Penne al vetriolo
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I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica

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Penne al vetriolo

I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica

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Da Gianna Preda a Fortebraccio. I due estremi, dalla destra alla sinistra politica. Ovvero dalla giornalista de “Il Borghese” definita «la tigre» da Prezzolini, la «Maxwell della politica» da Giorgio Torelli e «l’Oriana Fallaci della destra» da Marcello Veneziani, al corsivista de “l’Unità” che nasce borghese, ha un passato da democristiano prima di diventare comunista e trasformarsi in quello che Michele Serra descrive come «un gentiluomo che lavora per la classe operaia», Oreste Del Buono chiama «unico» ed Enrico Berlinguer «un capolavoro». E insieme a loro le migliori firme del giornalismo italiano: Giovannino Guareschi, Leo Longanesi, Indro Montanelli, Giovanni Ansaldo, Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti, Ennio Flaiano, Ernesto Rossi, Oriana Fallaci, Camilla Cederna, Enzo Biagi, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa e altri ancora.
Questa è la storia della Prima Repubblica italiana, quella che va dalla Liberazione nel 1945, si butta alle spalle la monarchia, arriva inizialmente alla caduta del comunismo nel 1989 e, in seguito, a Tangentopoli nel 1992. Per dare poi vita alla cosiddetta Seconda Repubblica che si rivelerà solo la brutta copia della Prima. Poco meno di cinquant’anni visti attraverso le loro penne corrosive, aggressive, taglienti, spesso satiriche. Cinquant’anni in cui si agitano e sgomitano per il potere affaristi, speculatori, boiardi di Stato, malfattori, rivoluzionari, golpisti, terroristi. E in cui nasce la partitocrazia, dilaga la corruzione, si espande la criminalità organizzata fino ad arrivare a trattare con lo Stato, si formano le caste, si favorisce il compromesso. Ma ci sono anche gli uomini che tentano di opporsi alla malapolitica, alla malaeconomia e alla malafinanza. A cominciare da un prete non amato dal Vaticano, don Sturzo.

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Information

Year
2019
Print ISBN
9788873818496
eBook ISBN
9788833241517
Topic
History
Index
History
Crolla il muro. Fine di un’epoca?
Ronald Reagan è rieletto alla fine del 1984 presidente degli Stati Uniti con la sua ricetta liberistica in campo economico e decide di ridursi lo stipendio del 10% proprio mentre i parlamentari italiani se l’aumentano di un milione al mese (commenta Montanelli: «Ci sembra giusto. Il presidente americano ha l’ambizione di passare alla storia, i nostri onorevoli s’accontentano di passare alla cassa»). Jacques Delors diventa nel gennaio 1985 presidente della commissione esecutiva della Cee allargata a Spagna e Portogallo. Michail Gorbaciov è nominato a soli 54 anni segretario generale del Pcus e presidente dell’Urss dopo la scomparsa di Cernienko. E si dice disposto a incontrare Reagan con la proposta di ridurre del 50% gli armamenti nucleari delle due superpotenze. Già in novembre i due leader si vedono a Ginevra, avviando quel processo che, favorito anche dal ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, porterà nel 1988 alla fine della guerra fredda. Non subito invece, ma nel 1987, Gorbaciov avvierà poi il progetto di “ricostruzione” economica e istituzionale del Paese, che prenderà il nome di perestrojka, unitamente a una maggiore trasparenza e libertà d’informazione nella vita pubblica che sarà conosciuta con il nome di glanost. L’idea è di portare l’Urss dal socialismo reale alla democrazia e di favorire lo sviluppo capitalistico a scapito del dirigismo economico. Ma nei fatti questo progetto di riforme si rivelerà complicatissimo. Anzi, osserverà Francesco Barbagallo in L’Italia repubblicana, «fu proprio la combinazione della glanost, che produsse la disintegrazione dell’autorità, con la perestrojka, che dissolse i vecchi meccanismi di funzionamento dell’economia senza predisporre sistemi alternativi», a portare «rapidamente l’Urss verso il precipizio».
In Italia ha grande successo su “Raidue” la trasmissione televisiva di Renzo Arbore, Quelli della notte: un programma in seconda serata, fatto di musica, comicità e tanto nonsense nell’era dell’edonismo e dell’immagine con share anche del 51%. Già la sigla di chiusura è demenziale: «Lo diceva Neruda che di giorno si suda / ma la notte no! / Rispondeva Picasso, io di giorno mi scasso / ma la notte no!». L’inflazione scende nel 1985 sotto il 10% con una diminuzione di ben quattro punti in un anno e dopo essere stata a due cifre per tredici anni; la crescita del prodotto interno lordo è inferiore al 3%, i tassi di interesse reali restano alti, il piccolo commercio soffre la concorrenza della grande distribuzione. La Borsa è vivace, vivacissima; in un solo anno i fondi comuni d’investimento raccolgono cinquantamila miliardi da investire, è già iniziato quello che Marco Borsa chiama in Capitani di sventura, il libro scritto con Luca De Biase, «un vero e proprio assalto alla diligenza del risparmio privato che ha consentito a pochi grandi capitalisti di mantenere il controllo di pochi e sempre più grandi gruppi, mettendo sempre meno denaro proprio e sempre più denaro di terzi».
Mutano gli equilibri del capitalismo italiano. La Fiat riprende a crescere, lancia un aumento di capitale di ben mille miliardi e continua a fare shopping, mettendo le mani sulla Snia Bpd e riacquistando la Rinascente, venduta anni prima quando c’era bisogno di fare cassa. Giampiero Pesenti cede la Ras ai tedeschi dell’Allianz e si mette all’ombra di Mediobanca e degli Agnelli diventandone uno degli alleati più fedeli. Raul Gardini rende i Ferruzzi ancora più forti nella soia, nell’olio, nello zucchero conquistando anche il controllo della francese Beghin-Say e disponendo a Bruxelles di una delle lobby più efficienti nel settore della politica agricola; Gardini comincia anche a coltivare l’idea della benzina verde prodotta dalle eccedenze di mais, ne parla con Cuccia che sta cercando di farlo entrare con una quota del 2% nella Montedison; una volta Cuccia gli chiede: «Ma questo etanolo non sarà cancerogeno?»; e lui: «Dottor Cuccia, da Bacco in poi non mi risulta che l’etanolo abbia diffuso molti tumori, se vuole andiamo in Russia dove già alla mattina bevono vodka e anche etanolo puro...».
Con un blitz nel febbraio 1985 Carlo De Benedetti compra in sole 24 ore la Buitoni Perugina, la più importante azienda alimentare italiana, soffiandola sul filo di lana ai francesi della Bsn-Gervais Danone. Un blitz con tanto di sberleffo perché firma l’acquisto proprio mentre i francesi si trovano a Milano negli uffici di Mediobanca per concludere l’affare con la famiglia Buitoni. E la cosa darà a Cuccia molto fastidio. Ma è proprio da Cuccia che De Benedetti va poco dopo per un altro affare: acquistare aziende alimentari dall’Iri in modo da creare nel settore un grande polo italiano. E insieme a Cuccia si reca così da Romano Prodi, presidente dell’Iri. Due mesi più tardi l’Ingegnere firma con l’Iri e la garanzia di Mediobanca il protocollo d’intesa per acquisire la Sme, una ex società elettrica diventata tra le più forti imprese alimentari con i marchi Motta, Alemagna, Cirio, Surgela, Gs Supermecati, Autogrill. Il prezzo: 450 miliardi di lire. All’Iri non sembra vero liberarsi dei suoi panettoni che sono fonti solo di grosse perdite.
Prodi informa della trattativa il ministro delle Partecipazioni Statali, Clelio Darida, democristiano con la erre arrotata; Darida non è altrettanto rapido con il capo del governo, cioè Craxi. E Craxi rimane all’oscuro, così almeno sostiene, fin quasi all’ultimo. Oltre a tutto Craxi non ha nessun feeling con De Benedetti il quale a sua volta lo detesta mentre ha invece buoni rapporti con De Mita e una fetta del Pci. Si mette allora di traverso, dicendo a Darida: «Se tu firmi la vendita a De Benedetti, io firmo la costituzione di un comitato d’inchiesta sulla vendita». Darida prende tempo nonostante il pressing di De Mita perché dia l’ok alla cessione, a un certo momento entra in scena, con il benestare di Craxi, una cordata alternativa formata da Pietro Barilla, Michele Ferrero e Silvio Berlusconi. E tutto si blocca. La Sme non sarà poi venduta, anzi tre anni più tardi, nel dicembre 1988 con De Mita capo del governo, sarà dichiarata «strategica».
Passa invece di mano con una scalata in Borsa la Bi-Invest, il cuore del gruppo Bonomi (formato da un ingente patrimonio immobiliare, partecipazioni in assicurazioni, controllo di aziende industriali) e uno dei tasselli del complicato mosaico del capitalismo italiano: ha infatti una quota nella Gemina, la società che controlla la Montedison e la Rizzoli-Corriere. Ma ha un neo: per quanto operativo a Milano da più di un secolo, il gruppo Bonomi è guardato con la puzza sotto il naso dai vari Agnelli, Pirelli, Orlando. Lo considerano, dichiarerà Franco Piga, il presidente della Consob, «la mela meno buona del sistema». Ebbene, Francesco Micheli (un personaggio molto scaltro nel mondo della finanza, si è fatto le ossa ai tempi di Cefis, è definito da Scalfari «un piccolo genio», finanziatore de “Il Manifesto” e sposato con la figlia di Lelio Basso) scopre che la famiglia Bonomi controlla il suo impero con appena il 30% del capitale. È quindi un gruppo facilmente scalabile. E parte all’attacco, agevolato anche da una serie di paradossi: gli alleati di Bonomi non lo difendono, lo stesso Bonomi vende una fetta delle sue azioni pur di guadagnarci e, quando scopre di essere stato scalato, è ormai troppo tardi. C’è poi Schimberni: vuole fare della Montedison una public company e quindi liberarsi dei rappresentanti della “vecchia guardia” del capitalismo italiano che si limita solo a fare lo specchietto delle allodole per aprirla invece a una coalizione di investitori istituzionali e nuovi imprenditori. Così appoggia l’iniziativa di Micheli.
Alla fine è la Montedison a prendere il controllo della Bi-Invest. Bonomi se ne va a Londra con un bel po’ di miliardi, Schimberni si libera dei suoi “padroni” perché Agnelli e soci, arrabbiatissimi, decidono di vendere la loro partecipazione ad un giovane imprenditore milanese, Gianni Varasi, fisico d’atleta, poco più che quarantenne, figlio del proprietario della Max Mayer, molto amico di Enzo Jannacci col quale compie scorribande notturne nei locali alla moda, politicamente vicino ai socialisti. Ha grandi ambizioni che sono però tenute a freno dal padre ottantenne, scrive anche un libro (con la prefazione di Bocca) per descrivere i suoi sentimenti contrastanti verso questo genitore che riesce ad ammutolirlo con la sua sola presenza. Commenta Scalfari: «L’operazione Bi-Invest non è stata una banale, per quanto spettacolare, scalata di Borsa; è stata uno dei momenti importanti di mutamento strutturale del sistema. Vecchie forze alquanto logore scompaiono, nuove forze si fanno avanti. Il tutto con scarsi controlli da parte di un mercato ancora assai primordiale (anche se la Consob ha fatto il possibile per arginare la piena) e in presenza di una stampa che, essendo in gran parte posseduta dagli stessi protagonisti dell’operazione, ha pubblicato veline invece di notizie». Una stoccata per il “Corriere” e “La Stampa”.
Silvio Berlusconi, chiamato «il Cavaliere», s’irrobustisce nel mondo della televisione. Ha già acquistato “Italia 1”, la fallimentare iniziativa televisiva di Edilio Rusconi; assorbe “Retequattro”, costata alla Mondadori e al duo Caracciolo-Scalfari non meno di 250 miliardi di perdite, e in questo modo mette anche le mani su Dynasty (la soap opera che fa concorrenza al “suo” Dallas), sul Maurizio Costanzo Show, su Nonsolomoda; si aggiudica i grandi studi televisivi della Rizzoli a Cologno Monzese; fa di “Canale 5” l’ammiraglia del gruppo Fininvest che nell’84 conta già cinquemila dipendenti. Quando è il momento di varare i suoi telegiornali, dice parlando dell’anchor man ideale: «Vorrei che avesse l’autorevolezza di Enzo Biagi, la vis polemica di Giorgio Bocca, la simpatia di Guglielmo Zucconi, lo stile di Arrigo Levi, la chiarezza di Indro Montanelli». Bocca, Levi e Z...

Table of contents

  1. COPERTINA
  2. Prefazione
  3. L’Italia provvisoria
  4. La grande paura
  5. E iniziano a turarsi il naso
  6. “Ma la Madonna è DC?”
  7. La lunga marcia (verso i socialisti)
  8. Tra golpe fantasma e supplizi cinesi
  9. Solo un destino cinico e baro?
  10. “Un tornado di follia”
  11. Per lor signori un “maoista” al corriere
  12. “L’Italia verso una marmellata”
  13. Come nel Far West
  14. Dalla loggia al garofano
  15. Crolla il muro. Fine di un’epoca?
  16. Come prima, peggio di prima
  17. Bibliografia