Parte terza
Questioni scolastico-educative
e tentativi di alfabetizzazione
nell’immediato primo dopoguerra:
i riflessi nel dibattito parlamentare
FABIO STIZZO
In un quadro sociale fortemente disorientato e pesantemente disilluso termina la guerra, e l’Italia è tra le potenze vincitrici. Nonostante ciò, il nostro Paese, dopo l’iniziale euforia, non sfugge a quella che è la tendenza, registrata in tutta Europa alla fine del conflitto, che vede i diversi Stati assai impegnati ad arginare la grave crisi economica e ad affrontare gli squilibri, le lacerazioni e i conflitti sociali, le difficoltà, i contrasti e le lotte politiche.
Nell’immediato dopoguerra seppure, dunque, si avverte anche una convulsa e aspra animosità politica, si deve però riconoscere, almeno inizialmente, una straordinaria convergenza di intenti tra i principali partiti politici che rivolgono una vivace attenzione ai problemi dell’istruzione in generale, cercando poi di orientare gli interventi di politica scolastica principalmente a favore dell’istruzione popolare anche per tentare di arginare, incisivamente, il dilagante analfabetismo.
Prospettive scolastico-educative del dopoguerra italiano
La tragica esperienza bellica aveva certamente stravolto l’equilibrio politico, mutato il tradizionale quadro economico-sociale dell’intero Paese e, inevitabilmente, aveva concorso ad appesantire e ad acuire particolarmente le già problematiche questioni di carattere più propriamente scolastiche ed educative. In particolare, in sede parlamentare, significativi interventi e accese interpellanze da parte di onorevoli meridionali e meridionalisti che proponevano e spingevano, in maniera assai sentita, sulla necessità di sostenere le scuole e le popolazioni delle zone più povere del Centro e del Mezzogiorno, provavano come non poteva ulteriormente divenire differibile un risolutivo provvedimento soprattutto a favore delle persone non alfabetizzate.
In realtà la piaga dell’analfabetismo, fin dall’Unità, era entrata «[…] automaticamente a far parte di quei mali cronici che suscitano ogni tanto soprassalti di sgomento, ma che erano destinati a prolungarsi per incapacità […] di affrontarli decisamente»224, e, difatti, ancora nel primo decennio del Novecento e poco oltre, continuava a rappresentare uno dei problemi più rilevanti e resistenti, insieme all’inesistente o debole scolarizzazione che si continuava a registrare soprattutto in quelle aree del Paese più problematiche, nonostante i tentativi e gli impulsi legislativi impostati in particolare dalle leggi Orlando e Daneo-Credaro e miranti a sanare proprio tale sconcertante situazione.
La Grande Guerra aveva, comunque, sollecitato e fatto sorgere una nuova coscienza sociale riguardo l’alfabetizzazione, anche perché le debolezze mostrate dall’Italia durante il conflitto venivano con insistenza individuate sicuramente nell’inesperienza delle masse contadine e popolari, ma principalmente nella loro ignoranza.
La consapevole necessità, soprattutto da parte della classe dirigente, di puntare sulla alfabetizzazione anche per sostenere la ripresa del Paese, rischiò più volte però di annacquarsi a causa delle acute tensioni di ordine sociale che interessarono l’Italia post bellica. Nell’immediato, dunque, e in una situazione di equilibrio interno ed internazionale assai precario, rinveniamo, tuttavia, valide espressioni di responsabilità nel Governo guidato, seppur brevemente, dal lucano Francesco Saverio Nitti (23 giugno 1919-10 giugno 1920), autorevole meridionalista assai sensibile ed attento alle problematiche dell’alfabetizzazione. Entra a far parte del Governo Nitti, come Ministro dell’Istruzione Pubblica, il conte romano Alfredo Baccelli che durante l’intensa e meritoria attività politica, svolta in soli nove mesi circa (23 giugno 1919-13 marzo 1920), istituisce l’Ente Nazionale per l’Istruzione degli Adulti Analfabeti225 nel settembre del ’19; un Ente che, come recita l’art. 2 del Regio Decreto Legge di istituzione «[…] si propone come fine immediato di fornire agli smobilitati analfabeti quel minimo di cognizioni necessarie per metterne rapidamente in valore la personalità civile e la capacità produttiva e si propone, in generale, la diffusione dell’istruzione elementare fra gli adulti», con l’obiettivo, inoltre, di «[…] coordinare e ad integrare l’opera di istituzioni aventi analoghi fini». L’art. 5, invece, sancisce le competenze e le responsabilità dell’Ente nella diffusione dell’istruzione nei piccoli centri
Il Ministro della Istruzione Pubblica affiderà all’Ente le funzioni allo stato devolute nei riguardi della istruzione degli adulti analfabeti e della diffusione della istruzione elementare nei centri minori di popolazione. Lo stato autorizza l’Ente ad avvalersi dell’opera dei maestri delle scuole elementari pubbliche […]. L’Ente è anche autorizzato ad avvalersi dei locali e del materiale appartenenti alle scuole elementari pubbliche, e ne assume […] la responsabilità.
Sebbene sulla carta la proposta fosse innovativa e interessante poiché si configurava «[…] come il primo e uno degli unici casi nella legislazione scolastica italiana in cui sia stata tentata la strada delle agenzie di servizio finalizzate ad obiettivi nazionali di rilevanza istituzionale»226, l’Ente non arriverà mai, come vedremo, ad un effettivo avviamento a causa di una serie di difficoltà burocratiche che fin da subito ne condizionarono la serenità e l’avvio facendolo poi arenare, definitivamente, nelle secche della politica parlamentare.
Intanto dagli scranni della Camera dei Deputati si intensificano gli appelli a favore di un’istruzione di qualità che potesse fieramente competere anche con quella di altre nazioni europee, e la richiesta di un onorevole abruzzese, Rosolino Colella, va proprio in questa direzione:
In Italia si sente il supremo bisogno di una legislazione più razionale della pubblica istruzione; alla vera finalità della scuola non risponde l’attuale organizzazione. La povertà dei nostri sistemi educativi prepara la debolezza economica, politica e sociale della nazione anche per l’avvenire. […] Da Roma in giù quasi il cinquanta per cento di analfabeti: il che ci lascia veramente pensosi sull’avvenire della nostra razza, ove si rifletta al progresso vertiginoso delle altre nazioni d’Europa. La riforma economica, dunque, e sociale in Italia non deve scompagnarsi dal riordinamento della scuola e dal miglioramento delle condizioni dell’insegnamento e dei maestri, segnatamente nel Mezzogiorno, che dà il contributo maggiore all’analfabetismo e dove il progresso del leggere e dello scrivere è più lento227.
Nello specifico, rivendicazioni e interpellanze a favore dell’alfabetizzazione e dell’assistenza dei meno abbienti, unitamente alle denuncie delle misere condizioni nelle quali erano spesso costretti a vivere i maestri, continuarono però a registrarsi quasi ininterrottamente anche nei mesi successivi all’insediamento del Governo Nitti, e la presa di coscienza della complessa contingenza non si fece perciò attendere:
La Camera, ritenuto che l’educazione e l’istruzione primaria e popolare sono condizione indispensabile all’elevazione morale, sociale e politica del popolo italiano; constatata l’insufficienza della durata e dell’estensione dell’istruzione elementare, la quale per le leggi del 1877 e 1904, nella quasi totalità dei comuni è limitata alla terza classe e, per conseguenza, al nono o al decimo anno di età, causa questa del triste fenomeno, così diffuso, della ricaduta nell’analfabetismo; invita il Governo a rive...