asian Great Powers are leading to the closure of the Euro-Atlantic global hegemonic cycle, begun with the «Great Divergence» in the late XVIIIth century and enshrined by the Opium Wars in the second half of the XIXth. Despite an unconventional diplomatic style, the new Republican President and his administration are facing these systemic transformations in the field of world politics, trying to create a new architecture of global governance, aiming at maintaining the United States’ leadership within a world system that is structurally transiting from an hegemony to another, while is moving from the unipolar condition to a multipolar one.

Tra il gioco degli scacchi e il poker: lo stile trumpiano
e l’arte della diplomazia

«The President of Taiwan CALLED ME today to wish me congratulations on winning the Presidency. Thank you!»1. Con questo tweet del 2 dicembre 2016, Donald J. Trump, da poco eletto alla Casa Bianca, dava notizia della telefonata ricevuta da Tsai Ing-wen, Presidente della Repubblica di Cina (RDC o Taiwan). Si è trattato senz’altro di un colloquio atipico che ha sollevato aspre critiche da parte di un cospicuo settore dei media occidentali. La decisione di Trump di accettare la chiamata è stata interpretata alla luce delle dichiarazioni che l’allora candidato ufficiale repubblicano aveva tenuto durante tutta la sua campagna elettorale, dove aveva espresso posizioni fortemente critiche su Pechino. In alcuni casi la “mossa” di Trump è stata considerata naïve, mentre in altri come il primo sintomo dell’abbandono della One China Policy, ovvero di quella “preferenza” formale degli Stati Uniti per la Repubblica Popolare Cinese (RPC) a discapito della RDC, una predilezione che affonda le proprie radici nelle decisioni dell’amministrazione Nixon2.
Commenti di questo tipo sembrano più che altro essere preoccupati di alimentare la grande narrativa della catastrofe che ha caratterizzato una buona parte del discorso pubblico occidentale successivo all’esito delle elezioni americane dell’8 novembre 2016. Queste valutazioni appaiono, infatti, scarsamente ponderate e forse anche eccessive. È senz’altro giusto sottolineare quanto i rapporti bilaterali tra Washington e Pechino siano delicati per la stabilità globale, ma è sicuramente sommario farlo dimenticando, in sede analitica, che – assieme al calcolo – l’azzardo è un’articolazione fondamentale della logica diplomatica3, un “gioco” che in questo senso assomiglia tanto agli scacchi quanto al poker.
La telefonata tra Trump e Tsai Ing-wen è stata l’apertura e la prima “puntata” (bet), certamente impattante, di questa partita. Le reazioni della RPC, del resto, non si sono fatte attendere. Uno dei portavoce del Ministero degli Affari Esteri di Pechino, Geng Shuang, lo stesso giorno della telefonata, ha rilasciato una dichiarazione molto chiara nella quale ha ricordato che «there is but one China in the World, and that Taiwan is an inalienable part of China»4. Il giorno seguente è stato il Global Times a prendere posizione. Il quotidiano, noto per essere vicino alle posizioni ufficiali del Partito Comunista Cinese (PCC), ha evidenziato che la One China Policy non sia solo il fondamento della relazione sino-americana, ma dell’intero «contemporary international order». La conclusione dellarticolo era però “morbida”: «there is no motive in the US or the world that can break the principle, and no power to ensure that adopting a different policy can bring gains»5. Una posizione chiaramente in continuità con le linee del Ministro degli Affari Esteri della RPC, Wang Yi, che ha raffreddato i termini della questione affermando perentoriamente che «the call will not change the “one China” policy the US has been observing over many years»6.
Pechino, dunque, ha risposto non alzando i toni della polemica. Le reazioni della RPC hanno intercettato la levata di scudi dell’amministrazione guidata da Barack H. Obama, ancora ufficialmente in carica. Ned Price, portavoce del National Secu...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. La fine dell’ordine occidentale? Liberalismo e multilateralismo alla prova del “terremoto” Trump
  3. Dividere il fardello: Stati Uniti ed Europa da Barack Obama a Donald Trump
  4. Ritorno all’Anglosfera? Una prospettiva storica sui rapporti tra Gran Bretagna e Stati Uniti al tempo di Trump
  5. Royal greeting: i rapporti anglo-americani attraverso l’analisi degli incontri ufficiali tra Presidente e Monarca
  6. Quel che resta del partenariato strategico: prospettive frustrate e tensioni riemergenti nei rapporti fra Unione Europea e Stati Uniti all’ombra della paralisi del TTIP
  7. American (next) Pacific Century? Gli Stati Uniti di Donald Trump alla fine della «Great Divergence»
  8. Trump, la Russia e le sfide regionali: il fallimento della strategia del congagement
  9. Stati Uniti e Siraq tra disengagement, frammentazione e agende contrapposte
  10. Presidential legacies: l’eredità storica dello spazio di potere amministrativo da Reagan a Trump
  11. Gli Autori