L'albero "sfogliato" e altri brindilli
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L'albero "sfogliato" e altri brindilli

About this book

A buon diritto L'arbre effeuillé et autres brindilles ha vinto il francese Prix Œdipe nell'anno 2006. C'è qualcosa di nuovo in questo libro, sia sul piano della scrittura, sia su quello della trasmissione della psicanalisi; un lavoro che è anche una speranza, sia per la psicanalisi, sia per la scrittura psicanalitica.
Ma perché tutto ciò acquisti il senso di novità che il lettore di questo libro può incontrare occorre tenere conto della sua non indifferente complessità, per quanto raggiunta attraverso una semplicità che alla lettura appare subito evidente; ma è proprio questa evidenza che sconcerta, sia perché priva di ogni scontatezza e di ogni luogo comune sulla relazione psicanalitica, sia, soprattutto, perché il lettore deve continuamente ricuperare il piano di due racconti che, per quanto distinti graficamente, continuano a intersecarsi provocando quel disorientamento che è in grado di mettere a repentaglio ogni ordine che s'immagina debba essere quello che regola un rapporto professionale fra il terapeuta e il suo paziente. Anzi che regola un rapporto professionale in quanto tale, al quale un luogo comune, così come un'esigenza di ordine sociale, ha voluto assegnare de facto lo statuto deontologico della relazione terapeutica. Lo sconcerto viene dal non riconoscere più un tale statuto e, cosa dirompente, che dalle novelle (ma anche parabole) di Bonetti non è assolutamente possibile risalire a una relazione terapeutica, qualunque sia il modo in cui si vogliano intendere i modi e i termini di tale relazione. Dunque, solo un imperativo etico, e assoluto, può governare una relazione psicanalitica, dove non c'è posto per le deontologie professionali né per le lusinghe sociali o economiche. Daniel Bonetti (Roeulx 1950 – Corte 2015). Ha praticato come psicanalista a Charleroi (Belgio) e ha lavorato per molti anni in un'istituzione per bambini e adolescenti di Liegi. Fin dalla sua costituzione è stato membro dell'associazione belga Questionnement psychanalytique e dell'Inter-associatif européen de psychanalyse.

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Information

L’ALBERO «SFOGLIATO»
E ALTRI BRINDILLI
[…] il divenire analista è ormai inserito in una credenza, elemento questo testimoniato dal fatto che chi crede di essere divenuto analista non ha più coscienza di essere analizzante. E vive come se potesse fare a meno dell’analisi, evitando così quella struttura dell’infinito che l’analisi comporta.
Giovanni Sias, La finzione e il valore dell’interpretante
Il est radicalement impossible que “moi je” pense au sens d’un penser pulsionnel. Car en m’identifiant, en me prêtant un être stable et immuable, j’abandonne le processus de penser. L’être stable élude la pensée mouvante et la pensée mouvante évite l’être stable.
Christian Fierens, Comment penser la folie
Tout texte “dérive” ce dont il parle, il le déplace. Tout texte est traduction, il est donc inadéquation de base.
Georges-Arthur Goldschmidt, Quand Freud voit la mer

CHI ASCIUGO1?

Ti porgeva il disegno, senza una parola.
Lei si rivolgeva ai tuoi occhi come a un faro lontano nella notte che lancia i suoi chiarori di luna, chiamata muta a ogni battello che veglia.
Prendesti il foglio fra le mani esitanti e v’immergesti lo sguardo.
Vedesti una lettera, sulla sinistra, in alto. Una grande “j” con il punto rosso. Sulla destra un disegno, quattro forme rettangolari e colorate.
Le chiedesti: «Che cos’hai disegnato?».
«Asciugamani», rispose. Poi tacque.
«Sai che cosa vuol dire questa?», le rilanciasti posando il dito sulla lettera così ben disegnata.
Dolcemente, mormorò «j... j... j..2 mettendoci la voce.
Allora il tuo sguardo incominciò a scivolare. Lo sentisti descrivere una curva partendo dalla “j” in direzione delle forme colorate. È il lettore, in te, che restò sorpreso. Leggesti: «J’essuie, io asciugo».
Glielo rendesti dicendole: «È proprio curioso. Si direbbe che ciò dica: je suis, io sono».
Si animò di colpo, d’uno sguardo vivo e brillante, e disse: «Ah! Sì! Io sono Rosa».
Aveva detto il suo nome. Questo nome, Rosa, questa rosa che annunciava il colore. Rosa che fioriva nel giardino dei suoi segni.
Ti ritornava dal profondo del cuore un canto che diceva: «Je meurs de ma petite sœur – De mon enfant et de mon cygne...»3.
A ogni “asciugamano” corrispondeva una scrittura. Parole venute d’altrove, impronunciabili.
Ma lei, Rosa, lei non sapeva scrivere. Farfugliava coi resti raccolti nelle sue derive scolastiche. Lei non sapeva, potendo il minimo. E quel poco che non ignorava, il suo insaputo sapere, lo portava a te.
La seduta terminava così, e ti lasciò l’amaro in bocca.
Qualche tempo dopo ci fu un seguito, come un prolungamento.
Fece un altro disegno, e te lo portò.
Questa volta Rosa si mostrava più eloquente.
Disse: «È l’onda di “asciugamani”. Ci sono due ganci per tenerla».
Fosti colpito da questi due strani ganci che ricordavano, ma invertendone la forma, la scrittura della lettera “j” della volta precedente.
Inoltre, il punto rosso sulla “j” si era ora trasformato in cuore, due cuori pieni d’amore che ti parlavano della lingua, quest’onda che fluttuava fra i due ganci che forse raffiguravano la catena delle sue parole.
Sotto l’onda gli “asciugamani”. Scrittura non più sibillina per accompagnare quelle forme colorate dai contorni ora più allentati. Gli “asciugamani” sembravano grondare come una pioggia di mare, tuffate in sotterranee profondità.
Pensavi all’inchiostro della tua penna, che tracciava solchi sulla pelle ruvida della carta.
Pensavi agli arabeschi che la tua mano di bambino tracciava sulla sabbia umida della spiaggia.
Pensavi alla ricerca della tua firma quando, adolescente, volevi trovare il tuo stile, la tua forma.
E ancora pensavi altre cose in un raccolto silenzio.
Lei, Rosa, quasi inavvertitamente, accordava nomi a ciascuna delle forme. Nomi di bambini che conosceva...
E da un immemorabile grammofono sgocciolava ancora una voce che diceva: «Je suis sûr que la vie est là – avec ses poumons de flanelle...»4.
Un mattino, di quell’anno sottratto alla tua memoria, quella voce, come un rutto, ti uscì dalla bocca.
Che lacerò, in un lampo, l’atmosfera ovattata del silenzio della classe.
Un grande fracasso di risa ritenute, infranse il torpore di quel giorno. I loro occhi si lanciarono verso di te, confuso e mortificato, che te l’eri lasciata sfuggire.
Una vocale. Strappata dalle labbra. Una piccola “e” 5, tremula come una bolla di sapone appena involatasi dall’anello dorato.
E questa vocale mostrò gli abbagli nel cuore della sintassi, e gli accordi di genere improvvisamente non sapevano più su quale piede danzare.
Risero di te, ti presero in giro. Ti incalzavano a dire quel che non sapevi: perché dire quella e non “i”, “u”, oppure “o”.
Ridevano tutti, e ti mormoravano negli orecchi.
Quel che ti piegava, il femminile, aveva trovato il suo punto di rottura. E la vergogna si abbatté su di te.

1 Il titolo di questo capitolo è Qui j’essuie? “Chi asciugo?” il suono è identico a: Qui je suis?, cioè “Chi sono?”. In Belgio la parola essuie significa “asciugamano”. È evidente il gioco di parole fra “asciugare” e “essere”. [N.d.T.]
2 Forma apocopata del pronome personale soggetto "je" (io). [N.d.T.]
3 Canzone di Léo Ferré, La mémoire et la mer (traduz. it. Il ricordo e il mare: “Mi struggo per la mia sorellina, per la mia infanzia e il mio cigno”). Daniel Bonetti gioca qui sull’omofonia cigno (cygne) – segno (signe). [N.d.T.]
4 Canzone di Léo Ferré, ibid. (traduz. it.: “Sono sicuro che lì è la vita / con i suoi polmoni di flanella). [N.d.T.]
5 L’autore si riferisce alla lettera “e” che, nella lingua francese, dà luogo alla forma femminile. [N.d.T.]

UNA PICCOLA SPERANZA

«C’è una piccola speranza affinché una parola sia afferrata al volo e trattenuta?».
Così si diceva...

Table of contents

  1. Presentazione
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. L’ALBERO «SFOGLIATO» E Altri brindilli