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Aldo Moro e l'Italia del Novecento

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Aldo Moro e l'Italia del Novecento

About this book

È ormai giunto il tempo di capire appieno chi Ăš stato Aldo Moro e, in questo modo, di comprendere meglio quel decisivo periodo della storia d'Italia di cui egli fu certamente un protagonista. È questa la duplice convinzione alla base della presente pubblicazione, una delle piĂč articolate ed ampie dedicate sin qui a Moro. Essa, infatti, raccoglie i saggi di oltre 40 studiosi e ricercatori di circa 30 istituzioni di ricerca, presentati in occasione del convegno «Studiare Aldo Moro per capire l'Italia», tenutosi a Roma nel maggio del 2013 e promosso dall'Accademia di Studi Storici Aldo Moro. Il volume rappresenta uno dei frutti di un nuovo clima, una sorta di «svolta storiografica», in cui sono finalmente maturate le condizioni materiali, scientifiche e culturali perchĂ© fosse possibile un'indagine storica su Moro. Tutto questo contribuisce anche a superare i luoghi comuni e i giudizi spesso affrettati, parziali o dettati da esigenze di polemica politico-culturale che si sono coagulati in questi anni sulla sua figura, nonchĂ© a bilanciare il peso soverchiante sin qui attribuito alle tragiche vicende legate alla sua morte rispetto all'insieme della sua vita, del suo pensiero e delle sue opere. I saggi contenuti nel libro permettono di restituire a Moro la sua propria voce e di collocarlo nel suo tempo e nel suo secolo, in quanto figura centrale per ogni interpretazione dell'Italia contemporanea, anche nel contesto europeo ed internazionale. Utilizzando ricerche di prima mano, spesso realizzate su fonti inedite, i contributi raccolti consentono anche di gettare nuova luce su molte delle questioni ancora aperte relative all'azione dello statista e soprattutto di fornire elementi per capire se e in che misura egli sia stato portatore - come diversi studiosi tendono oggi a pensare - di un complessivo "progetto" di governo e di orientamento della societĂ  italiana il quale, a causa della sua prematura scomparsa, si sarebbe drammaticamente interrotto.

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L’Europa

Diego D’Amelio

La normalizzazione adriatica. Il moroteismo, la questione di Trieste e i nuovi rapporti italo-jugoslavi*

LA SOVRANITÀ CONTESA: LE RADICI DEL PROBLEMA

La questione adriatica fu al centro dell’interesse nazionale dalla costituzione dello Stato unitario1. Sul versante interno, l’annessione della Venezia Giulia nel 1918 comportĂČ per Roma l’esigenza di amministrare territori attraversati da mezzo secolo di attriti nazionali fra italiani e slavi2. L’atmosfera di ostilitĂ  creĂČ terreno fertile al proliferare del fascismo di confine, che concepĂŹ la frontiera orientale come porta per la penetrazione nei Balcani e il controllo dell’Adriatico3. Sul piano internazionale, negli anni Venti e Trenta, le relazioni con Belgrado furono spesso tese, aggravate dagli appetiti imperiali del regime4, dal mito della vittoria mutilata e dall’oppressione della minoranza slovena e croata5. Dopo le aberrazioni compiute durante l’invasione della Jugoslavia6, il crollo delle istituzioni avrebbe visto la Venezia Giulia diventare oggetto di rivendicazione del disegno rivoluzionario di State building jugoslavo nel 19437, col verificarsi di violenze e vessazioni nei confronti dell’elemento italiano, in gran maggioranza contrario all’instaurazione della repubblica socialista8. A conflitto finito, il destino della regione avrebbe costituito il primo motivo di frizione all’interno della coalizione antinazista9, che scelse di suddividerla fra un governo militare anglo-americano e un analogo organismo jugoslavo. Le autoritĂ  italiane sarebbero state pertanto esautorate fino al 1954 dalla sovranitĂ  su Trieste, ormai separata dall’entroterra istriano e dall’area centro-europea finita oltrecortina10.
Il capoluogo giuliano venne inserito nella strategia del containment, caratterizzandosi per una precoce guerra fredda interna tra forze italiane anticomuniste e sostenitori della Jugoslavia, maggioritari fra sloveni e classe operaia. Lo schieramento filoitaliano si attestĂČ su un’impostazione ultrapatriottica che, per quanto indirizzata in primo luogo dal governo repubblicano e dalla Democrazia cristiana11, vide Roma alimentare tentazioni di alleanze bloccarde senza limitazioni a destra12, mentre il futuro della cittĂ  incideva sensibilmente nella mobilitazione dei sentimenti patriottici in tutta la penisola e la battaglia ideologica e nazionale dilagava per le strade del capoluogo giuliano con atti di violenza da ambo le parti.
Il trattato di pace non contribuĂŹ alla conciliazione, prevedendo per l’Italia l’internazionalizzazione del Territorio libero di Trieste (TLT) e la perdita dell’Istria13. Il TLT non avrebbe tuttavia mai visto la luce, prima per i crescenti disaccordi fra anglo-americani e sovietici, poi per la rottura fra Tito e Stalin nel giugno 1948, che fece di Belgrado un prezioso interlocutore dell’Occidente14. Sebbene la Nota tripartita alleata avesse promesso pochi mesi prima la restituzione a Roma del TLT, la nuova esigenza strategica di tenere Tito a galla fece sĂŹ che Stati Uniti e Gran Bretagna cominciassero a spingere per la definitiva spartizione della regione fra Italia e Jugoslavia15. Il governo italiano non mutĂČ tuttavia percezione: pur avendo ristabilito fin dal 1947 relazioni commerciali col vicino balcanico, gli rimase sostanzialmente ostile e si sottrasse alle pressioni per un’intesa bilaterale. Fu nel 1954 che il contenzioso venne chiuso, dopo un’ultima grave crisi diplomatica16, attraverso il Memorandum di Londra, che sancĂŹ lo status quo ormai consolidato17.
Gli accordi non sgomberarono le diffidenze fra i due Stati: le distanze ideologiche, il problema del confine e quello delle minoranze sarebbero rimasti onerosi fardelli, anche dopo i primi segnali di affievolimento della Guerra fredda18: l’Italia avrebbe cosĂŹ sostenuto fino alla metĂ  degli anni Sessanta la propria sovranitĂ  su tutto il TLT e la provvisorietĂ  del Memorandum, nonostante tale interpretazione fosse stata esclusa dagli alleati. Il 1954 segnĂČ a ogni modo un punto di svolta19: l’ultima ondata di esodo dalla Zona B e il perdurante senso d’accerchiamento vissuto dai giuliani non impedirono che il cambio di scenario chiamasse Roma a smorzare i contrasti italo-jugoslavi. Il nuovo clima chiedeva inoltre di tracciare una nuova funzione per Trieste, inserita in un contesto geopolitico che ne aveva fatto luogo periferico e declassato, compresso dagli strascichi della lotta ideologica e nazionale.
I passi piĂč significativi di questo percorso d’aggiornamento furono mossi fra gli anni Sessanta e Settanta, quando Aldo Moro ricoprĂŹ a piĂč riprese gli incarichi di segretario della DC, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri20. L’influenza del cattolicesimo democratico fu un cardine della rielaborazione delle relazioni internazionali italiane da parte dello statista pugliese, che sentiva l’esigenza di fornire nuove risposte ai processi di distensione, emancipazione e pacificazione in atto21. Moro definĂŹ «pace nella sicurezza» i tentativi di migliorare la convivenza fra Stati europei, consolidare le prime forme di collaborazione fra blocchi e ridurre i divari fra le nazioni. GiĂ  ai tempi del centrismo, l’Italia aveva allacciato intese economiche con i Paesi socialisti e cercato, nei limiti del possibile, di muoversi in prospettiva europea e non solo bipolare22: in continuitĂ  con quell’impostazione, i governi di centro-sinistra assunsero una visione multipolare dei rapporti internazionali e atteggiamenti piĂč autonomi rispetto agli Stati Uniti. La mediazione fu individuata come strumento atto a superare il discrimine ideologico e la politica di potenza, dirimere le controversie, sostenere ipotesi di disarmo bilanciato, riaffermare l’unitĂ  culturale del continente e rafforzare la cooperazione con il polo socialista, il Medioriente e il Terzo mondo. Importanti furono le ricadute anche in politica interna, nell’ambito di una prospettiva condivisa che contribuĂŹ a rinsaldare l’alleanza fra DC e PSI, sostanziando in seguito la «strategia dell’attenzione» verso il PCI, varata da Moro nel 1969 e favorita dalla parallela evoluzione della politica estera dei comunisti italiani23.

IL CENTRO-SINISTRA E LA QUESTIONE ADRIATICA

La ridefinizione morotea del ruolo internazionale dell’Italia coinvolse anche la questione adriatica, nel tentativo di superare gli strascichi che la guerra aveva lasciato sulle relazioni con la Jugoslavia e sull’assetto del confine orientale24. L’indirizzo di Moro fu cardinale e trovĂČ applicazione nell’area di frontiera a opera dei morotei giuliani, emersi in risposta alla grave crisi di prospettiva del ceto politico triestino dopo il 1954 e impegnati quindi nel tentativo di rendere il nuovo indirizzo accettabile all’opinione pubblica locale, in genere avversa alla distensione con la Jugoslavia e anzi protesa nell’incessante richiesta di risarcimenti dopo le lacerazioni provocate dal conflitto25.
Le aperture verso i Paesi socialisti erano state avviate al principio degli anni Sessanta26, intensificandosi e ricevendo ulteriore impulso dal 1969, sulla scia della politica estera tedesca e del ritorno di Moro al dicastero degli Esteri. Inediti canali di dialogo furono aperti grazie alla distinzione delle differenze ideologiche e delle appartenenze internazionali dal piano economico, tecnico-scientifico e culturale27. La cosiddetta Ostpolitik italiana seguĂŹ la medesima falsariga nei confronti della Jugoslavia, dando il via al confronto con la «Westpolitik» di Belgrado28, culminato con la stipula del trattato di Osimo nel 197529. La «dottrina italiana per la pace» di Moro affermava una nuova idea della sicurezza europea e degli interessi nazionali, basata sulla cooperazione e sulla sicurezza dei confini30: l’intesa italo-jugoslava, stretta pochi mesi dopo la Conferenza di Helsinki, avrebbe sciolto definitivamente la contesa territoriale, rientrando appunto in quel progetto di pacificazione31.
I primi avvicinamenti fra i due Stati si erano realizzati con gli accordi di Udine per la facilitazione dei traffici transfrontalieri di merci e persone (1955) e con la regolamentazione della pesca in Adriatico (1958). All’inizio degli anni Sessanta, l’Italia rappresentava il primo Paese importatore di prodotti jugoslavi e il secondo per volume di esportazioni in senso inverso32. Nei numerosi scambi di visite susseguitisi per tutto il decennio, gli accordi di collaborazione vennero aggiornati con soddisfazione reciproca33 e fu avviato il confronto su temi quali il rafforzamento dell’ONU, il disarmo, la decolonizzazione, il problema del Viet­nam e lo sviluppo del Terzo mondo. Il centro-sinistra propose le relazioni come esempio del possibile miglioramento della convivenza con gli Stati socialisti, incoraggiando e assistendo le riforme di liberalizzazione politico-economica e il neutralismo attivo della Jugoslavia34. L’altra sponda dell’Adriatico guardava a sua volta con favore all’alleanza fra DC e PSI, dipingeva ormai la minoranza italiana d’Istria come ponte fra i popoli e considerava inoltre Roma come la miglior via d’accesso per avvicinarsi al Mercato economico europeo35, come auspicato dalla stessa ambasciata italiana a Belgrado36. I buoni rapporti erano apprezzati anche negli ambienti diplomatici statunitensi37 e favoriti dalla contestuale ripresa dei contatti fra Belgrado e il Vaticano38.
Nonostante il buon esito del percorso di distensione, i due governi avrebbero scansato a lungo la discussione su provvisorietĂ  del confine e trattamento delle min...

Table of contents

  1. Una vita, un Paese: Aldo Moro e l’Italia del Novecento
  2. Colophon
  3. Nota redazionale
  4. Prefazione di Alfonso Alfonsi
  5. Introduzione di Renato Moro
  6. Il tempo di Moro
  7. La cultura politica
  8. La societĂ  e la politica italiana
  9. La realtĂ  bipolare
  10. L’Europa
  11. Africa, Asia e America Latina
  12. L’immagine
  13. Gli autori
  14. Elenco delle sigle
  15. Indice