Un mondo logistico
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Un mondo logistico

Sguardi critici su lavoro, migrazioni, politica e globalizzazione

Niccolò Cuppini, Irene Peano

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Un mondo logistico

Sguardi critici su lavoro, migrazioni, politica e globalizzazione

Niccolò Cuppini, Irene Peano

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Negli ultimi anni il settore logistico è stato attraversato da un lato da una significativa serie di scioperi, mobilitazioni e vertenze che hanno portato in luce i soggetti e i luoghi attraverso i quali quotidianamente vengono fatte circolare le merci; dall'altro, è emerso un importante corpus di studi che attraverso numerose discipline ha adottato la logistica come lente analitica cruciale per comprendere i processi di globalizzazione e le trasformazioni dei territori, i rapporti geopolitici e geoeconomici, le trasformazioni dei modi di produzione e le nuove frontiere del lavoro e del consumo.Il presente volume adotta la prospettiva logistica evidenziando il suo carattere prismatico, cercando di spingere l'analisi verso direzioni ancora parzialmente inesplorate.

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Information

Publisher
Ledizioni
Year
2019
ISBN
9788855260169
Della non-scalabilità1
Anna Lowenhaupt Tsing*
C’è qualcosa di spaventosamente bello nella precisione, anche quando siamo consapevoli che essa ci tradisce. Un secolo fa si rimaneva stupefatti per la terribile precisione della fabbrica, oggi per la precisione del computer: essa ha mesmerizzato non solo gli ingegneri ma ogni genere di designer, studioso e osservatore. Un ambito in cui la precisione ha ottenuto un’egemonia malevola è l’utilizzo delle scale. Ad esempio, nei supporti digitali con il loro potere di rendere il grande minuscolo e il minuscolo grande con un semplice zoom ‘scalare’ è divenuto un verbo che richiede precisione; scalare bene significa sviluppare la qualità denominata scalabilità, cioè l’abilità di espandere – e poi espandere ed espandere ancora – senza dover modificare gli elementi di partenza. La scalabilità è, in effetti, il trionfo della progettazione di precisione, non solo nei computer ma anche negli affari, nello sviluppo, nella ‘conquista’ della natura e, più in generale, nella costruzione di mondi. È una forma di progettazione con una lunga storia di distinzioni tra vincitori e vinti - distinzioni che però essa dissimula neutralizzando la nostra capacità di percepire l’eterogeneità del mondo. Per come è pensata, la scalabilità non ci permette di vedere altro che blocchi uniformi pronti ad una ulteriore espansione. Il presente saggio richiama l’attenzione sulla enorme diversità della vita sulla terra, avanzando la tesi secondo cui è tempo di una teoria della non-scalabilità.2
Sebbene le tecnologie della scalabilità avanzino, di questi tempi il fascino della scalabilità creatrice si va disfacendo. La scalabilità si espande, e tuttavia viene costantemente abbandonata, lasciandosi dietro rovine. Abbiamo bisogno di una teoria della non-scalabilità che presti attenzione al cumulo crescente di rovine che la scalabilità lascia dietro di sé - una teoria che rende possibile notare come la scalabilità si serva di articolazioni con forme non-scalabili, sebbene le neghi o le cancelli. L’imprenditoria ha già avuto modo di trarre grande profitto da questa caratteristica dell’economia politica contemporanea. Così come lo hanno fatto le piante e gli animali che chiamiamo erbacce e parassiti, e pure la gran varietà di forme di vita che prolifera nel disturbo dell’umano. E tuttavia gli studiosi si aggrappano ai piaceri estetici della precisione scalabile anche quando questa non proietta altro se non le nostre fantasie. È tempo di esplorare, aldilà dei nostri modelli, la continua vitalità della vita, terribile quanto meravigliosa.
Scalabilità ed espansione
Concettualizzazione e creazione del mondo sono avviluppate l’una all’altra – almeno per chi ha il privilegio di trasformare i propri sogni in azione. La relazione è biunivoca: nuovi progetti ispirano nuovi modi di pensare, i quali a loro volta ispirano nuovi progetti. Qui mi interessa uno specifico legame, storicamente significativo, tra concettualizzazione e costruzione del mondo: l’espansione quale forma naturalizzata dell’abitare umano sulla terra. Per quale motivo si è chiamata l’espansione ‘crescita’ come se si trattasse di un processo biologico? Sono giunta a questa domanda non solo per ragioni storiche ma anche al fine di considerare le sfide contemporanee rispetto a come vivere bene con gli altri – con altre specie e con altre culture. Le élite europee e nordamericane faticano a convivere con gli altri, e non solo per pregiudizio. Nel XX secolo, ci siamo abituati alle ecologie politiche della produzione – produzione di cose, produzione di cittadinanza e produzione di conoscenza – in cui quegli ‘altri’ privati di legittimità non trovavano spazio, perché ostacolavano l’espansione immaginata come necessaria per il benessere: l’espansione era progresso; la diversità biologica e quella culturale erano nemiche del progresso. Appare quindi importante chiedersi: Che cos’era quella crescita? Quale eredità ci ha lasciato oggi?
L’espansione riflette più di una semplice volontà di potere, benché faccia anche questo. L’espansione nel senso in cui la sto trattando è un problema tecnico, che richiede una considerevole ingegnosità nella progettazione. Normalmente, ciò che si espande cambia nel momento in cui acquisisce nuovi materiali e relazioni. Poniamo che io espanda la mia rete accademica per includere colleghi di un altro paese o di un’altra disciplina: la mia prospettiva di studio cambierà nel momento in cui apprendo qualcosa di nuovo. Non è questo il tipo di espansione che mi interessa qui. L’espansione che equivaleva a progresso non ammetteva cambiamenti nella natura del progetto espansivo. Il punto era estendere il progetto senza trasformarlo per nulla, altrimenti non avrebbe contribuito a quella prodezza universale che si immaginava fosse il progresso. Si è trattato di un’impresa tecnica relativa alla scala – vale a dire, alla relazione tra il piccolo e il grande. In qualche modo gli elementi del progetto dovevano essere stabilizzati affinché l’espansione aggiungesse nuovi elementi senza modificare il programma. Chiamo questa operazione il precision nesting (lett. ‘nidificazione di precisione’, ndt) delle scale. L’espressione ha senso se applicata a questioni relative alla progettazione: il piccolo è incassato in maniera precisa dentro il grande solo quando entrambi vengono modellati per un’espansione uniforme. Il precision nesting deve evitare che la trasformazione provochi effetti distorsivi sul progetto. Come mantenere standardizzati gli input di un progetto? Come mantenerli autonomi, incapaci di formare relazioni? Le relazioni sono potenziali vettori di trasformazione. Soltanto in assenza dell’indeterminatezza che deriva dalla trasformazione è possibile ‘annidare’ le scale – vale a dire, muoversi dal piccolo al grande senza rivedere il progetto.
La capacità dei progetti di piccola scala di divenire grandi senza modificare la propria natura viene definita ‘scalabilità’. Scalabilità è un termine che confonde perché sembra significare qualcosa di più ampio, la capacità di utilizzare una scala; ma questo non è il significato tecnico del termine: i progetti scalabili sono quelli che possono espandersi senza cambiare. Mi interessa l’esclusione della diversità biologica e culturale dai progetti scalabili. La scalabilità è possibile soltanto se gli elementi del progetto non instaurano relazioni trasformative che potrebbero cambiarlo nel momento in cui vi si aggiungono elementi. Ma le relazioni trasformative sono il mezzo attraverso cui emerge la diversità. I progetti di scalabilità escludono qualsiasi differenza sostanziale, vale a dire la diversità che potrebbe modificare le cose.
La scalabilità non è una caratteristica comune in natura. Rendere i progetti scalabili richiede molto lavoro. Tuttavia, la scalabilità è data talmente per scontata da far spesso immaginare agli studiosi che, in assenza di piani di ricerca scalabili, rimarremmo invischiati in minuscoli micromondi, incapaci di ampliare il raggio. Ampliare il raggio significa precisamente affidarsi alla scalabilità – cambiare scala senza cambiare le coordinate della conoscenza o dell’azione. Le alternative per modificare la storia globale localmente e per raccontare grandi storie insieme a quelle piccole esistono. La ‘teoria della non-scalabilità’ è una di queste alternative di concettualizzazione del mondo. Ma prima di occuparmene voglio tornare su quel comune ambito di esperienza della scalabilità che è la tecnologia digitale.
Le tecnologie digitali degli ultimi cinquant’anni ci hanno mostrato i piaceri dello zoom pixelato: ci spostiamo da minuscoli dettagli ad ampie visuali con qualche click. Ingrandendo un testo sui nostri computer, l’alfabeto ci appare identico; le nostre fotografie digitali si prestano tanto alla ricerca del dettaglio come alle panoramiche; sul sito ‘Paris 26 Gigapixels’ possiamo vedere l’intera Parigi o un’unica stanza dietro una finestra.3 Questa facoltà di carattere quasi magico è la scalabilità. Nei file digitali, la scalabilità è l’abilità di muoversi da una scala ad un’altra senza modificare le forme delle immagini. Il che è reso possibile dalla stabilità del pixel, l’elemento base dell’immagine. L’immagine digitale viene rimpicciolita o ingrandita cambiando la dimensione dei pixel. Ovviamente, i pixel devono pertanto rimanere uniformi, separati ed autonomi; non possono fondersi l’uno nell’altro o trasformarsi a vicenda. Gli artisti si lamentano della pixelatura, che frammenta la nostra visione del mondo. Alla maggior parte di noi questo non importa. Ma ciò che ha reso questa tecnologia così facile da immaginare, a mio avviso, è la natura pixelata del mondo orientato all’espansione, che invece è qualcosa di cui dovrebbe importarci. Al fine di catturare la nitidezza del pixel, creerò un termine parallelo. Pixel è l’abbreviazione di picture (immagine, fotografia), o ‘pix’, ed elemento, ‘el’. Gli elementi del paesaggio sociale estraniati dalle relazioni che li formano potrebbero essere chiamati ‘nonsocial landscape elements’ (elementi non-sociali del paesaggio) o, per usare la formula del pixel, ‘nonso’ più ‘el’, o nonsoel. Come siamo arrivati ad abitare un mondo espansionista fatto di nonsoel?
Il termine ‘scalabilità’ proviene non dalla tecnologia ma dal gergo degli affari. Negli affari, la scalabilità è l’abilità di un’azienda di espandersi senza cambiare la natura di ciò che fa. Le ‘economie di scala’ – pratiche organizzative che rendono le merci meno costose perché ne vengono prodotte di più - costituiscono un tipo di scalabilità degli affari. A differenza della tecnologia digitale, il punto non è zoomare; soltanto l’espansione conta. La scalabilità degli affari significa espansione ai fini della crescita e del profitto: questo era un dogma del progresso nel XX secolo. Sotto l’egemonia americana, più era grande e meglio era (bigger was always better). Come gli affari, anche i progetti di sviluppo dovevano espandersi. La Banca Mondiale li finanziava soltanto se erano già scalabili, cioè se si potevano estendere da un villaggio all’altro senza cambiarne gli elementi. Il modo per distinguere un’istituzione moderna e sviluppata da una arretrata era proprio il fatto che fosse grande. La grandezza era progresso.
Clifford Geertz (1968) ha studiato i mercati di Java al culmine di questo programma, a metà del XX secolo. Egli era preoccupato di ciò che vedeva: invece di aziende scalabili, i commercianti giavanesi fondavano le loro attività sulle relazioni con gli acquirenti e con altri commercianti. Ogni volta che ampliavano le loro reti, il loro business cambiava. Senza aziende scalabili verso l’espansione, argomentava Geertz, non poteva esserci alcuno sviluppo: i mercati giavanesi erano irrimediabilmente intrappolati al di fuori della portata del progresso. Dalla prospettiva attuale, la valutazione di Geertz ci dice del progetto del progresso tanto quanto ci parla dei giavanesi.
Oggi è facile guardarsi indietro con un occhio critico su questo programma del XX secolo, perché esso è stato messo in discussione dai cambiamenti dell’economia politica globale. Nel XXI secolo, l’egemonia delle economie di scala si è sbriciolata davanti all’avanzata delle supply chain (filiere) globali, in cui le attività economiche sono distribuite tra molte aziende in molti luoghi. Numerose e potenti azie...

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