Calabria pittoresca e romantica
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Calabria pittoresca e romantica

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Il momento scelto non era il più propizio per compiere un giro solitario del regno di napoli, eppure il giovane ramage era deciso ad affrontare qualsiasi pericolo, armato solo del suo bravo ombrello e di un'insaziabile curiosità. Harold ActonCi si affeziona a queste pagine. è un libro onesto e ricco di pensiero, e abbonda in bonarie strizzatine d'occhio… un libro davvero sagace. Norman DouglasPosso dire che solo norman douglas e george gissing hanno fatto accelerare il battito del mio polso, provocando in me una impressione più viva attraverso poetiche descrizioni della bellezza selvaggia ed austera dell'italia meridionale, e mediante la loro profonda e sincera comprensione dell'indole degli abitanti di quelle regioni: del ramage, al contrario, mi sono semplicemente innamorata, ecco tutto. Edith Clay

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Information

Calabria pittoresca e romantica

1.

Maratea

Maratea si trova situata sul pendio di un’alta montagna, ed è così circondata dai monti, che dal mese di novembre fino alla fine di gennaio i raggi del sole non vi giungono mai. Gli ulivi, tuttavia, vi crescono lussureggianti; fui sorpreso di vedere un gran numero di piante di mirtillo la cui scorza, mi fu detto, ridotta in polvere, serve per conciare le pelli.
Gli abitanti di questo paese sono notissimi come produttori di formaggio e di salumi e a Napoli quasi tutti i formaggiai ed i norcini, vengono da questo piccolo paese.
In serata mi recai a far visita al sindaco che si rivelò una persona assai superiore agli altri funzionari del genere e dal quale ricevetti molte cortesie. Mi propose di accompagnarlo in giro per il suo paese a visitare il monastero di San Biagio che si trova su un’alta montagna sopra a Maratea, dove non ne dubitavo, sarei stato accolto con migliore grazia di quanto non era avvenuto il giorno prima a Camerota. La sera è l’ora del giorno in cui tutti gli abitanti si radunano all’aria aperta, generalmente sulla pubblica piazza. Quando vi passammo questa era affollata e tutti si alzarono per salutarci con grande cerimonia. Prima che fossimo giunti a metà monte il sole era già basso sull’orizzonte e dovetti accontentarmi di una fugace visione delle maestose montagne della Calabria, che si ergevano in distanza e le cui cime erano indorate dagli ultimi raggi del sole che volgeva al tramonto.
Tu sai che la Chiesa di Roma asserisce che il suo potere di far miracoli le deriva dal tempo degli Apostoli; non ti sorprenderai quindi nel sentire che i monaci di San Biagio mantengono viva la devozione dei veri credenti, e al tempo stesso riempiono le loro tasche, con la presentazione di un miracolo che si ripete regolarmente una volta l’anno. Riescono con qualche mezzo, probabilmente non eccessivamente ingegnoso, a far sì che una statua del Redentore essudi manna; se avessi avuto particolare desiderio di assistere a tale miracolo, avrei potuto soddisfare la mia curiosità sacrificando appena alcuni giorni, perché esso deve aver luogo in questa settimana. Tuttavia ho visto a sufficienza simili buffonate a Napoli e negli immediati dintorni. La manna è, naturalmente, un tocca-sana per qualsiasi malattia, ed è fonte di considerevoli incassi per la tesoreria del monastero. Se qualcuno guarisce, dopo essersi servito di questa manna, i monaci hanno cura di spargere la notizia in tutto il paese; se invece la guarigione non avviene essi possono sempre affermare che ciò è dovuto alla mancanza di fede del paziente nell’efficacia del rimedio.
Ho fatto alcune indagini riguardo all’esistenza di vestigie antiche, poiché i geografi sono inclini a pensare che qui si trovi il sito dell’antica città di Blanda1; non sono riuscito a scoprire nulla all’infuori dell’esistenza di una torre, che si trova sulla spiaggia e che chiamano Torre di Venere. Non sembra che qui siano stati trovati cammei o monete. La notte era già scesa prima che io raggiungessi la casa del mio ospite e al mio ritorno notai con piacere che vi erano seri indizi che la cena sarebbe stata servita più di buon’ora di quanto di solito avviene nelle case italiane. Le ore dei pasti non corrispondono alle nostre. Si alzano all’alba. Pranzano verso mezzogiorno, la qualità dei cibi dipende, si capisce, dal grado dell’agiatezza in cui si trovano le famiglie; è, tuttavia, piuttosto per la qualità che per la quantità, che questi differiscono. Poi si ritirano per riposare e la casa piomba in una assoluta inerzia fino alle quattro pomeridiane, ora in cui sorbiscono una tazza di caffè. Alle dieci di sera, poi, consumano una cena sostanziosa. Per lo meno io ho osservato che durante la cena, come era d’uso tra i loro progenitori, vengono servite una varietà di pietanze, assai più numerose che a qualsiasi altro pasto. La salsiccia appare, sotto una forma o l’altra, a quasi ogni pasto. Questa sera ci è stata servita circondata da candidissimi maccheroni. Non so se i romani conoscessero questo piatto, ma evidentemente servivano le salsicce allo stesso modo, poiché Marziale (XIII. 35) le descrive alla maniera seguente:
Filia Picenae venio Lucanica porcae:
Pultibus hinc niveis grata corona datur.
Nella forma di una salsiccia lucana io vengo, discesa da un porco piceno; a mio mezzo è offerta una gradita corona alla pasta.
Prima di sederci a tavola, il barone mi mostrò una bellissima immagine di Cupido in ottone, che era stata trovata nel piccolo paese di Rivello, poco distante da Maratea; il dio aveva gli occhi bendati da una fascia e teneva nella mano sinistra un cuore che, un tempo, era stato tempestato di pietre preziose. Il disegno era assai grazioso e la lavorazione molto fine. Il barone mi disse che Rivello2 sembrerebbe essere stato il sito di una città antica a giudicare dalle rovine di parecchi edifici di costruzione a reticolato e dagli avanzi di un circo facilmente identificabili.
Mentre stavamo conversando, venne un uomo che riferì che un suo amico era stato malamente conciato dalle vespe quel pomeriggio e chiedeva del latte di fico da spargere sulle punture degli insetti, poiché questo viene considerato come sedativo in simili circostanze. Il latte deve essere prelevato prima che il frutto venga a maturazione, perché allora contiene una particolare acidità. Se ne servono pure per togliersi i porri, la verruca dei romani. Plinio (XXIII. 631) parla del «fici succus lacteus», di cui anche i romani si servivano a questo scopo; non sorprende che questa tradizione sia stata tramandata di padre in figlio come rimedio per simili mali che debbonsi ripetere costantemente. Le vespe sono assai fastidiose durante i mesi estivi in Italia. L’estate scorsa, quando mi trovavo a Sorrento, vi era un viottolo che era pressoché impraticabile a causa dei feroci attacchi sferrati da questi insetti.

2.

Ajeta

Non devi allarmarti per il resoconto di questa giornata, benché, devo confessarlo, poco è mancato che il mio viaggio non giungesse a una rapida e melanconica conclusione. Per fortuna non ho riportato nessuna ferita grave, ma mi sento tutto indolenzito e contuso.
Osserverai che il mio volto è sempre rivolto al sud e spero poter continuare in quella direzione per altri trecentoventi chilometri; ma quanto è accaduto oggi mi servirà di monito a non essere troppo ottimista perché sono esposto a ogni sorta di pericoli, ognuno dei quali potrebbe por fine alla mia carriera. Avevo qualche esitazione questa mattina, circa il modo di proseguire il mio viaggio. Avendo però appreso dai miei amici che la costa continua ad essere rocciosa e che vi sono molti dirupi per almeno una quindicina di chilometri ancora, mi sembrò che la cosa più saggia sarebbe stata di prendere in affitto una barca per farmi trasportare fino a una celebre grotta che si trova per l’appunto a sedici chilometri da qui, giù lungo la costa.
Scendendo verso la spiaggia oltrepassai una cinquantina di donne che trasportavano dei grandi fasci di legna, questa viene spedita a Malta per essere consumata in quell’isola. Questo lavoro deve essere assai faticoso e mi rincrebbe quando seppi che è sempre eseguito dalle donne.
Mentre salivo in barca il funzionario delle dogane, volendo soddisfare la sua curiosità, insisté per esaminare il contenuto del mio sacco a spalla. È difficile immaginare quali generi di contrabbando avrei potuto asportare da Maratea; è più probabile che egli sperasse che io gli avrei offerto una somma di denaro affinché mi dispensasse dall’aprirlo. Risi dell’assurdità della sua richiesta e non mi opposi alla minuziosa ispezione che egli volle compiere.
Il carattere montuoso della costa si protrasse ancora per sedici chilometri circa e strada facendo trovammo varie piccole isole, probabilmente quelle denominate Ithacesie da Plinio. Il villaggio detto della Madonna della Grotta1 è situato proprio nel punto dove i monti incominciano a recedere dalla costa; consiste in poche case ognuna delle quali ha davanti un pezzetto di terra coltivato. Ebbi qualche difficoltà nel trovare la grotta che stavo cercando, perché le rare persone che incontravo mi guardavano con aria sospettosa e mi davano indicazioni assai poco precise. Finalmente giunsi a una gradinata che, a giudicare dall’aspetto consumato dei gradini, doveva essere stata percorsa da innumerevoli, devoti pellegrini, ma che ora è tutta ricoperta di muschio verde e da tempo non è più frequentata eccetto che dalle poche persone che abitano nelle immediate vicinanze. La gradinata conduce a una stupenda grotta naturale lunga circa quarantacinque metri e alta circa diciotto. Al centro di questa si trova un fonte battesimale abbondantemente provvisto d’acqua che vi sgocciola dal soffitto. Da una parte vi è una piccola cappella2, costruita in modo assai primitivo, nella quale è stata collocata la statua della Madonna. Mentre stavo ispezionando la grotta, apparve un uomo dall’aspetto misero, era il sagrestano della cappella; questi mi descrisse con vivo fervore la particolare santità della statua e mi assicurò che la Vergine si era tanto innamorata di quel luogo che non aveva voluto lasciarlo. A prova di ciò, mi raccontò la seguente leggenda. Circa tre secoli orsono questa statua attirava numerose folle di fedeli, persuasi che essa avesse speciali virtù taumaturgiche capaci di guarire ogni male. I preti del vicino paese di Ajeta pensarono bene di trarre vantaggio da questo fervore popolare, e con la scusa che la Vergine si sarebbe trovata meglio nella loro chiesa che in quella grotta umida e oscura, trasportarono con solenne cerimonia la statua ad Ajeta. La mattina dopo il popolo accorse numeroso a venerare la santa effige, quando, tra lo stupore generale, si avvidero che la statua non c’era più. Alcuni messi furono inviati immediatamente alla grotta e lì trovarono la Madonna nuovamente insediata nel suo benamato ritiro. Per tre volte si rinnovò il tentativo di rimuoverla e per tre volte la statua fece ritorno alla grotta. Non era più possibile opporsi alla decisione della Vergine e i preti di Ajeta dovettero rinunziare ai loro sogni di potenza e di ricchezza. La festa della Vergine si celebra il 15 agosto.
Mentre stavo meditando sulle follie e le superstizioni da cui è afflitta l’umanità, dimenticai lo stato sdrucciolevole della gradinata e, prima di poter porre riparo, precipitai violentemente a terra, rotolando in maniera assai poco dignitosa fino in fondo ai gradini; fortunatamente il mio sacco mi protesse il capo, altrimenti, ne sono certo, mi sarei fratturato il cranio e con ciò avrebbe avuto termine la mia carriera. Mi accorsi che, per fortuna, non avevo subito nessun danno di grave entità, all’infuori che i miei panni erano tutti ricoperti di muschio e che avevo più l’apparenza di un tritone che di un essere umano. Le mie caviglie sono un poco dolenti, ma devo essere grato di essermela cavata così a buon mercato! Speravo potermi rifocillare in questo villaggio, ma non esisteva né locanda né trattoria e dovetti quindi procedere per Casaletto3 che distava circa dieci chilometri.
Nulla avrebbe potuto superare la tristezza, la monotonia, l’aridità della costa in questo tratto, e poiché il caldo poco dopo si fece opprimente, mi rammaricai di aver licenziato la barca. Stavo ora per abbandonare l’antica Lucania, oggi la moderna provincia di Principato Citeriore, per passare nel territorio dei Bruzii, la moderna Calabria, considerata luogo natio dei briganti. Mi resta difficile liberarmi del tutto da questo concetto che mi è stato ribadito in mente prima che lasciassi Napoli, e non mi sento completamente tranquillo. Quando giunsi alla sommità di un’altura che mi permise di scrutare nel fondo di una forra giù per la quale conduceva il sentiero, intravidi una figura d’uomo seminascosto nella boscaglia. Era un luogo molto solitario; avevo lasciato lontano dietro a me l’abitato e non avevo incontrato anima viva da quando ero uscito dal villaggio. Mi dispiacque non disporre di un’arma di difesa perché era spiacevole trovarsi alla mercé di un singolo individuo. Tuttavia non avevo altra alternativa che quella di proseguire ma, avvicinandomi, la mia apprensione sparì perché mi accorsi che si trattava di un uomo molto avanti negli anni con il quale non avrei avuto nessuna difficoltà a misurarmi anche se fosse stato armato. Attaccai discorso con costui e scoprii che anche lui era diretto a Casaletto; parlava un dialetto che io stentavo a capire e quindi la nostra conversazione fu limitata. Il terreno era molto ineguale, ora un burrone profondo, ora un’alta montagna, e quando giunsi a Casaletto ero proprio sfinito; se non riuscirò a distribuire in modo migliore le mie ore di viaggio, temo che dovrò interromperlo per malattia. La locanda a Casaletto era altrettanto misera quanto tutte le altre che avevo visto, e dopo essermi riposato per un’ora proseguii in direzione di Scalea. Di tanto in tanto cercavo riparo sotto le fronde ombrose di qualche olmo e finalmente decisi di fermarmi finché il gran caldo non fosse un poco diminuito. Stavo per addormentarmi quando una persona molto distinta, a cavallo, mi raggiunse e intavolò con accenti fervidi una conversazione chiedendomi se avessi sentito parlare del portentoso miracolo che era di recente avvenuto ad Ajeta, lo stesso paese di cui poco prima mi aveva parlato il vecchio sagrestano guardiano della grotta. Pensai subito che poteva trattarsi di qualche curioso fenomeno naturale che valeva la pena di indagare ed ero disposto a sacrificare qualche giorno se fosse stato il caso. Pregai quindi il mio interlocutore di volermi cortesemente spiegare a che cosa egli si riferisse.
Non ho mai visto un’espressione di maggiore timore riverenziale e di compunzione come quella dipinta sul volto di quest’uomo mentre mi narrava l’accaduto. I miei sentimenti erano un misto di delusione e di divertimento mentre procedeva la narrativa. Si trattava di una nuova versione della vecchia farsa dei monaci di San Biagio, della quale ti parlai nell’ultima mia lettera. Questa volta era una statua del Salvatore che aveva improvvisamente incominciato a trasudare dai pori, in modo miracoloso, un liquido dolciastro, e il mio informatore si era recato dal giudice del distretto di Scalea per riferirgli sul protrarsi del fenomeno miracoloso. Mi disse che se desideravo avere un rapporto dettagliato di quanto stava avvenendo ad Ajeta, non avrei dovuto far altro che presentarmi al signor Pelerino, il giudice, ed ogni mia curiosità sarebbe stata soddisfatta. Di conseguenza, non appena giunsi a Scalea, mi recai a presentare il mio passaporto al giudice e a chiedergli l’autorizzazione di fermarmi per un poco nel paese. La storia del miracolo gli era rimasta evidentemente profondamente impressa e non ebbi nessuna difficoltà nell’ottenere da lui il seguente resoconto che certo ti divertirà.
All’inizio dello scorso febbraio gli abitanti di Ajeta, un paese che dista poco meno di venti chilometri da Scalea, vennero a conoscenza, per la prima volta, del seguente fatto miracoloso. Don Francesco Lo Monaco, ricco proprietario terriero, tenuto in concetto di santità, aveva raccontato ai suoi amici come una statua del Redentore che si trovava nel suo oratorio privato aveva improvvisamente incominciato a essudare manna e che egli aveva trovato il pavimento e la statua stessa impregnati del prezioso liquido quando vi si era recato una mattina. I suoi amici più intimi furono ammessi per primi a constatare il miracolo; la notizia del prodigioso avvenimento si sparse ben presto un po’ ovunque e un gran numero di contadini si radunarono da ogni dove. Il sindaco del paese ne informò immediatamente il giudice e questi stimò suo dovere approfondire l’accaduto. Si recò quindi in compagnia del suo cancelliere – immagino lo scrivano – al paese, ma giuntovi gli venne detto che il miracolo si ripeteva solo in determinati periodi. Si ritirò allora con tutto comodo e si era appena coricato, quando un servo giunse ansimando ad annunziargli che la statua aveva di nuovo incominciato a trasudare. Il giudice gradì poco essere disturbato a quel modo e mandò a dire che sperava poter assistere al prodigio la mattina seguente. Con questo voleva anche dimostrare che nutriva qualche sospetto che vi fosse un trucco e che non intendeva lasciarsi ingannare tanto facilmente. La mattina seguente si recò alla cappella e trovò il pavimento saturo di umidità e la statua che gocciolava sempre, oltre a vari secchi pieni di liquido che era stato raccolto durante la notte. Questa prova fu sufficiente a convincere il giudice, il quale mi confessò con un’espressione di assoluta sincerità, che egli fu così sopraffatto dalla propria indegnità di assistere a una simile manifestazione della presenza di Dio, che rimase prostrato ai piedi della statua per un’ora ripetendo preci e azioni di grazie. Non potevo dubitare della sua sincerità udendolo affermare quanto aveva veduto e provato, e tutto stava a dimostrare che egli fosse una persona veramente pia. Era suo dovere riferire l’accaduto al Sotto-Intendente, la seconda maggiore autorità della provincia. Il Sotto-Intendente risiede a Paola, una città distante circa ottanta chilometri, tuttavia egli si recò ad Ajeta accompagnato dal giudice criminale; i due rimasero pienamente soddisfatti di avere assistito a un vero e proprio miracolo. A questo punto si fecero avanti i preti i quali asserirono che la statua doveva essere collocata nella loro chiesa e nonostante che il proprietario, da principio, sollevasse qualche obiezione, egli finalmente cedette e vennero presi accordi per trasferirla con le dovute cerimonie in chiesa, in una nicchia appositamente preparata. I fedeli accorsero numerosi da tutti i paesi circostanti e in una lettera del parroco al giudice, che io ho letto, veniva detto che...

Table of contents

  1. Craufurd Tait Ramage Calabria pittoresca e romantica
  2. Colophon
  3. Introduzione
  4. Calabria pittoresca e romantica
  5. Indice