Sviluppo locale, Europa, nazionalismi. Territorio e globalizzazione in una prospettiva critica
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Sviluppo locale, Europa, nazionalismi. Territorio e globalizzazione in una prospettiva critica

Andrea Giansanti

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Sviluppo locale, Europa, nazionalismi. Territorio e globalizzazione in una prospettiva critica

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Il concetto di sviluppo territoriale si è evoluto in maniera profonda. Non è più misurato unicamente sulla sua dimensione economica, ma anche su quella politica e sociale. L'attuale visione dello sviluppo ha superato la mera crescita per estendersi all'ambiente, all'innovazione, al capitale sociale e relazionale.
Il territorio costituisce la cartina tornasole dello sviluppo. Il territorio è, infatti, il raccordo dell'iniziativa dei vari attori che implementano le strategie di sviluppo e delle interazioni alle – e tra le – diverse scale. La crescita di importanza delle città assume quindi un valore strategico.
L'emergere di spinte nazionaliste e sovraniste impone la rilettura delle politiche pubbliche in ambito europeo e delle narrazioni che ripropongono la centralità degli Stati nei confronti della crescente agibilità concessa dall'Unione europea alle regioni.
Uno scenario che, in sintonia con il controverso fenomeno della globalizzazione e con la rilevanza acquisita dalle città, offre spazi di manovra alle forze che sostengono il ritorno al primato della sovranità nazionale.

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Capitolo 1
I concetti chiave della programmazione e pianificazione territoriale

1.1. Il concetto di città e la dimensione urbana

L’evoluzione delle città – e del concetto stesso di città – nel corso del tempo, ne rende complessa la definizione. Numerosi agglomerati urbani superano i confini amministrativi dei singoli Comuni senza soluzione di continuità, alcune città inglobano aree con caratteristiche diverse – dalle zone industriali ai parchi, dai centri commerciali alle discariche – e i canali di comunicazione materiali e immateriali uniscono luoghi tra loro distanti, portando a uno sviluppo diffuso della dimensione cittadina e a un’urbanizzazione della vita sociale. Il processo di identificazione del luogo, però, ne mantiene la struttura spaziale, seppur in divenire, caratterizzata da concentrazione di persone e ambiente costruito, dalla prossimità di una umanità eterogenea, e dalla presenza di reti e flussi che le attraversano e le connettono internamente ed esternamente[1].
Il fenomeno dell’urbanizzazione a livello mondiale si pone come conseguenza della crescita demografica. Nel 1800 solamente il 2 per cento della popolazione viveva in città, nel 1950 la percentuale era salita al 30%, ma solo uno su cento abitava in un’agglomerazione urbana da oltre un milione di abitanti, quota cresciuta di dieci volte già nel 2000, quando quasi la metà della popolazione mondiale risiedeva in un contesto urbano. Questa conformazione riguarda in maniera rilevante e piuttosto omogenea Europa, America – sia del Nord che del Sud – e Oceania, con tre quarti di popolazione cittadina, mentre in Africa e Asia la quota è poco al di sotto del 40%, confermando comunque l’entità del fenomeno a scala mondiale. Le città con oltre 250 mila abitanti ospitano il 20 per cento degli europei, tanti quanti coloro che vivono in città di medie dimensioni – tra i 50 mila e i 250 mila residenti – mentre il 40% si trova in piccole cittadine tra le 10 mila e le 50 mila persone: aspetto, quest’ultimo, che caratterizza in particolare la Gran Bretagna, la Germania e l’Italia[2].
Le pressioni della globalizzazione incidono sulle strategie adottate dalle singole città, quale risultato di fattori istituzionali, sociali, politici ed economici specifici di ciascun contesto urbano[3].
La globalizzazione, accompagnata dal rapido sviluppo in continuo divenire delle tecnologie di comunicazione, ha portato le città a essere potenziali nodi di reti a estensione mondiale, anche perché questa è divenuta la scala su cui si articolano le relazioni che precedentemente si svolgevano su scala regionale o nazionale: questo mutamento di proporzioni ha favorito le metropoli, in un’ottica policentrista. Secondo queste premesse, le grandi città rappresentano gli unici poli di attrazione stabili nell’ambito di un territorio articolato sulla base dei flussi globali, pertanto le città devono riaffermare il proprio ruolo di governance territoriale sulla base di rapporti orizzontali con altre città: si affianca quindi, al classico modello della città che predomina sul territorio circostante, uno schema di città in rete tramite collegamenti a lungo raggio col resto del mondo[4].
Nella sua ascesa quale paradigma economico – e, per molti versi, sociale – dominante, il neoliberismo ha combinato il processo di globalizzazione con la globalità della produzione industriale, degli scambi commerciali, dei sistemi finanziari e dei flussi informativi, producendo un’élite di attori che operano su scale diverse, da quella internazionale a quelle nazionali, regionali e locali, per rafforzare i principi di base dell’ideologia neoliberista, dalla privatizzazione dei servizi pubblici alla deregolamentazione, che incidono su ogni scala della governance territoriale[5].
In ambito urbano l’approccio neoliberista identifica, per mezzo di strumenti di analisi di natura quantitativa, aree diverse in competizione tra loro. Più di recente, la distinzione tra un’analisi funzionale del contesto urbano e il concetto di milieu, ossia l’insieme delle condizioni ambientali che sostengono processi di interazione all’interno delle città, ha fornito una nuova chiave di lettura che porta a superare gli strumenti statistico-descrittivi adottati in precedenza a favore di modelli non lineari capaci di illustrare le complesse dinamiche dei processi spaziali.
Il territorio viene identificato quindi tramite una morfologia reticolare che restituisce modalità nuove di interrelazione degli spazi, a seguito della combinazione tra la pianificazione funzionale e la diffusione di reti interurbane materiali e immateriali, su scale differenti: da un lato le connessioni tra le metropoli, dall’altro le relazioni che, all’interno del contesto territoriale, definiscono l’articolazione del milieu locale e delineano l’identità urbana.
La nuova visione del territorio è costituita quindi da una serie di reti di relazioni tanto a scala globale, sulla base dei flussi che connettono le città tra loro, quanto a scala locale, in funzione dei rapporti tra attori locali in uno spazio complesso. Le città, quindi, sono i nodi di queste reti, le quali identificano la struttura urbana in sistemi territoriali che interagiscono tra di loro[6]. Sotto il profilo economico, le città rispondono all’esigenza delle imprese di beneficiare di servizi di ricerca e sviluppo, di processi di apprendimento e di un mercato del lavoro maggiormente qualificato.
Il contesto urbano favorisce l’adozione di modelli organizzazione della produzione basati su network in cui utilizzare un linguaggio comune: in questo modo si ridisegna lo spazio economico in maniera reticolare, prevalentemente a scala regionale o sovraregionale, polarizzato sui nodi rappresentati dalle città stesse.
La concezione di spazio che emerge da questa lettura è particolarmente ambita dalle aziende del settore terziario, che preferiscono le localizzazioni di tipo urbano in virtù della maggior richiesta di servizi alle famiglie e alle imprese. Peraltro, nelle città si localizzano le famiglie a più alto reddito – a cui sono associati consumi più elevati – e le funzioni direzionali delle imprese, garantendo quindi un maggior valore aggiunto dei servizi complessivamente erogati. Inoltre i centri urbani offrono strutture e infrastrutture collettive quali la viabilità, i trasporti o le reti di distribuzione, oltre a garantire l’accesso alla formazione, opportunità sociali e culturali, un’ampia gamma di servizi pubblici e retribuzioni mediamente più elevate[7].
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