Le persone oltre i numeri
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Le persone oltre i numeri

Per la Business Intelligence non siamo numeri ma storie da raccontare

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Le persone oltre i numeri

Per la Business Intelligence non siamo numeri ma storie da raccontare

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Un antico proverbio orientale dice che quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito. Riprendendo questo concetto e inserendolo nel contesto in cui viviamo, strangolato dalla digitalizzazione delle nostre vite, ri ettiamo sul ruolo predominante che oggi gli strumenti hanno rispetto ai sentimenti. In una società in cui si associa ai Big Data la risposta a tutti i quesiti del business, spesso ci dimentichiamo che dietro l’analisi dei numeri ci sono le persone. La Business Intelligence si propone oggi come un nuovo approccio multidisciplinare che parte dall’analisi dei dati, Big e Small, fino alle storie delle persone, per indirizzare le aziende ad adottare una strategia più completa. Non solo algoritmi, ma approccio, apertura mentale, condivisione e comunicazione di quelli che sono gli obiettivi strategici dell’azienda.
Questo saggio si propone di o rire una visione più profonda della Business Intelligence, la disciplina che ripensa al ruolo del marketing, non più inteso come u cio della persuasione dei bisogni inutili, ma volto a comprendere i bisogni reali di ognuno di noi. Un business intelligente, infatti, non si so erma al super uo, ma ascolta le storie delle persone e migliora la qualità della vita di tutti noi.

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Information

CON I BIG DATA DOBBIAMO RIMETTERE AL CENTRO LE PERSONE: LA VISIONE DEGLI ESPERTI
Lo scenario che abbiamo appena descritto ci suggerisce una vera riflessione su quello che potrebbe essere l’evoluzione delle ricerche di mercato e gli approcci metodologici utilizzati. Sviluppatesi nel corso degli ultimi cinquant’anni, le ricerche di marketing hanno ricoperto un ruolo sempre più importante nel processo di innovazione e lancio di nuovi prodotti e servizi. Chiedere ai Clienti o futuri Clienti la loro opinione su determinati prodotti o servizi è diventato fondamentale per capirne la performance attuale ma soprattutto quella futura. Avere la possibilità di capire quali sono gli atteggiamenti e le opinioni delle persone nei confronti di un brand è stato da sempre il punto distintivo che caratterizzava un’azienda di successo rispetto alle altre. Inoltre, se inserite in un rigoroso processo di governance per testare la bontà delle idee, continuano a ricoprire un ruolo determinante sul successo o meno di un prodotto o servizio.
Quello che sta cambiando non è tanto il ruolo delle ricerche,che rimarrà centrale nel processo decisionale, ma quello dell’approccio metodologico, e soprattutto della “postura” all’interno delle organizzazioni.
Proprio grazie alla tracciabilità del comportamento di acquisto dei clienti è oggi possibile accedere ad una mole di informazioni prima impensabili. In realtà il vero cambio di paradigma è sull’utilizzo di questo grande patrimonio informativo aziendale. In particolare:
  • Le attività e gli investimenti dovranno portare vero valore aggiunto per il business in modo tangibile, misurabile e tempificabile.
  • Le informazioni devono diventare delle convinzioni che portano ad azioni concrete: spingono a fare.
  • Apertura, accessibilità, innovazione e condivisione sono i pilastri di ogni azione per la generazione di valore.
Tenendo conto di queste evoluzioni è chiaro che dovremmo fare una vera riflessione su:
  • Quali profili (attitudini) sono necessari per affrontare questo processo di evoluzione?
  • Quale tipo di formazione/accompagnamento è necessario?
  • Quali investimenti in termini IT saranno necessari per l’evoluzione degli strumenti?
Per rispondere a queste ad altre domande ho provato a raccogliere alcune autorevoli riflessioni provenienti dagli operatori del settore. In particolare, mi sono confrontato con uno dei personaggi tra i più interessanti: Ferdinando (Nando) Pagnoncelli, sondaggista, docente Universitario e Presidente di Ipsos Italia. Secondo la sua visione siamo di fronte a tre sfide che cambieranno il modo di pensare alla ricerca e il ruolo del ricercatore:
  • Sfide tecnologiche: evoluzione dei sistemi informativi e digitalizzazione dei processi.
  • Sfide normative: la nuova legge europea sulla privacy e le diverse implicazioni sul trattamento dei dati personali.
  • Sfide legate all’evoluzione dei cambiamenti sociali.
  • L’evoluzione dei rapporti identitari e di fiducia ridisegna un diverso rapporto con quelli che erano i punti di riferimento del passato.
Siamo di fronte ad una sorta di relativismo informativo che mina la fiducia nella partecipazione.
Gli stili di vita delle persone sono diversi rispetto al passato ed il fattore tempo diventa sempre più frammentato. La reputazione ed il riconoscimento, di conseguenza sono molto più liquidi e mutevoli indipendentemente dalle azioni delle aziende. Vi sono inoltre nuovi player sul mercato prima impensabili: competitor diretti ed indiretti quali Vodafone, Google, Facebook ecc.
Soggetti tecnologici che del dato ne fanno una vera attività di Business. Quello che manca, a parere di Pagnoncelli, è il processo di intermediazione. Un concetto interessante che riguarda diversi aspetti della professione e della sua evoluzione futura.
Il ruolo del ricercatore, proprio per la frammentazione e la volatilità delle informazioni, diventa sempre più fondamentale.
È pacifico che il profilo del ricercatore di domani dovrà essere completamente diverso da quello di ieri. Il ruolo della persona che accompagna l’azienda nel trovare le azioni concrete per lo sviluppo del business deve avere:
  • Presidio metodologico: non dogmatico ma aperto e flessibile rispetto ai cambiamenti sociali.
  • Centralità nel processo di lettura dei dati per poterne dare informazioni pertinenti.
  • Ibridazione metodologica e cioè saper utilizzare le diverse metodologie per meglio seguire l’evoluzione dei target: dobbiamo essere in grado di adeguarci a quelli che sono i desiderata delle persone in termini di momenti e canali di contatto.
  • Ibridazione delle fonti: le fonti sono complementari per essere più consistenti nelle valutazioni.
  • Ruolo crescente della misurazione “passiva” sfruttando le conoscenze derivanti dalle neuroscienze: non è detto che il dichiarato sia “corretto”. Avere dei sistemi di verifica delle informazioni senza chiedere alle persone ci consente di essere più precisi in quello che è effettivamente il risultato della ricerca (es. il dichiarato rispetto al reale che può essere verificato attraverso dei test dinamici. Lo shopper lab è un progetto che integra sistemi di misurazione passiva e classica e cerca di capire la distanza tra il dichiarato ed il reale).
  • I Big Data, un mondo affascinante ma che deve essere letto nella maniera giusta. Attraverso la vera strategia di fondo si possono leggere le informazioni.
  • Gli small data, la capacità di lettura dei segnali deboli.
In sostanza, nel futuro si intravede una contaminazione tra l’approccio classico metodologico tradizionale e nuovi sistemi ibridi di rilevazione passiva.
Sempre più le aziende fanno fatica a capire quali sono le vere tendenze e molto spesso si concentrano sule ricerche “tattiche” e su argomenti molto specifici, tralasciando le indagini di scenario che in realtà sarebbero la base di ogni riflessione più strutturata.
In conclusione, nonostante i tempi siano cambiati, il ruolo del ricercatore diventa ancora più cruciale in questo processo di cambiamento continuo e di frammentazione delle informazioni.
Solo chi sarà in grado di leggere e rendere accessibile la miriade di macro e micro informazioni da cui siamo costantemente “bombardati” riuscirà davvero a mettere le basi oggi per un futuro più concreto.
Tra le tante sfide, quella normativa è sicuramente quella che influenzerà profondamente il fare ricerca.
Come cambierà il modo di raccogliere, analizzare ma soprattutto utilizzare le informazioni sui clienti attuali o potenziali per far evolvere beni e servizi delle imprese?
Per rispondere in modo pertinente a questa riflessione ho approfittato dell’uscita dell’ultimo libro “Biomarketing”, interessantissimo manuale scritto da Giuliano Noci – Professore Ordinario di Marketing al Politecnico di Milano, fondatore del Laboratorio Pheel (Physiology Emotion Experience Lab) e ideatore del Biomarketing, un approccio per l’analisi del mercato e la definizione di strategie di marketing e comunicazione.
A tal proposito ho chiesto a Giuliano Noci di darci la sua visione sul ruolo delle informazioni come strumento per far evolvere il business.
Viviamo tempi interessanti: cambiano in modo profondo i processi di acquisto dei consumatori – nella direzione di una interazione con la marca sempre più multicanale –, le imprese si trovano ad avere a disposizione – grazie alla pervasività ed all’evoluzione delle tecnologie digitali – nuovi giacimenti di dati (i cosiddetti Big Data), emerge all’orizzonte la possibilità di condurre processi decisionali sempre più articolati proprio facendo leva sul nuovo oil, come lo definisce la letteratura, e sulla disponibilità di sistemi di intelligenza artificiale e machine learning sempre più sofisticati. In realtà, non è tutto oro quel che luccica. Nel mio ultimo libro (Biomarketing, edito da Egea) ho cercato, tra gli altri, di inquadrare il tema di come utilizzare le informazioni sui clienti attuali o potenziali per favorire un processo evolutivo dell’offerta (di prodotti e servizi) che un’impresa propone al mercato. Ho posto, in particolare, l’accento sul fatto di evitare di associare ai Big Data un ruolo salvifico dei processi decisionali: se è infatti vero che ormai le imprese – grazia al web, ai device digitali, nel breve al 5G – sono e saranno sempre più in grado di acquisire enormi quantità di dati, il tema cruciale, da un punto di vista manageriale, è comprendere quali dati sono realmente utili in chiave strategica e di marketing. A tal proposito, formulo quattro considerazioni, a mio avviso, cruciali.
Ritengo, in primo luogo, molto importante un allargamento di prospettiva da parte del management impegnato nella raccolta ed analisi dei dati. Si pone ancora oggi una grande attenzione a dati che qualificano il “che cosa” un’impresa propone al mercato – ponendo una grande enfasi, ad esempio, alla customer satisfaction di prodotto; una minore, e ingiustificata, attenzione viene posta al “come” un’impresa gestisce il sistema delle interazioni con il consumatore: è quest’ultimo invece un tema chiave in quanto l’attrattività della value proposition aziendale dipende sempre più dalla capacità di rispondere nel tempo ai fabbisogni di interazione dell’individuo con la marca/insegna nella prospettiva che la qualità (rispondenza alle aspettative) di prodotto sia una sorta di pre-condizione.
Non è, in secondo luogo, sufficiente lavorare a livello di Big Data (vista larga),...

Table of contents

  1. COPERTINA
  2. PREFAZIONE
  3. COSA SIGNIFICA BUSINESS INTELLIGENCE
  4. I BIG DATA E I NUOVI APPROCCI DI RICERCA
  5. LE DOMANDE CHE ORIENTANO IL BUSINESS
  6. LE INFINITE FONTI PER ARRICCHIRE LA VISIONE STRATEGICA
  7. DALLA RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI ALLA COMPRENSIONE DEI BISOGNI DELLE PERSONE
  8. IL RUOLO DELLA BUSINESS INTELLIGENCE ALL’INTERNO DELLE ORGANIZZAZIONI
  9. ALCUNI CONSIGLI PER RENDERE SEXY I DATI
  10. MIMETISMO CRIPTICO E GAMIFICATION
  11. REAL TIME INFORMATION
  12. CON I BIG DATA DOBBIAMO RIMETTERE AL CENTRO LE PERSONE: LA VISIONE DEGLI ESPERTI
  13. BUSINESS INTELLIGENTE: LA RIVOLUZIONE DEL MARKETING
  14. COME TRASFORMARE UN CLIENTE SODDISFATTO IN UNA PERSONA FELICE
  15. ESISTE UNA VIA PER UN BUSINESS INTELLIGENTE
  16. UN CASE HISTORY DI BUSINESS INTELLIGENTE
  17. CONCLUSIONI I 20 PUNTI SU CUI LAVORARE
  18. BIBLIOGRAFIA
  19. RINGRAZIAMENTI