UNA GRADUALE RIVOLUZIONE
In quasi un secolo di vita, la Terza pagina subisce mutamenti importanti. Il primo fenomeno registrato dalla storia del giornalismo è la novità emersa a metà degli anni Cinquanta. Nel 1956, infatti, “Il Giorno” vede la luce senza Terza pagina: nel quotidiano le informazioni culturali sono distribuite tra le varie sezioni del giornale, a seconda dell’affinità con gli altri argomenti trattati. È il primo atto di una graduale rivoluzione.
Negli anni Sessanta la Terza diventa la sede favorita per le grandi inchieste e i reportage dall’estero, spesso più di matrice sociologica, ma non perde mai del tutto il carattere di “palestra del bello scrivere”. Lo dimostra ad esempio il quotidiano “Il Tempo”, la cui Terza è curata, dal 1965, e per ben vent’anni, da Fausto Gianfranceschi, grande firma del giornalismo dell’epoca, che oltre a scrivere su di essa, vi ospita anche articoli di altri noti nomi, quali Augusto Del Noce e Mario Praz (che dal 1974 scriverà per la pagina culturale de “il Giornale” di Indro Montanelli e de “La Stampa”). Ancora ricordiamo, come autori di Terza Pagina dell’epoca, Franco Cardini, Marcello Veneziani e Paolo Isotta, questi ultimi tutt’oggi firme prestigiose dell’informazione italiana, culturale e non solo.
Nel 1976, anche “la Repubblica” esce senza la Terza pagina, rinviando la “Cultura” all’omonima sezione posta nelle due pagine centrali. Nella stessa epoca il “Corriere della Sera” e “La Stampa” mantengono ancora la Terza, benché modernizzata con articoli sull’attualità politica, sociale e culturale.
Negli anni Ottanta una delle Terze da ricordare è, ad esempio, quella de “il Giornale”, delle cui pagine culturali è responsabile un’altra raffinata penna del nostro giornalismo, Stenio Solinas. Nel 1989, il quotidiano “La Stampa” abolisce la tradizionale Terza quando modifica formato e grafica, creando la sezione “Società e cultura”. In via Solferino si cambia invece impostazione nel 1992, con la direzione di Paolo Mieli. Così il “Corriere della Sera” è l’ultima a cedere fra le grandi testate.
Ma possiamo davvero parlare di morte della Terza pagina? O si tratta di una sua naturale mutazione dovuta al progredire degli anni e magari alla volontà di andare incontro alle richieste del pubblico? In verità si possono considerare ambedue i fenomeni: da un lato, infatti, c’è un modificarsi della Terza e un suo sopravvivere tuttora nella veste delle rubriche di cultura, spettacolo, costume e società; dall’altro, però, in questo suo mutare, registriamo oggi la caduta in disuso della specifica struttura e anche di un determinato stile, che la Terza pagina aveva e non ha più (in tal senso ecco allora che possiamo parlare di fine della Terza).
Se dunque la stagione della Terza pagina è terminata, quest’ultima da cosa è stata sostituita?
La mutazione della Terza è senz’altro, come tanti altri fenomeni culturali, un segno del modificarsi dei tempi.
Una delle principali novità è la nascita di redazioni che si occupano esclusivamente di cultura e di giornalisti specializzati in questo stesso ambito.
Strutturalmente, il nuovo stile e la nuova foliazione prevedono lo scorrimento della Terza pagina al centro del giornale. Si perpetua un modello di giornalismo sempre più generalista, che talvolta si mescola a un’informazione di massa, legata (come vedremo) di frequente anche al mondo dello spettacolo e agli schemi televisivi. Spesso l’evolversi del giornale segue l’andamento della società a cui fa riferimento.
Dunque, in definitiva, possiamo parlare di morte della Terza pagina dovuta a un cambiamento storico in senso lato. A grandi linee, il fenomeno della sua decadenza si può circoscrivere, in modo specifico, in un contesto più ampio, decifrando i tratti di quel “nuovo giornalismo” o “postgiornalismo” che si impone proprio con la nascita de “la Repubblica” nel 1976. Tale mutamento, che, come abbiamo detto, investe nel 1992 anche il “Corriere della Sera”, è icasticamente rappresentato col termine “mielismo”, proprio in riferimento alla direzione di quegli anni di Paolo Mieli, che segna appunto la definitiva scomparsa della storica e tradizionale pagina culturale.
Il diffondersi della televisione ha condotto ormai i linguisti a parlare di un giornalismo culturale “che fa uso di stilemi di massa”, proprio per catturare il pubblico televisivo. Negli anni Novanta si tratta in realtà, in numerosi casi, di un giornalismo che mischia questo tipo di informazione, caratterizzata da un linguaggio più semplice, con una ricca di preziosismi letterari, sia grafici sia stilistici, come nella tradizione del giornalismo d’élite. Scrive in proposito il critico Angelo Lorenzo Crespi: «In pratica, il quotidiano post-televisivo tende più a colpire lo stomaco del lettore che non ad approfondire le sue conoscenze, è lieto di enfatizzare piuttosto che di informare».
La decadenza della Terza si è verificata, come abbiamo anticipato, in contemporanea a un’importante innovazione. Mentre la Terza pagina perde il suo ruolo primario e abbandona pian piano, nella sua antica forma, il quotidiano, si sviluppano due modelli base dell’informazione: quello de “la Repubblica” e quello de “La Stampa”, con i quali si possono identificare due diversi indirizzi del giornalismo culturale. La principale differenza tra le due linee è il tipo di pubblico che tendono a privilegiare: più elitario nel primo caso, più popolare nell’altro. In coerenza con i presupposti della teoria della notizia, una differenza di pubblico implica dissimili considerazione e interpretazione dell’avvenimento culturale.
Il già citato Alberto Papuzzi dà persino una precisa definizione dei due modelli indicati: «illuministico» per “la Repubblica” e «cronachistico» per “La Stampa”.
Il primo privilegia la continuità con la Terza pagina classica. La sezione “Cultura” del giorn...