Allarme demografico
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Scipione Guarracino

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Allarme demografico

Scipione Guarracino

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Negli ultimi quattro secoli le tendenze della popolazione hanno suscitato, in Occidente e nel mondo intero, atteggiamenti tanto apocalittici quanto contrastanti. L'allarme demografico è periodicamente risuonato, oscillando tra due estremi angosciosi: da una parte la paura dell'invecchiamento, dello spopolamento e infine dell'estinzione; dall'altra l'incubo delle folle umane che si contendono spazio e cibo, esposte ai flagelli di guerre, carestie, epidemie. Il deserto e il formicaio.«Stiamo diventando troppi o troppo pochi?» Se lo sono chiesti economisti, religiosi, politicanti, profeti e romanzieri, ma anche celebri pensatori come Montesquieu, Malthus, Marx, Mill, Darwin, Jack London e Aldous Huxley. Spesso le loro risposte hanno gravato su interi paesi o sull'umanità tutta, mettendo in guardia ora dall'imprevidenza del moltiplicarsi oltre ogni possibilità di sostentamento, ora dall'eccesso di prudenza nel riprodursi; a volte alimentando progetti demografici avventurosi o totalitari, altre impedendo di affrontare minacce più che mai concrete.Questo libro di Scipione Guarracino segue il filo degli allarmi demografici nel suo intreccio storico con i processi di pauperizzazione e proletarizzazione, i progressi tecnologici e l'evoluzione dei costumi, il socialismo e il femminismo,il colonialismo moderno e il darwinismo sociale, la società dei consumi e il sottosviluppo, il ruolo delle religioni e delle chiese. Oggi sembra che il pendolo della paura non sappia più da che parte dirigersi, oppure che voglia toccare allo stesso tempo entrambe le estremità. Allarme demografico offre gli strumenti per distinguere i pericoli reali dalle ossessioni infondate.

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Information

Publisher
Il Saggiatore
Year
2016
ISBN
9788865764930

1. Calcoli ingegnosi e fantastici

Aritmetica, Bibbia e politica

Sébastien Le Prestre di Vauban, uno dei molti valenti uomini che Luigi XIV seppe scegliere come suoi collaboratori, si era segnalato già a ventidue anni, nel 1655, per la maestria nella direzione dell’assedio a una fortezza. Nel 1678 fu nominato dal sovrano commissario generale alle fortificazioni e nel 1703 ottenne il prestigioso titolo di maresciallo di Francia. Il motto «città assediata da Vauban, città presa; città difesa da Vauban, città imprendibile» rende bene la sua fama di ingegnere militare. Non è però come costruttore di fortezze che Vauban figura in apertura di questo capitolo, ma per le considerazioni demografiche contenute nel suo progetto di riforma del sistema fiscale francese, destinato a eliminare privilegi ed esenzioni e ad alleggerire il carico sui ceti più poveri.
Dopo averci lavorato per diversi anni, convinto di stare servendo fedelmente il suo re, Vauban pubblicò nei primi giorni del 1707 il Projet d’une dîme royale (dîme, «decima», ha qui il significato generico di imposta proporzionale al reddito). Il 14 febbraio un decreto del consiglio reale ordinò la confisca del libro per quanto di contrario «all’ordine e ai costumi del regno» vi era contenuto. Per prudenza Vauban non aveva fatto mettere il suo nome in testa all’opera, ma tutti sapevano chi ne era l’autore; non sembra che la condanna del libro abbia messo davvero in disgrazia il vecchio maresciallo agli occhi del re, ma è difficile credere che non ne restasse deluso e amareggiato. Già ammalato da tempo, Vauban morì il 30 marzo di quello stesso anno.
Nella Prefazione e nel Capitolo 7 della seconda parte la Dîme royale si concentra su tre valutazioni essenziali: il reddito nazionale, l’estensione della Francia e la sua popolazione. La seconda era stimata da Vauban alla cifra tonda di 30000 leghe quadrate, ovvero (con una lega quadrata pari a 19,985 km2, cioè 1998,5 ettari) poco meno di 600000 km2. Quanto alla popolazione, Vauban poteva disporre delle rilevazioni fatte dagli intendenti regi fra il 1694 e il 1700 nelle géneralités (le ripartizioni amministrative), con un totale di 19,1 milioni di abitanti, pari a 636 per lega quadrata. Le cifre che si riferivano a Parigi e ad alcune generalità gli apparivano sbagliate per eccesso; riteneva inoltre che negli ultimi 10-15 anni la popolazione francese fosse diminuita. Decise allora di procedere con un metodo fondato sulla pura raison: la costruzione di un modello, la «lega quadrata media», e il calcolo del numero di persone che questa era in grado di nutrire. Seguiamo i suoi calcoli.
Escludendo fiumi, paludi, strade e case, superfici incolte, boschi, prati, vigne (in tutto il 42 per cento della lega quadrata media), risultava una superficie arativa pari a 840 ettari, un terzo dei quali riservati all’incolto periodico (il maggese). Con dei rendimenti non più che normali (un rapporto fra semente e raccolto di 1 a 4,5) si potevano produrre, al netto del seme da accantonare per la semina successiva, 2104 setiers di frumento (un setier corrisponde a 156 litri, circa 110 kg) e altri 524 di cereali inferiori adatti all’alimentazione umana. Con un 3 per cento di perdite per motivi vari e un consumo individuale medio fissato a 3 setiers l’anno (900 grammi al giorno), Vauban proponeva 850 abitanti per lega quadrata: sommando, il totale è di 25,5 milioni di abitanti. Questa è la popolazione che la Francia poteva agevolmente sostenere nelle condizioni agronomiche del momento. Quale doveva essere quella reale al principio del Settecento?
Una volta corrette le già menzionate stime erronee contenute nelle rilevazioni, messe in conto le conseguenze dell’intolleranza religiosa praticata da Luigi XIV (mezzo milione di calvinisti francesi costretti a emigrare) e conteggiate infine le perdite dovute alle recenti carestie, i 636 abitanti per lega quadrata calcolati dagli intendenti scendevano a 550, cioè una popolazione di 16,5 milioni.
Questi conteggi erano tutt’altro che esatti. Ai confini dell’epoca il regno di Francia non arrivava a 500000 km2, e gli storici della popolazione sono propensi oggi ad attribuirgli 20 milioni di abitanti; gli ugonotti emigrati non superarono i 200000. Vauban cercava però di attenersi a un metodo e in questo si distingueva dalle incerte procedure adottate in Europa fino al XVII secolo e anche oltre. Nessuna delle grandi monarchie era in grado di organizzare veri e propri censimenti, con la conta individuale di tutti i sudditi. Gli scopi di quelli che in Francia si chiamavano dénombrements non erano demografici, ma in primo luogo fiscali. Le unità contate erano i «fuochi», i focolari domestici, e la cifra rilevata serviva a ripartire fra le varie province e poi fra singole città e villaggi le imposte decise per ogni anno. Restavano fuori dalla conta da una parte i «miserabili», che non erano in grado di contribuire ai bisogni dello stato, dall’altra i ceti esenti del clero e della nobiltà. A volte, per qualche fine particolare, si procedeva direttamente alla conta delle «bocche», ma in questo caso erano i bambini più piccoli a non essere presi in considerazione. Per stimare la popolazione totale occorreva moltiplicare il numero dei fuochi per la composizione media del fuoco, con un coefficiente che nel caso delle rilevazioni esaminate da Vauban variava arbitrariamente fra 4 e 5. Ugualmente arbitrario era il peso assegnato alla popolazione non censita su quella totale.
Vauban procedeva invece attraverso calcoli fondati su dati certi o altamente probabili che esprimevano in qualche modo la «natura delle cose». In questo si muoveva nello stesso ordine di idee di quella che in Inghilterra era chiamata «aritmetica politica», e che avrebbe avuto cultori e continuatori in Olanda, Germania e Francia. Political Arithmetic si intitolava il libro scritto fra il 1672 e il 1676 da William Petty, che era stato medico militare in Irlanda e nel 1660 era figurato fra i fondatori della Royal Society for the Improvement of Natural Knowledge. L’espressione si riferiva a ricerche e considerazioni che incrociavano statistica, economia e demografia, con un vasto corredo di tabelle, medie, indici e tassi. Questa aritmetica era «politica» perché intendeva rendersi utile alla prosperità dei regni e delle nazioni. L’opera di Petty (edita nel 1690, tre anni dopo la sua morte) dimostrava che l’Inghilterra, pur avendo una superficie e una popolazione inferiori a quelle della Francia, poteva uguagliarla in ricchezza e potenza e profittare della sua posizione insulare per acquisire il primato nel commercio mondiale. Petty esponeva così il suo metodo:
Invece di usare solo concetti al comparativo e al superlativo e argomenti indeterminati, ho deciso di esprimermi in termini di numero, peso e misura, di usare solo argomenti fondati sull’esperienza e di considerare unicamente quelle cause che hanno fondamento visibile nella natura, ignorando quelli che dipendono dalle diverse mutevoli opinioni, ambizioni e passioni dei singoli uomini.
Petty è stato il primo a parlare di aritmetica politica, ma questo genere di letteratura era stato fondato qualche anno prima dal mercante di tessuti John Graunt, che aveva studiato a fondo i «bollettini di mortalità» pubblicati dal 1603 dalla municipalità di Londra. Questi bollettini riportavano con cadenza settimanale, e ricapitolavano ogni anno, il numero dei morti suddivisi per parrocchie, per causa di morte (con un particolare rilievo dato ai casi di peste) e per sesso, oltre che il numero dei battezzati divisi per sesso. Natural and Political Observations Made Upon the Bills of Mortality of London è il titolo dell’opera di Graunt, pubblicata nel 1662. Le Osservazioni, che valsero all’autore l’elezione a membro della Royal Society, trattavano in forma non sistematica questioni destinate a diventare essenziali per la futura demografia scientifica: i tassi di mortalità e natalità, la proporzione tra maschi e femmine alla nascita, il diverso grado di mortalità in città e nella provincia, l’entità della popolazione di Londra e le tendenze in atto nella sua variazione. Graunt costruì il primo esempio di tavola di mortalità, calcolando a che ritmo una generazione di cento nati viene ridotta ed eliminata dalle varie cause di morte, ossia che probabilità si ha di sopravvivere da una classe di età alla successiva: su cento nati, 36 morivano entro i primi 6 anni di vita e uno solo arrivava a compiere i 76 anni.
La cura messa dagli aritmetici politici nel contare, pesare e misurare non era adeguatamente ripagata dai dati di cui potevano disporre, e perciò le conclusioni risultavano spesso erronee. Inoltre, in molti casi le loro preoccupazioni di esattezza erano mobilitate soltanto al fine di dimostrare la veridicità della Bibbia. Graunt, interessato quanto Petty a stabilire i tempi di raddoppio di una popolazione, propose, riferendosi a Londra, la cifra di 64 anni. Per trovare un buon argomento contro i naturalisti e i filosofi che facevano l’età della Terra molto più antica di quella asserita dalla Bibbia, provò a trasferire quel tempo di raddoppio alla storia dell’umanità. Secondo le Scritture la Terra ha 5610 anni, sufficiente per 87 raddoppi. Ogni dieci raddoppi un numero si moltiplica per un po’ più di mille; partendo da Adamo ed Eva, ne bastano 39 per arrivare alla cifra già impossibile di oltre 1000 miliardi. Ne consegue che la Terra non può avere «100000 anni e persino di più, come alcuni si immaginano vanamente, e non è più antica di quanto stabiliscono le Scritture».
In uno scritto pubblicato nel 1683 e intitolato Altro saggio di aritmetica politica sull’accrescimento della città di Londra, le sue proporzioni, periodi, cause e conseguenze, William Petty cercò un metodo adatto per valutare la popolazione di Londra e dell’Inghilterra e ottenne le cifre, entrambe sbagliate per eccesso, di 670000 e 7,4 milioni (quelle oggi ammesse sono 560000 e 5,2 milioni). Si abbandonò anche a un calcolo più avventuroso: la progressione nella popolazione del mondo intero partendo, meglio che da Adamo ed Eva, dagli otto sopravvissuti al diluvio universale (anno 1656 dalla Creazione), Noè, sua moglie e i loro tre figli Jafet, Sem e Cam con le rispettive mogli. Per non trovarsi con cifre finali palesemente impossibili, allungò progressivamente i tempi di raddoppio e arrivò a 320 milioni di esseri umani per i suoi tempi, cifra assai più bassa rispetto alle altre proposte in quegli anni (fra i 600 milioni e il miliardo).
Lo scopo di Petty, però, era più strettamente legato alla Bibbia che alla demografia: smentire chi pensava che al momento del giudizio universale non ci sarebbe stato abbastanza spazio (e materia) per la resurrezione di tutti i corpi. Nel saggio del 1683 Petty tentò di proiettare la popolazione mondiale nei successivi 2000 anni, supponendo un tempo di raddoppio di 360 anni e quindi la possibilità di 5,5 raddoppi. Gli abitanti della Terra si sarebbero accresciuti allora «in modo tale che ci sarà una persona ogni due acri nella parte abitabile della Terra», cioè il numero enorme ma non impensabile di 20 miliardi: «Allora, secondo le predizioni delle Scritture, ci saranno guerre e grandi massacri». Il lontano tempo di questo mondo sovraffollato sarà quello della vigilia del Giudizio universale.
In realtà fino al Settecento avanzato gli scrittori di argomenti demografici furono poco propensi a suscitare allarmi sui rischi di una popolazione eccessiva. Prevaleva invece la sensazione di essere non solo lontani dalla sovrappopolazione, ma anche ben al di sotto dei livelli ottimali. Nell’Aritmetica politica Petty scrisse che l’Inghilterra e le pianure scozzesi potevano nutrire un numero di uomini superiore a quello esistente intorno al 1670. Vauban, come si è visto, riteneva che la Francia potesse passare agevolmente e utilmente da 16,5 ad almeno 25,5 milioni di abitanti. Nella Prefazione al Projet d’une dîme royale aveva scritto: «Quando il popolo non sarà più così oppresso, i matrimoni saranno più frequenti, gli abiti e il nutrimento migliori, i figli più robusti e meglio allevati».
Sempre più chiaramente, nel corso del XVIII secolo, sovrani, amministratori ed economisti divennero «popolazionisti». Una popolazione densa e in crescita contribuiva alla ricchezza e alla potenza politica e militare dello stato, era indice di buongoverno e fattore di prosperità per il regno. Rendere la vita difficile alle minoranze religiose, fino a espellerle o a costringerle ad andarsene (come era accaduto in Francia al tempo di Luigi XIV), appariva ora una vera follia, che privava lo stato di laboriosi artigiani e contadini. I re di Prussia favorirono le migrazioni interne e la moltiplicazione delle famiglie nelle province meno popolate, che andavano bonificate e colonizzate, e lo stesso fecero gli Asburgo nei territori tolti all’Impero ottomano dopo il 1685; per di più la Prussia accolse buona parte degli ugonotti francesi, ma anche emigrati cattolici, praticando nei confronti di tutti i sudditi un’ampia tolleranza religiosa.
La scelta popolazionista comportava una buona conoscenza dell’entità e della composizione degli abitanti del paese, che andasse oltre le inchieste a fini fiscali. I primi materiali di base per un censimento completo cominciarono a essere raccolti in Svezia dal 1749, ma questo restò ancora per qualche decennio un caso eccezionale, perché il solo parlare di operazioni del genere era considerato un preannuncio di nuove tasse e creava agitazione in tutti i ceti sociali. Il primo dei censimenti decennali realizzati dagli Stati Uniti d’America a partire dal 1790 non incontrò molti ostacoli, presumibilmente perché una repubblica ingenerava meno sospetti di una monarchia assoluta. In Inghilterra la proposta avanzata nel 1753 fu respinta dalla camera dei Lord come minaccia alla libertà ed ebbe attuazione solo nel 1801, lo stesso anno del primo censimento francese.
Vediamo cosa si leggeva in materia di popolazione e censimenti in un libro pubblicato nel 1778, Recherches et considérations sur la population de la France, il cui autore figura sul frontespizio con il solo cognome, Moheau. L’uomo, diceva Moheau, è il più grande tesoro di un sovrano:
L’espressione delle forze di un impero sarebbe resa con più esattezza attraverso l’enumerazione degli individui che lo compongono che quella dei marchi d’oro e d’argento che entrano nel tesoro pubblico […]. Chiunque abbia riflettuto sull’economia delle società politiche riconosce che la popolazione è la base della loro forza e conseguentemente che è importante conoscerne lo stato […]. Non può esservi macchina politica ben montata, né amministrazione illuminata in un paese dove lo stato della popolazione sia sconosciuto.
Come poteva intervenire lo stato, altrimenti, per fronteggiare le carestie, ripartire con equità le imposte, rendersi conto delle proprie forze militari? Eppure erano in molti a opporsi ai censimenti, affermando che «il numero degli uomini che coprono la superficie della Terra è un segreto della natura, difficile da penetrare, inutile a sapere».
Le semplici numerazioni dei fuochi, proseguiva Moheau, sono strumento insufficiente, basato su dichiarazioni rilasciate dai censiti stessi. Si dovrebbe procedere casa per casa e individuo per individuo, ma questa operazione compiuta su tutto il regno sarebbe costosa e difficile, perché richiederebbe un gran numero di rilevatori e la certezza che questi si attengano ai medesimi criteri. Come alternativa più praticabile, Moheau proponeva un metodo molto diverso da quello di Vauban. Si trattava di eseguire calcoli «a partire da fatti che hanno con la popolazione una relazione costante e necessaria». In primo luogo occorreva individuare la proporzione fra il numero di nascite, matrimoni e morti da una parte e della popolazione totale dall’altra. Tale proporzione si può definire con ciò che oggi chiameremmo un’operazione di campionatura. Per mezzo di recensori esperti viene rilevata la popolazione totale di un numero di parrocchie abbastanza ampio da eliminare i fattori casuali. Nei registri parrocchiali si trovano i dati su nascite, matrimoni e decessi; l’eventuale eccezionalità di quelli relativi a un singolo anno (Moheau sa che soprattutto i dati sulla mortalità hanno un andamento irregolare) è compensata con medie su più anni. Si ottengono in tal modo i moltiplicatori ricercati: nel caso delle nascite, 31 per le parrocchie urbane e un po’ meno di 25 per le rurali, il che corrisponde a tassi di natalità rispettivamente del 32 e del 40 per mille. Applicando questi moltiplicatori a una stima del numero annuo medio delle nascite nelle città e nelle campagne di tutta la Francia, si ricava infine la popolazione totale: 23,5-24 milioni di abitanti verso il 1770 (l’attuale stima degli storici è 27 milioni).

Il mondo si sta spopolando?

Anche in un periodo di apprezzamento della crescita della popolazione, non mancarono autori che si chiedevano fin dove questa poteva spingersi e che provavano a raffigurarsi un mondo sovrappopolato. La formulazione più efficace fu trovata da Richard Cantillon, nato da una famiglia cattolica irlandese e attivo poi in Francia e Inghilterra come banchiere esperto in ardite speculazioni finanziarie. Il suo Essai sur la nature du commerce en général, scritto verso il 1730 e pubblicato postumo nel 1755, conteneva un capitolo su «Aumento e diminuzione degli abitanti di uno stato» in cui si poteva leggere: «Gli uomini si moltiplicano come topi in un granaio, se hanno mezzi illimitati di sussistenza». Cantillon trovava però «puramente immaginari e tracciati a caso» i calcoli con cui William Petty cercava di seguire «la propagazione degli uomini in base alla progressione delle generazioni dal primo padre Adamo». Non è vero che la popolazione cresce sempre e ovunque, fino a raggiungere i suoi limiti naturali ultimi. La popolazione inglese gli sembrava addirittura diminuita rispetto al passato, mentre gli inglesi delle colonie americane, che avevano a disposizione illimitate superfici di terra («da cui scacciano i selvaggi»), avrebbero finito per moltiplicarsi in tre generazioni più di quanto sarebbe accaduto in Inghilterra in trenta.
L’immagine dei topi in un granaio andava perciò precisata in questo modo:
In uno stato il numero degli abitanti dipende dai mezzi di sostentamento; e poiché questi mezzi dipendono dall’applicazione e dagli usi in cui si impiegano le terre e questi usi dipendono dalla vo...

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