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Un cinema 'domestico' Cattolici e forme di organizzazione culturale in Italia 1945-1970
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Un cinema 'domestico' Cattolici e forme di organizzazione culturale in Italia 1945-1970
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L'interesse dei cattolici verso il cinema è al centro di studi e ricerche da diversi anni, sia per la sua indubbia complessità e articolazione, sia perché costituisce un osservatorio di grande interesse per cogliere il tipo di ricaduta complessiva di un medium – dal piano dell'immaginario a quello dell'organizzazione culturale, dalla censura agli aspetti produttivi – su di un sistema culturale ampio ma dai confini delimitati, come quello del mondo cattolico, all'interno di un arco cronologico definito.
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Topic
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Photographycapitolo 1
TRA CINEMA E CHIESA: LE STRATEGIE
DI INTERVENTO DEI CATTOLICI
1.1 Cattolici e cinema
Adulti, adulti con riserva. Tutti, tutti escluso i giovanissimi. Buttar fuori di sala i ragazzi (somma pazzia). Non li buttare (altra pazzia, ma preferibile). Ecco i problemi del prete gestore. È un continuo giocare al margine della moralità. [...] Del resto l’immoralità di certi spettacoli non è molto più immorale di quel che non lo sia la stupidità di altri classificati per buoni. Ora è noto che il libriccino delle segnalazioni non pende in considerazione la maggiore o minore stupidità di un film. Ma la nostra veste è di maestri e un maestro che insegna per ore ai giovani cose stupide e inutili pecca gravemente.
E del resto si poteva fare anche un discorso preconcetto: cinema e televisione dipendono ambedue per loro natura da organizzazioni molto costose. Era fatale dunque che dovessero cadere in mano a dirigenti la cui unica preoccupazione fosse quella di contentare gli spettatori1.
Nel 1954, quando scrive queste parole, don Lorenzo Milani fa parte di una minoranza di sacerdoti che resistono al cinema, alla televisione, al bar e ai campi sportivi come mezzi per attirare i ragazzi e permettere loro una sana ricreazione. Il prete-maestro è preoccupato di trasmettere ai più giovani gli strumenti culturali per cogliere e affrontare i problemi più urgenti e sostanziali del tempo che attraversano. Per questo si interroga sul significato della ricreazione per i ragazzi costretti a una dura vita di lavoro, e per quelli ormai assuefatti agli agi di una società che sta subendo i contraccolpi di un repentino progresso. Apparentemente antimoderno, don Milani coglie con lucidità i dilemmi che vivono i sacerdoti in cura d’anime e le contraddizioni che si celano dietro alle loro iniziative.
Si obietta che esistono dei film veramente positivi. Non ne dubito, ma il loro numero è talmente limitato da non permettere l’armonizzazione delle spese d’una sala che si volesse limitare alla loro proiezione. Del resto quando ho desiderato che il mio popolo vedesse un determinato film positivamente buono (è successo 6 volte in 7 anni) mi è stato cosa facile ottenere dalla Casa del Popolo o dal gestore privato del cine Concordia di programmarlo. Contentissimi loro e io libero dalle spese, grattacapi, perdite di tempo, disonore che comporta la gestione d’una sala propria2.
Le osservazioni di don Milani – che appariranno più avanti nella loro chiave più libera e radicale – riflettono bene il significato che il cinema, al pari di altre forme ricreative, riveste per la chiesa: si tratta di un mezzo moderno di svago, potenzialmente pericoloso per la capacità di attirare gli spettatori verso forme di racconto evasive e talvolta immorali e, insieme, di uno strumento utile per la pastorale. Al di fuori di un contesto pastorale risulta impossibile cogliere ciò che il cinema ha rappresentato, nel corso di buona parte del Novecento, per i sacerdoti: non si tratta di una forma d’arte da coltivare in sé; piuttosto di un mezzo attraverso il quale è possibile giungere a una verità profonda sull’uomo che interroga la fede. Da questo atteggiamento di fondo deriva il tipo di attenzione e di intervento sul campo, finalizzato dapprima a togliere ciò che disturba perché sconveniente e apertamente nocivo, per poi incanalare in una direzione proficua lo svago e l’insegnamento che un film può apportare allo spettatore. Il piacere della visione, l’approfondimento estetico sono sempre corollari di una finalità morale che deve impegnare lo spettatore in un’attività potenzialmente costruttiva, e che non può limitarsi alla distrazione, alla pura evasione, alla perdita di tempo. A partire da questa necessità i cattolici si arrogano il diritto e dovere di “addomesticare” il medium attraverso una serie di organizzazioni e strutture autonome, perché meglio rispondenti ai loro fini e, per il medesimo motivo, non si esimono dal fare violenza alla pellicola apportando “correzioni” e tagli, se necessari, senza soverchie preoccupazioni di fedeltà filologica al testo. Nell’interesse supremo del destinatario, possono essere facilmente sacrificate scene poco edificanti, oppure eccessive e sconvenienti. Si può certamente osservare – come già faceva don Milani – come la censura cattolica si sia abbattuta soprattutto su alcuni aspetti di superficie (scollature, baci, immagini provocanti o violente, ecc.), trascurando l’immoralità profonda di molti film di scarso valore, dozzinali o sciocchi e penalizzando opere di profondo valore spirituale, colpite da giudizi pesanti perché pervase da questioni apertamente problematiche, come Germania anno zero (di Roberto Rossellini, 1948). Non va tuttavia dimenticata la preoccupazione delle gerarchie, dei sacerdoti e di coloro che avevano responsabilità pastorali di fornire occasioni di scandalo o di turbamento a destinatari dalla diversa capacità di discernimento e dalla diversa cultura.
Un ulteriore elemento che concorre a spiegare la politica cinematografica dei cattolici è da mettere in relazione con la pluralità degli attori sociali che ne compongono il variegato panorama e che si differenziano per il grado di responsabilità, oltre che per le tipologie dei discorsi e degli ambiti comunicativi. In primo luogo vi sono i pronunciamenti del Magistero, caratterizzati da orientamenti di tipo generale e da un tono del discorso elevato, volto a evidenziare non solo i limiti, ma anche le potenzialità e gli aspetti positivi, utopici del mezzo cinematografico. Vi sono poi gli interventi di operatori pastorali responsabili di organizzazioni a vasto raggio (nazionali o locali), finalizzati a tradurre su un piano di realtà le posizioni espresse dal Magistero e a esercitare una mediazione tra le direttive che giungono dall’alto e l’attività pastorale di base, contenendo il più possibile le spinte centrifughe, ma anche esercitando una pressione sulla società. Le iniziative dei parroci e dei sacerdoti si collocano a un livello maggiormente delimitato per estensione e responsabilità: esse si manifestano attraverso un multiforme ed eterogeneo ventaglio di proposte e di riflessioni, frutto delle convinzioni personali dei sacerdoti (dalle più obsolete e conservatrici alle più aperte e creative) ma anche di situazioni contingenti, riferite alle tipologie delle parrocchie e alle condizioni degli abitanti. Infine vi sono i laici che formano un complesso e frastagliato continente per le differenze sia nel modo di pensare e di intendere il ruolo della chiesa, sia nella pratica di fede e nella sensibilità nei confronti del peccato, sia nel modo di approcciarsi ai divertimenti e segnatamente al cinema.
In virtù di tale complessità e stratificazione, risulta vago e impreciso parlare dei cattolici in termini generali, senza precisare chi siano, e a quale titolo parlino o agiscano, nonché quali siano i loro destinatari. Tra gli attori che rivestono ruoli di responsabilità in merito alla politica cinematografica dei cattolici nel secondo dopoguerra, vanno segnalati almeno – come ha evidenziato Tomaso Subini – «1. i cattolici operanti nelle istituzioni ecclesiastiche, quelle vaticane come quelle italiane (Gedda, Galletto, Lonero, Angelicchio, Taddei, ecc.); 2. i cattolici operanti nelle istituzioni dello Stato (Andreotti, Scalfaro, Ammannati, Rondi, ecc.); 3. i cattolici non integrati nelle istituzioni dello Stato o della Chiesa perché dissidenti (De Piaz, Turoldo, Fabbretti, Bedeschi, ecc.)3».
Prima di entrare nel vivo dell’argomento del libro, vale la pena ripercorrere, sia pure sinteticamente, le principali aree di intervento dei cattolici nell’ambito cinematografico.
1.2 I documenti del Magistero
La prima enciclica papale dedicata al cinema, la Vigilanti cura, viene emanata il 29 giugno 1936 da Pio XI. In realtà l’interesse del papa verso il cinema si era già manifestato nella Divini illius magistri (del 1929), nella quale considerava il valore ambivalente dei mezzi di comunicazione come il cinema, grande strumento di istruzione ed educazione, spesso piegato alle ragioni economiche di industriali privi di scrupolo. Qualche anno dopo, nel 1934, in un discorso alla stampa cinematografica, Pio XI raccomanda la necessità di rendere il cinema «morale, moralizzatore, educatore». Il papa intende promuovere l’intervento attivo dei cattolici per “governare” una macchina potente e dall’enorme impatto sociale, di cui sembra cogliere pienamente la portata. «L’enciclica può essere considerata da una parte il punto di arrivo della riflessione e dell’intervento cattolico sul cinema maturato a partire dagli anni Dieci, quando la visione dei film si diffonde sempre di più nella società; e dall’altra parte rappresenta il punto di partenza per una “politica” chiara e definita su questo nuovo strumento di comunicazione, basata su una partecipazione attiva dei cattolici a tutto campo: dalle commissioni di censura, alla critica, dalla produzione all’esercizio»4.
Pio XI esorta i cattolici a intervenire attivamente, sul modello dell’americana Legion of Decency che, con la sua potenza, è riuscita a imporre ai produttori americani un contenimento dell’immoralità dei film5. E, dopo aver rilevato la capacità del cinema di determinare un forte influsso sulle masse – grazie al potere delle immagini, alla mancanza di mediazioni, alla popolarità del medium – nella parte più operativa della Vigilanti cura individua alcune modalità di addomesticamento del cinema: la vigilanza va esercitata attraverso la conoscenza «di quali film sono leciti per tutti e quali leciti con riserve, quali sono dannosi o positivamente cattivi»6, mediante la revisione delle pellicole (ossia il giudizio dato da autorevoli e fidati esperti), nonché attraverso l’organizzazione delle sale cinematografiche gestite da religiosi.
Il successore Pio XII, dopo aver rivolto nel 1945 alcuni discorsi ai rappresentanti dell’industria cinematografica europea e americana richiamando la responsabilità sociale in merito all’influsso sui pubblici, pronuncia a metà degli anni Cinquanta due discorsi “sul film ideale” che rappresentano la più ampia e completa trattazione di un pontefice sulla settima arte7. Nel primo discorso, dopo una premessa sull’importanza del cinema nella società, sulle sue conquiste tecniche e artistiche, sull’influsso che esercita sullo spettatore, il papa delinea le caratteristiche del film ideale «1. in relazione al soggetto, vale a dire agli spettatori a cui il film è destinato; 2. in relazione all’oggetto, cioè al contenuto del film stesso; 3. in relazione alla comunità, sulla quale, come già dicemmo, il cinema esercita un particolare influsso»8. Per adempiere pienamente alla sua funzione, il film ideale deve dimostrare rispetto e comprensione dello spettatore, deve rispondere ai suoi più profondi e autentici desideri, ma deve anche essere in grado di elevare l’uomo a una dimensione sempre più alta. Quanto al contenuto, esso deve essere sempre rivolto verso «la verità, la bontà, la bellezza»9, come Pio XII ha modo di precisare nel Secondo discorso sul film ideale, nel quale prende in esame anche alcuni “generi” (come il film d’insegnamento, il film d’azione, il film religioso) e il problema della rappresentazione del male: quando «il conflitto col male, ed anche la temporanea sua vittoria, in rapporto con tutto l’insieme, serve alla più profonda comprensione della vita, della retta sua direzione [...] allora una tale materia può essere scelta ...
Table of contents
- PREMESSA
- Capitolo 1 TRA CINEMA E CHIESA: LE STRATEGIEDI INTERVENTO DEI CATTOLICI
- Capitolo 2 APPROPRIARSI DELLA TECNOLOGIA
- Capitolo 3 SMONTARE INSIEME IL FILM:L’ESPERIENZA DEL CINEFORUM
- Capitolo 4 PICCOLO CINEMA. IL PASSO RIDOTTO E IL SUO CIRCUITO
- Capitolo 5 LA MAGIA DELL’IMMAGINE: LE FILMINE DIDATTICHE ED EDUCATIVE
- IMMAGINI293
- BIBLIOGRAFIA
- Note