II.
Tommaso d’Aquino
e il fondazionalismo
IN QUESTA SECONDA PARTE intendo esporre ciò che ritengo costituisca la risposta dell’obiettore evidenzialista alle domande appena formulate; sosterrò che tale risposta non è per nulla stringente e che le sue ragioni non risultano sufficientemente chiare. Ma non sono solo gli obiettori evidenzialisti ad aver ritenuto che i teisti necessitano di evidenza affinché la loro credenza risulti razionale; anche molti cristiani lo hanno pensato. In particolare lo hanno sostenuto molti pensatori cristiani nell’ambito della tradizione di teologia naturale. Tommaso d’Aquino ovviamente è il teologo naturale par excellence; il suo pensiero a mio parere è anche il punto di partenza obbligato per una riflessione filosofica su questi temi, condotta da cattolici come pure da protestanti. Non v’è dubbio che vi siano montagne tra Roma e Ginevra, tuttavia i Protestanti in quest’ambito dovrebbero essere ciò che Ralph McInerny chiama «tomisti al primo sguardo»1, perlomeno dovrebbero iniziare come tomisti al primo sguardo. Dobbiamo dunque concentrarci su alcune posizioni di Tommaso su questi temi.
A. Tommaso e l’evidenzialismo
A. I. L’insegnamento di Tommaso sulla conoscenza
Secondo Tommaso è possibile possedere conoscenza scientifica – scientia – dell’esistenza e dell’immaterialità, unità, semplicità e perfezione di Dio. Come dice l’Aquinate, scientia è la conoscenza prodotta per inferenza da quanto è visto come vero:
Secondo Aristotele i principi della scienza devono essere autoevidenti, e Tommaso talora sembra fargli eco sostenendo che a rigor di termini la scientia è un insieme di proposizioni dedotte sillogisticamente da primi principi auto-evidenti, o forse che la scientia consiste non solo in quelle conclusioni del sillogismo ma anche negli stessi sillogismi. Logica e matematica sembrano dunque i migliori esempi di una scienza così considerata. Si pensi ad esempio alla logica proposizionale: si può iniziare da assiomi auto-evidenti e procedere a dedurne teoremi tramite forme di argomento – modus pones, ad esempio – che sono esse stesse valide in maniera del tutto auto-evidente3. Altri buoni esempi di scienza così intesa sarebbero la logica del primo ordine e la matematica4. E sarebbero i teoremi di questi sistemi, non gli assiomi, a costituire la scienza. Scientia è una conoscenza mediata, in modo che non si ha scientia di ciò che è auto-evidente. A rigor di termini, allora, solo quelle verità aritmetiche che non sono auto-evidenti costituirebbero la scienza. È improbabile che la proposizione 3 + 1 = 4 appaia come un assioma in una formulazione di aritmetica; poiché tuttavia è auto-evidente, essa non costituisce scientia, anche se appare come un teorema in alcune assiomatizzazioni aritmetiche.
Naturalmente i «primi principi» di una scienza – gli assiomi in quanto opposti ai teoremi, per dir così – sono anche conosciuti. Sono conosciuti immediatamente piuttosto che mediatamente, e sono conosciuti «per intuizione»:
Come molte delle distinzioni tommasiane, anche questa viene da Aristotele:
Seguendo Aristotele, dunque, Tommaso distingue le conoscenze auto-evidenti o colte attraverso se stesse (per se nota) da quelle colte tramite qualcosa d’altro (per aliud nota); le prime sono «principi» e sono apprese grazie all’intuizione, mentre le seconde costituiscono la scienza. È cruciale per l’Aquinate che le proposizioni auto-evidenti siano conosciute immediatamente. Si consideri una proposizione come
Conosciamo immediatamente la prima ma non la seconda: la prima la conosciamo di certo non mediante inferenza da altre proposizioni o sulla base della conoscenza che abbiamo di altre proposizioni. Possiamo coglierla con evidenza. Altrove l’Aquinate dice che una proposizione che è auto-evidente per noi (per se nota quoad nos) è tale che non possiamo coglierla senza credere davvero di conoscerla. Invece (2) non si presenta così; pochi di noi possono coglierla come evidente. Dobbiamo invece far ricorso al calcolo, e muoverci attraverso una catena di inferenze, delle quali solo le premesse prime sono auto-evidenti.
Ovviamente le proposizioni auto-evidenti vengono conosciute, anche se, a rigor di termini, non costituiscono propriamente scientia. In verità, il loro statuto epistemico, secondo Tommaso, è più alto di quello delle proposizioni conosciute mediante dimostrazione. Più esattamente, la nostra condizione epistemica, nel cogliere una verità di questo tipo, è superiore alla condizione in cui ci troviamo quando la proposizione di cui abbiamo conoscenza è colta per dimostrazione. L’immagine che emerge della conoscenza scientifica è dunque quella che si trova negli Analitici Posteriori di Aristotele: conosciamo ciò che è auto-evidente e ciò che si inferisce da quanto è auto-evidente per il tramite di argomentazioni auto-evidenti. La conoscenza consiste nella scientia e nell’intellectus. Intuendo cogliamo i principi primi, verità auto-evidenti; da questi poi inferiamo o deduciamo ulteriori verità. Ciò che conosciamo consiste in ciò che troviamo auto-evidente insieme con ciò che possiamo inferire da esso grazie agli strumenti della logica. E se assumiamo rigorosamente questa prospettiva, sembra che la conoscenza venga così ridotta a ciò che è necessariamente vero in senso logico. Presumibilmente una proposizione è per se nota solo se si tratta di una verità necessaria, e qualsivoglia proposizione che derivi da verità necessarie per il tramite di argomentazioni auto-evidenti sarà essa stessa necessariamente vera. Per dirla con Aristotele, «data poi l’impossibilità, per ciò cui si rivolge la scienza in senso assoluto, di comportarsi diversamente da come si comporta, senza dubbio l’oggetto del sapere, cui si riferisce la scienza dimostrativa, risulterà necessario»7.
Per essere una presentazione della prospettiva tommasiana della scienza, questa appena riportata risulta tuttavia nel migliore dei casi incompleta, perché è evidente che l’Aquinate crede pure che possediamo conoscenza, conoscenza scientifica, di molte cose che non risultano logicamente necessarie. Egli ritiene esista la scienza naturale (scientia naturalis), il cui oggetto è costituito dagli enti fisici in movimento:
Tommaso intende dire inoltre non solo che nella scienza naturale cogliamo alcune verità necessarie relative agli oggetti contingenti e mutevoli (è quel che accade quando conosciamo, ad esempio, che qualsiasi cosa si muova è mossa da altro); egli intende dire anche che tra le verità che cogliamo vi sono proposizioni contingenti quali quella per cui c’è un albero di fuori e che i suoi rami si muovono per il vento.
Secondo Tommaso quindi noi abbiamo scientia di ciò che è mutevole, e presumibilmente parte di questa scientia riguarda proposizioni contingenti. Altrove l’Aquinate sostiene poi che il tipo di conoscenza più caratteristico per gli uomini e più appropriato a loro è la conoscenza degli enti fisici:
Vi sono due tipi di proposizioni delle quali semplicemente vediamo la verità. Primo, vi sono quelle che sono auto-evidenti o per se notae; sono gli oggetti dell’intellectus o dell’intuito, e noi vediamo la loro verità allo stesso modo in cui vediamo che 2 + 1 = 3. Secondo, vi sono proposizioni «evidenti ai sensi», come dice lui: «È certo infatti, e consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono»11; e allo stesso modo va considerata la proposizione secondo cui il sole si muove12. I suoi esempi di proposizioni evidenti ai sensi sono in gran parte proposizioni la cui verità viene determinata visivamente. Sebbene – è ovvio – Tommaso non pensi alla vista come all’unico senso che produce conoscenza, conferisce tuttavia ad esso il posto d’onore. Poiché è immateriale – così egli dice – è «più conoscitivo» degli altri sensi. Non è facile capire che cosa precisamente Tommaso intenda dicendo «evidente ai sensi», ma forse può considerarsi abbastanza pertinente questa spiegazione: una proposizione è evidente ai sensi se noi esseri umani abbiamo il potere di determinarne la verità guardando, ascoltando, gustando, toccando o odorando alcune cose materiali. Quindi
sono proposizioni evidenti ai sensi.
In primo luogo, ci sono proposizioni che vediamo semplicemente che sono vere; in secondo luogo, ci sono proposizioni che vediamo che seguono da quelle che appartengono al primo gruppo. Queste proposizioni possono essere dedotte da quelle del primo gruppo grazie ad argomenti che vediamo essere validi13. Così, l’immagine di base della conoscenza è questa: noi conosciamo ciò che vediamo che è vero insieme con ciò che possiamo inferire da ciò che vediamo essere vero grazie ad argomenti che vediamo essere validi.
A. 2. L’insegnamento di Tommaso riguardo
alla conoscenza che abbiamo di Dio
Tommaso ritiene che gli esseri umani (persino nella condizione terrena di quaggiù) possano avere conoscenza – conoscenza scientifica – dell’esistenza di Dio come pure del fatto che egli presenti attributi quali la semplicità, l’eternità, l’immaterialità, l’immutabilità e così via. Nella Summa theologiae espone le sue famose «cinque vie» o cinque prove dell’esistenza di Dio; nella Summa contra Gentiles spiega la via del movimento molto più dettagliatamente; e in ciascun caso egli esegue queste cosiddette dimostrazioni insieme ad altrettante dimostrazioni che Dio possiede gli attributi appena menzionati. Dunque, la conoscenza naturale di Dio è possibile. Tuttavia Tommaso ritiene che la gran parte dei credenti non possiede conoscenza dell’esistenza di Dio ma la assume per fede. Solo pochi di noi hanno il tempo, l’inclinazione e l’abilità per capire gli argomenti teistici; tutti gli altri assumono questa verità per fede. E anche se l’esistenza di Dio è dimostrabile – anche se siamo capaci di averne conoscenza – essa è tuttavia appropriatamente proposta agli esseri umani come oggetto di fede. In br...