Psicanalisi di frontiera
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Psicanalisi di frontiera

Freud, Federn, Lacan

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Psicanalisi di frontiera

Freud, Federn, Lacan

About this book

La congettura che in questo scritto metto alla prova – che già con il suo creatore la psicanalisi freudiana abbia originariamente rimosso la scienza galileiana grazie a una fissazione alla scienza aristotelica, in particolare alla Fisica di Aristotele, che ha dominato la cultura occidentale per quasi due millenni e tuttora sopravvive nel senso comune. In particolare Freud avrebbe originariamente rimosso la nozione di infinito come tutti gli scolastici – mi è suggerita dal lavoro di un autore, Paul Federn, che riuscì a gettare uno sguardo nella rimozione originaria del fatto scientifico, originariamente collettiva prima che individuale, grazie a un approccio topologico alla psicanalisi, segnatamente alla concezione freudiana del narcisismo. L'individuazione di frontiere dell'Io – Ichgrenze – fu possibile a Federn solo grazie a una mentalità "locale" che mirava a stabilire cosa accade negli intorni dei singoli punti dell'Io, in particolare intorno ai punti di frontiera, a prescindere dalla sorte "globale" dell'intera "provincia" dell'Io. Leggendo Federn risuona alle mie orecchie il detto di Lacan: "L'analisi non progredisce che dal particolare al particolare".

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Information

PSICANALISI DI FRONTIERA
Senza le conquiste della matematica, la rivoluzione scientifica, per quanto ne sappiamo, sarebbe stata impossibile.
H. Butterfield, The Origins of Modern Science, 1958

Premessa

Benché il sentimento non influisca sullo sviluppo di questo saggio, desidero non nascondere quanto mi imbarazzi affrontare l’accoppiamento di due autori come Freud e Federn. Pur nella mia debolezza di storico avverto tra loro la presenza di un nucleo enigmatico di pensiero che va ben oltre la superficie della comune appartenenza all’ebraismo e affonda le sue radici in un legame sociale problematico per l’Occidente sin dai tempi della distruzione del tempio di re Salomone. Vedo i due personaggi immersi in una forma di civilizzazione particolarmente adatta a sviluppare un ateismo soft, che cela la rimozione di Dio nell’agnosticismo collettivo. Immagino che chiarendo la loro interazione possano derivare ricadute potenzialmente interessanti non solo in psicanalisi. È a tale nucleo di civiltà che dovrebbe rivolgersi l’attenzione e la competenza dello storico. Segnalo il punto, affinché altri voglia affrontarlo. Io mi dedico a questioni più abbordabili, che richiedono minore genialità interpretativa.

Freud, Federn e i freudiani

L’accoppiamento maestro/allievo sfocia spesso in modo “naturale” in un conflitto del tipo padre/figlio su base edipica. In questo senso il movimento psicanalitico non ha fatto sconti. Freud ebbe problemi con quasi tutti i suoi allievi, ad eccezione di un paio di loro, tra cui appunto Paul Federn e Theodor Reik. Il fenomeno non sorprende. Si sa dalla clinica che i transfert analitici sono regolarmente falsi amori, che spesso coprono un vero odio (naturalmente spostato come il falso amore).
Eppure nel caso Freud/Federn ci sarebbero stati validi motivi di conflitto, a cominciare dalla concezione del narcisismo e della genesi dell’Io. La teoria freudiana prevede un’evoluzione progressiva dell’Io da forme più semplici a forme più complesse di adattamento alla realtà, mentre la teoria di Federn prevede un Io preliminare, coesteso al mondo reale, dal quale lentamente si ritrae, creando frontiere di separazione dopo ciascuna interazione dolorosa con il mondo esterno. Progressione vs regressione: cosa potrebbe esserci di più antitetico?
Le differenze dottrinarie tra Freud e Federn erano pubbliche, documentate sui giornali del movimento analitico: dall’Internationale Zeitung für Psychoanalyse a Imago. Ma Freud non fu mai ostile a Federn in nome di qualche dissenso ideologico. Si fidava tranquillamente di lui; gli conferì addirittura la presidenza della Società Psicanalitica di Vienna, quando partì per il suo trip nella terapia dello pseudocarcinoma alla mascella,1 che lo portò ad amputare gran parte delle relazioni pubbliche. Cosa aveva di speciale Federn agli occhi di Freud?
Per ora posso solo congetturare che Freud vedesse nei contributi di Federn un che di innovativo alla psicanalisi, una molla – una Triebfedern, si potrebbe dire con un gioco di parole propizia al suo progresso scientifico, una diversità favorevole alla propria ortodossia, addirittura arricchente; immaginava qualcosa che potesse portare la psicanalisi ad affrontare la muraglia delle psicosi, troppo ardua da scalare per i suoi preconcetti sulle psiconevrosi narcisistiche senza transfert. Le teorie federniane sull’estraniamento (libido sottratta al mondo) e sulla depersonalizzazione (libido sottratta all’Io), intesi come stadi prepsicotici, essendo basate saldamente sull’approccio quantitativo alla libido, a sua volta base irrinunciabile dell’economia metapsicologica, dovettero suonare gradite a Freud, la cui epistemologia si basava sull’identità quantitativo = scientifico. Ma forse c’è da dire di più.
Nei tre volumi dedicati alla vita e alle opere di Freud, Ernst Jones dedica a Federn citazioni en masse. Il solo riferimento personalizzato è quello relativo alla vicepresidenza della Società Psicanalitica di Vienna.2 Nessun accenno alle sue teorie psicanalitiche. In quella Società vigeva una censura collettiva di scuola, che fungerà da modello per le scuole successive, per cui il progresso della dottrina poteva e doveva verificarsi solo dall’alto della cattedra magistrale, mai dai banchi degli allievi. Più generosa la nostra Silvia Vegetti Finzi che, nella sua Storia della psicoanalisi,3 accenna alla concezione federniana della generica debolezza dell’Io come precondizione della psicosi con la conseguente necessità di impostare una cura di tipo materno, diversa da quella standard codificata da Freud per la nevrosi. Non c’è altro?
Ciononostante Federn fu saccheggiato da quelli che chiamerei i romanzieri della psicanalisi, abili a stilare anamnesi cliniche, sul calco di quelle mediche. Non lo cita mai, ad esempio, Heinz Kohut, che pure sfruttò la nozione di Federn di occupazione con libido narcisistica delle formazioni dell’imago parentale idealizzata (“oggetto” narcisistico) e del Sé grandioso (“soggetto” narcisistico), tipiche formazioni di transfert speculare in personalità narcisiste prepsicotiche.4
A prescindere dalla devozione di Edoardo Weiss, suo analizzante, che curò una silloge dei suoi scritti,5 una delle ragioni dell’impopolarità di Federn, oltre a quella generica della scientificità del suo approccio, invisa ai suoi tempi come ai nostri, mi sembra sia stata l’aver tenuto conto dei risultati dell’introspezione nello studio dei fenomeni dell’estraniazione e della depersonalizzazione in pazienti psicotici e non psicotici, i quali raccontano volentieri il funzionamento dell’Io in tali frangenti problematici dell’esistenza. Vi si aggiunga la ripresa di nozioni junghiane, come quella di complesso e la propensione a considerare la libido come energia pulsionale unica, che occupa sia l’Io sia l’oggetto, e il gioco censorio dell’ortodossia è fatto: Federn non fu psicanalista ma fenomenologo. Se poi cita Eugène Minkowski, la condanna del presidente dell’IPA, il suddetto Kohut, è senza appello. Miserie dell’ortodossia.

Federn, Lacan e i lacaniani

Non migliore fortuna ebbe Federn tra i lacaniani. Alla voce “Narcisismo” del loro fortunato Vocabulaire de psychanalyse Laplanche e Pontalis non citano Federn. Dove cita Federn la Dolto, famosa per la sua concezione dell’immagine inconscia del corpo? Perché tale silenzio censorio?
Lacan, tuttavia, dimostrò di conoscere Federn. Negli Écrits cita le frontiere psichiche alla Federn in riferimento ai rapporti tra l’Io e l’Ideale dell’Io nel suo schema ottico.6 Non è molto, ma basta a individuare una linea di pensiero, propriamente quella topologica. Non si può non parlare di topologia, trattando di Federn. Non si può evitare il riferimento sia pure tangenziale al discorso matematico, in particolare geometrico, in un approccio che forse inibì lo stesso Freud, per il riferimento al suo “divino Platone”, che vietava l’accesso all’Accademia ai non geometri.
A sentire la parola “topologia” agli psicanalisti vengono i fumi; pensano subito ai famigerati matemi di Lacan. In realtà e con buona pace dei lacaniani di ferro, Lacan non fece mai della vera topologia. Si limitò a sfruttare ben note e ampiamente volgarizzate proprietà topologiche e/o omotopiche delle superfici bidimensionali – la banda di Möbius, il toro, il cross-cap, il piano proiettivo – come artifici mnemotecnici per ridurre in pillole – i cosiddetti matemi o unità trasmissibili di sapere – il proprio insegnamento e farlo inghiottire agli allievi. A Lacan non interessava la topologia ma la propria dottrina, che gli allievi dovevano ricevere senza fraintenderla. Il suo tormentone fu mes élèves. Lacan fu un maestro, non un ricercatore. Trasmise un catechismo da apprendere tale e quale; non inaugurò una pratica scientifica collettiva di formulazione e controllo di congetture. Tuttavia, lungo tutto il suo Seminario durato quasi un quarto di secolo, abbozzò un non trascurabile lavoro di superamento del sapere freudiano, paradossalmente all’insegna del ritorno a Freud.7
Va riconosciuto che, se Lacan ebbe il merito scientifico di aver introdotto in psicanalisi la nozione di “reale”, contrapposta a “simbolico” e “immaginario”, articolati in una catena borromea, dove i tre registri RSI stanno insieme senza accoppiarsi, la ragione è che a suo particolarissimo e inimitabile modo Lacan si avvicinò alla topologia, cioè a “un’astrazione di alcune interessanti propr...

Table of contents

  1. Indice
  2. I Quaderni di Polimnia
  3. Presentazione
  4. Frontespizio
  5. Colophon
  6. PSICANALISI DI FRONTIERA
  7. Indice analitico
  8. Indice dei nomi
  9. Bibliografia