La maledizione di Mezzapica
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La maledizione di Mezzapica

About this book

Uno sguardo ironico e coinvolgente sulle disavventure degli isolani, testimoni e protagonisti di viaggi andata e ritorno che solcano gli oceani e il secolo appena trascorso. Il profilo roccioso di Filicudi si staglia ed emerge come approdo a dispetto di qualsiasi vento. "Don Tano se ne andava con passo lento facendo saltellare il bastone dal manico d'osso. Su quel tratto di strada, che dalla chiesa nuova portava a Canale, si camminava bene. Lo avevano lisciato a cemento nell'inverno, con i sacchi avanzati dalla costruzione del pontile di Pecorini. Da anni u Parrino insisteva perché venisse sistemato quel sentiero ma Stefano Virgona, il delegato comunale, prometteva-prometteva senza mai dar disposizione: si convinse solo quel gennaio, quando sua sorella portava sempre febbre e nessun dottore riusciva a capire cosa avesse. Ne approfittò allora u Parrino convincendolo che, se faceva sistemare il sentiero, l'infinita riconoscenza di San Bartolo avrebbe risolto tuttecose. Il Santo era particolarmente interessato alla questione. Tutti gli anni, per la festa del paese, la sua statua veniva salita in processione alla chiesa vecchia. In quel tratto, i portatori inciampavano spesso tra le pietre sconnesse del sentiero e le bestemmie del suo nome coprivano le giaculatorie del Parrino e delle fedeli. San Bartolo allora tremava tutto, più per le bestemmie che per gli scossoni, e il tintinnare delle collane e dei bracciali d'oro, che per l'occasione gli avevano appizzato addosso, si sentiva sino a mare. Anche Don Tano, come il Santo, apprezzava ora la comodità di quel tratto di strada e non andava mai da altre parti." L'auttore: Paolo Chicco nasce a Torino (1951) dove vive ed esercita la professione di penalista. Alla fine degli anni Settanta dirige una delle prime radio libere e fonda la rivista di politica e cultura "La Pallacorda". A sedici anni scopre le Eolie: pur essendo un vero sabaudo ama dire che da quarant'anni studia da siciliano.

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Information

La sciara
Le onde ricoprivano il pontile di Pecorini, sollevando nuvole di spruzzi, e le nasse, legate tra le barche in secco, parevano volersi sciogliere dagli anelli.
Anche le ginestre della pergola di Nino Tizzone, sfruttando il vento, si erano liberate dai legacci di ferro filato e volavano sopra i tetti.
La mareggiata, durante la notte, aveva pavimentato di sassi la terrazza della caserma dei carabinieri e la porta non si apriva.
Era quasi l’alba e Carmelo sentiva il bisogno di uscire.
Quella notte non aveva dormito.
Di sicuro era stato il vento a tenerlo sveglio, pareva gli volesse portare il mare sin dentro il letto.
Forse lo aveva disturbato anche quel pensiero che gli ronzava per la testa.
Comunque fosse: non sopportava più quella stanza.
Quando tirava vento, si sentiva in mezzo alla bufera per gli spifferi che entravano dalla porta-finestra. C’erano fessure larghe un dito ma l’infisso non lo si poteva cambiare, l’arma non aveva fondi e poi sull’isola falegnami non ce n’erano.
Così si era dovuto arrangiare con le buste di carta gialla in dotazione alla caserma, quelle d’ordinanza. Le aveva piegate a fisarmonica e infilate nelle spaccature, ma non era stato sufficiente.
Carmelo non poteva nemmeno cambiare stanza perché quella spettava al comandante, per via del balcone con il porta bandiera.
E il comandante era lui.
A dire il vero non sopportava più nemmeno gli isolani.
Per questo usciva volentieri solo quando c’era cattivo tempo, sicuro di non incontrarne.
Insomma, non sopportava più di stare sull’isola!
—Che qualche scecco si permetta di dire che questo posto l’ho scelto io e gli rompo le corna! – minacciava ogni volta che si veniva sull’argomento.
Su quello scoglio ce lo avevano mandato in punizione!
Il ragazzo era troppo irrequieto per stare in città, meglio fargli passare un periodo di maturazione in un piccolo centro, ancor meglio se in una stazione disagiata, perché capisca com’è la vita.
Poi certo, dovendo scegliere tra Novara di Sicilia, a correre dietro ai ladri di pecore, e Mistretta, a farsi sparare da qualche mafioso, aveva chiesto di andare sull’isola.
Era stata una scelta obbligata.
La porta continuava a non aprirsi neppure con violente spinte di spalla.
In un impeto di rabbia Carmelo fece un passo indietro e diede un calcio con il piatto della suola, come aveva visto fare nei polizieschi. Si udì un forte stridio e una folata di vento si fece strada attraverso uno spiraglio di pochi centimetri.
—Che succede brigadiere? – gli chiese l’appuntato che, svegliato dal rumore, si era buttato giù dal letto.
—Sta camorrìa di porta non si vuole aprire!
Provò a spingere anche lui, ma fu tutto inutile.
—Deve essersi infilato qualcosa sotto.
—Che minchiata, una porta d’ingresso che si apre verso l’esterno! – imprecò Carmelo.
—Potevano pensarla solo per la caserma dei carabinieri.
—Accusì antisfondamento è! – tentò di difendere l’Arma l’appuntato.
— Comunque brigadiere non si preoccupi, mi calo dal balcone con la scala e risolviamo tuttecose.
Così fece e dopo poco Carmelo poté finalmente uscire.
Appena fuori, gli spruzzi di un’onda gli lavarono la faccia; si passò la lingua sulle labbra per sentirne il gusto salato. La sferzata d’acqua e il sapore del mare lo riconciliarono.
Il pontile era completamente sommerso dalle onde proprio come quella primavera di tanti anni prima.
Lui era ragazzo e il molo pieno di buche e molto più corto.
Se ne stava in punta con le spalle al mare, pronto a scappare, aspettando l’onda più gonfia, quella che lo avrebbe travolto. Resisteva alla paura fino all’ultimo e poi correva via, più veloce che poteva, per vincere la sua gara con il mare. Gli schizzi lo raggiungevano solo in fondo al pontile, bagnandogli le gambe nude. Aveva passato un intero pomeriggio a fare quel gioco ridendo come un matto.
Se ora comandava quella stazione dei carabinieri la colpa era in buona parte di quella vacanza.
Aveva quindici anni Carmelo, quando suo nonno, il capitano Giuseppe Amato, gli chiese di accompagnarlo in una breve visita alle caserme dell’arma alle isole.
La prima tappa fu proprio quella.
Il mare primaverile li aveva bloccati per una decina di giorni trasformando l’ispezione in una piacevole vacanza.
—Uno scoglio è. Gli avevano detto gli amici prima di partire.
—Solo pietre ci stanno!
Carmelo però si era trovato subito bene e il nonno lo lasciava libero di fare quello che voleva.
I carabinieri erano diventati i suoi compagni di gioco e persino il comandante della stazione aveva dedicato un giorno intero a insegnargli a sparare.
Fu la sua prima esperienza nell’arma.
Si cominciò dalle camere di sicurezza, dove venivano tenuti i fucili d’ordinanza e le munizioni.
—Scadute sono, – gli disse – qua non ne consumiamo.
Poi, subito dopo, lo portò sul terrazzino dietro la cucina per prendere le bottiglie vuote, affastellate sopra il bisuolo.
—Meglio darci a queste – ribadì il brigadiere – che fare i carte per ritornare i cartucce al comando.
—Tu devi cercare pezzi accussì – gli ordinò mostrandogli un sughero da pesca raccolto tra i sassi della spiaggia.
Poi e...

Table of contents

  1. Il libro
  2. L’autore
  3. Tre sassi
  4. L’arca e la merca
  5. Ginucchiuni
  6. Cane cristianu
  7. U Muto
  8. L’oltraggio
  9. La sciara
  10. Copyright