L'abominevole diritto
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L'abominevole diritto

Matteo M. Winkler, Gabriele Strazio

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L'abominevole diritto

Matteo M. Winkler, Gabriele Strazio

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Proibizioni, discriminazioni, persecuzioni. Spronato dall'interdetto biblico, in ogni tempo il diritto è stato strumento di soprusi ed esclusioni contro gay e lesbiche. Proprio per aver vestito quest'abito, ancora non del tutto abbandonato, si può qualificarlo come «abominevole». È inevitabile per il diritto, quando incontra la vita, diventare abominevole? No, non lo è. Anni di battaglie e di rivendicazioni hanno aperto la strada alla «rivoluzione della dignità», e in alcuni paesi l'attesa di uguaglianza delle persone omosessuali di fronte alla legge è diventata effettiva. Il diritto ha saputo gradualmente riscattarsi dall'abominio, riaccordarsi con la sua carica simbolica, riconquistare la sua funzione di legittimazione di princìpi e comportamenti civili. Non in Italia. Nel nostro paese, il Parlamento resiste impavido nel silenzio e nell'inerzia. Scomparsa ogni iniziativa sulle unioni di fatto, bloccate le norme contro l'omofobia, in Italia si sfrena l'aggressione – fisica e verbale – verso l'altro. Matteo M. Winkler e Gabriele Strazio, attraverso dilanianti casi giudiziari, fanno rivivere il tormentato cammino della giurisprudenza, indirizzato al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali per le comunità Lgbt. Dall'abolizione delle leggi antisodomia alla conquista delle leggi antiomofobia, dal riconoscimento delle unioni civili ai matrimoni gay, dalla procreazione assistita alle norme sulle adozioni da parte di coppie omosessuali, L'abominevole diritto delinea, in una panoramica internazionale, il processo di adattamento delle leggi alle identità e agli orientamenti sessuali. Non distogliendo l'attenzione dalla realtà italiana, in cui questo processo, quasi godendo di un primato negativo, è maggiormente ostacolato e represso.

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Information

Publisher
Il Saggiatore
Year
2011
ISBN
9788865761076
1. Homo phobicus
Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel paese.
HARVEY MILK
Matthew Shepard
È da poco passata la mezzanotte del 7 ottobre 1998 al Fireside Lounge, un locale di Laramie, una cittadina dello Stato del Wyoming. Nella sala da biliardo, tre ragazzi stanno conversando. Uno porta un lungo ciuffo biondo sulla fronte, il suo nome è Matthew Wayne Shepard, ha ventun anni, «viso pulito e pieno di promesse»,1 eccellente studente della facoltà di Scienze politiche con aspirazioni da diplomatico. Gli altri due, Aaron J. McKinney e Russell A. Henderson, sono noti in città per essere ragazzi piuttosto irrequieti, che non disdegnano il consumo di droga. I due hanno poco in comune con Matthew, se non una circostanza del tutto casuale: Matthew, che quella sera ha bevuto troppo, non se la sente di guidare fino a casa e chiede a McKinney e Henderson un passaggio.
Il giorno seguente, verso sera, il corpo martoriato di Matthew viene rinvenuto a poche miglia fuori città da un ciclista che inizialmente l’aveva scambiato per uno spaventapasseri.2 Tra i primi ad accorrere sul luogo la vicesceriffo Reggie Fluty, che riporterà: «Matt giaceva supino, con la testa appoggiata sullo steccato e le gambe allungate. Le sue mani erano fermamente legate dietro di lui e appena allacciate a quattro pollici da terra a un palo […] le soli parti del viso non coperte dal sangue erano solcate dalle lacrime».3
Una telefonata raggiunge i genitori di Matthew in Arabia Saudita, svegliandoli nel pieno della notte. Li informa che il figlio ha subìto un’aggressione ed è stato ricoverato in fin di vita all’ospedale di Poudre Valley, nel vicino Colorado. Ha riportato una frattura cranica all’altezza dell’orecchio destro, con danni permanenti al cervello e conseguenze irrimediabili sulla capacità di regolare il battito cardiaco e la temperatura corporea.4
Una volta in macchina, anziché dirigersi verso la casa di Matthew, McKinney e Henderson deviano oltre le colline che costeggiano l’autostrada a est della città, in un luogo denominato Sherman Hills. Giunti di fronte a uno steccato, fermano l’auto, afferrano Matthew e lo trascinano fino allo steccato, legandogli i polsi con una corda. Iniziano a picchiarlo, McKinney estrae una Magnum 357 e lo colpisce ripetutamente alla testa, mentre Henderson assiste alla scena illuminata solo dai fari dell’auto.
«Venuto al mondo prematuramente, se n’è andato altrettanto prematuramente.»5 Con queste parole, una settimana più tardi, Rulon Stacey, presidente dell’ospedale, annuncerà alla stampa la morte del ragazzo, avvenuta a mezzogiorno del 12 ottobre 1998. Tornato nel suo ufficio dopo la conferenza stampa, Stacey troverà una mail sul suo computer: «Piangi di fronte alle telecamere come un bambino per tutti i tuoi pazienti o solo per i froci?».6
La polizia non impiega troppo tempo per scoprire i colpevoli. Tornati in città subito dopo l’aggressione, McKinney e Henderson vengono coinvolti in una rissa e la polizia accorsa sul luogo trova nel furgone di McKinney le scarpe e la carta di credito di Matthew. A casa di Henderson viene invece recuperato il portafogli. Incriminato per aggressione, rapina e omicidio, Henderson confessa e testimonia contro McKinney, salvandosi così dalla sedia elettrica. Quest’ultimo, invece, si giustificherà affermando di essere stato investito da «panico gay» nel momento in cui si trovava in macchina.
Nel corso del processo, McKinney riferirà che la sua reazione violenta era dovuta a un gesto di Matthew, che durante il viaggio in auto avrebbe messo una mano sulla gamba dell’imputato e gli avrebbe leccato l’orecchio. Solo a quel punto, la furia omicidia di McKinney si sarebbe scatenata.7 Chiamato a pronunciarsi in merito alla difesa avanzata da McKinney, il giudice Barton R. Voigt della Seconda corte distrettuale di Laramie la dichiarerà inammissibile.8 «Mio figlio è morto a causa della sua ignoranza e intolleranza» tuonerà Denis Shepard, nel corso dell’ultima udienza del processo, rivolto a McKinney.9
Al termine dell’udienza, la giuria decreterà McKinney colpevole di omicidio, e solo grazie allo sforzo dei genitori di Matthew il giudice acconsentirà a convertire la condanna a morte in ergastolo.10
Nel corso dei funerali di Matthew e durante tutto il processo, un picchetto di seguaci della Chiesa battista di Westboro di Topeka (Kansas), mostrerà cartelli con slogan contro il processo: «Matt Shepard marcisce all’inferno», «L’Aids uccide i froci» e «Dio odia i gay».11 Il capo della setta, il reverendo Fred Phelps, domanderà al comune di Casper, città natale di Matthew, il permesso di erigere un monumento marmoreo di due metri con il volto di Matthew Shepard e una targa: «Matthew Shepard, entrato all’inferno il 12 ottobre 1998 sfidando il precetto divino: “Non avrai con un maschio relazioni come si hanno con una donna: è abominio”. Levitico 18, 22».12
Definizioni: omosessualità, transessualismo, travestitismo e transgenderismo
Ciascuno di noi nasce con un «sesso biologico», siamo cioè maschi e femmine. Diverso dal sesso biologico è l’orientamento sessuale. Matthew, per esempio, era omosessuale. Era quindi attratto da persone dello «stesso» (dal greco homòs) sesso.13 L’omosessualità è una species del genus «orientamento sessuale», che nel suo alveo ricomprende l’eterosessualità e la bisessualità.14
L’omosessualità non deve essere confusa con il «transessualismo», che non ha nulla a che fare con l’orientamento sessuale, bensì riguarda la cosiddetta «identità di genere», cioè l’identificarsi dell’individuo come uomo o come donna. Nel transessualismo sussiste «un conflitto tra identità di genere e sesso fisico»15 chiamato, in linguaggio clinico, «disforia di genere». In buona sostanza la persona transessuale si identifica completamente con il sesso opposto, si sente donna anche se fisicamente è uomo, e viceversa. L’omosessuale, al contrario, non percepisce alcun conflitto rispetto alla propria identità di genere.
Fenomeno ancora diverso è il «travestitismo» (corrispondente al termine inglese crossdressing), che è soltanto una forma di «feticismo sessuale».16 Mentre nel transessualismo si rileva l’esigenza, percepita come indispensabile dall’individuo, di assumere il sesso opposto, il travestito si sente appagato già soltanto con l’«apparire» come una persona di sesso opposto.
È diffuso nel linguaggio corrente anche il termine transgender o transgenderism. Queste espressioni, che possiedono un valore più che altro sociopolitico, si riferiscono a un insieme di categorie differenti, quali per esempio il travestitismo, e in generale individuano coloro che vivono in una condizione di non-conformità rispetto al loro sesso biologico.
Ciascuna di queste categorie meriterebbe riflessioni a sé. Tanto per citarne qualcuna, il transessualismo genera diversi problemi sul piano giuridico, come in tema di riassegnazione del sesso, che in molti paesi è stato risolto con apposita legge.17 Non solo. È valido il matrimonio tra un uomo e una transessuale che ha quale sesso biologico quello maschile?18 È ammissibile la partecipazione di una transessuale (con massa muscolare tipicamente maschile) a una competizione sportiva femminile?19 Si tratta di questioni che, pur suscitando interesse, non possono trovare approfondimento in questa sede.
Luoghi comuni: gay lifestyle e la confusione tra orientamento sessuale e identità di genere
Esistono inoltre termini che evocano nell’opinione comune una qualche connessione rispetto all’omosessualità, ma che invece con essa non c’entrano nulla.
Nell’immaginario collettivo, il cosiddetto «stile di vita gay» (gay lifestyle) corrisponde, per esempio, a una vita fatta di pantaloni in cuoio, borse di Dior, musica trash e rapporti promiscui.
In verità, vi sono molti gay e lesbiche che se ne stanno nascosti, mentre fra quelli che si sono dichiarati (che hanno fatto, cioè, coming out)20 non tutti, comunque, hanno un’attività sessuale particolarmente intensa. Ma questa realtà, si sa, deve scontrarsi con i luoghi comuni che vorrebbero identificare i gay come persone sessualmente depravate, insomma dei pervertiti. Invece, «indagini condotte nel decennio passato […] hanno […] mostrato che le differenze nella frequenza dei rapporti sessuali tra omosessuali ed eterosessuali sono minime».21 Come dire: i gay non fanno più sesso degli eterosessuali.
Vi è poi il paradigma del ruolo sessuale: «È […] opinione diffusa che le coppie formate da persone dello stesso sesso prendano a modello quelle formate da persone di sesso opposto e che, di conseguenza, un/a partner assuma un ruolo “maschile” e l’altro, o l’altra, ne assuma uno “femminile”».22 In verità, questa logica si espone a due obiezioni. Anzitutto essa è contraddetta dalla prassi, che mostra invece la tendenza, esattamente contraria, di maggiore reciprocità dei ruoli.23
La seconda obiezione è più complessa. Come si è detto, leggende metropolitane vorrebbero che nei rapporti omosessuali maschili vi sia sempre un soggetto «passivo» e uno «attivo». Questa logica, però, risponde a una motivazione di natura prettamente eterosessista, dunque ideologica, che vorrebbe l’atto sessuale uomo-uomo esattamente speculare rispetto all’atto sessuale uomo-donna, identificando quindi uno dei due uomini come donna. Casualmente, tale ruolo spetta al soggetto ricettivo del rapporto. Ecco allora che nella mente popolare l’omosessuale (passivo) assurgerebbe a null’altro che a un’espressione del genere femminile, finendo per diventare un puro strumento di piacere.24
Ovviamente, in spregio a queste tesi ridicole, il gay resta biologicamente uomo e la lesbica biologicamente donna: ecco che la confusione popolare, molto più diffusa di quanto si pensi, tra omosessuale e transessuale, ovvero tra identità di genere e orientamento sessuale, si traspone nel linguaggio corrente e dà luogo a inimmaginabili paradossi.25
Un’ultima convinzione, ancora oggi davvero diffusa, è che l’omosessualità sia una malattia, talvolta contagiosa. Tale credenza, che in verità non ha alcun fondamento scientifico, ha avuto un discreto successo in campo giudiziario. Anzi, è proprio rispetto a questa assurda teoria che «il diritto e la medicina si sono unite in una stretta alleanza».26
Per esempio, ancora nell’edizione del 1952 il famoso Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychological Association (Apa), la fonte più autorevole degli Stati Uniti in questo campo, annoverava l’omosessualità tra le «psicopatologie». Al riguardo, è sufficiente leggere alcune sentenze di quegli anni per rendersi conto di quanto i tribunali fossero vicini alle conclusioni raggiunte dalla comunità scientifica. Quando dovevano affrontare casi di sodomia, infatti, i giudici mutavano il loro linguaggio per qualificare le persone omosessuali e i loro rapporti nel modo più spregevole: aggettivi come «sordido»,27 «orribile e rivoltante»,28 «sporco»29 appaiono di frequente nelle decisioni delle corti degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, a testimoniare che l’atteggia...

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