Diario di un viaggio a piedi
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Diario di un viaggio a piedi

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Diario di un viaggio a piedi

About this book

Un carattere assai eccentrico, un artista genuino, un viaggiatore versatile: questo è l'inglese Edward Lear, che il 25 luglio 1847 si mette in viaggio, insieme all'amico Proby, per un "tour" a piedi della provincia di Reggio Calabria. Saluterà, il 5 settembre, dalla nave e con tristezza, non solo i paesaggi e le cittadine visitate, ma i calabresi che gli erano entrati nel cuore.Aveva premesso: "Il nome di Calabria in se stesso ha non poco di romantico", figurandosi montagne, foreste, vedute da dipingere. Quaranta giorni di viaggio a piedi permettono di conoscere - a lui e ai suoi mai annoiati lettori - luoghi "pittoreschi" e calabresi impensati, spazi naturali e caratteri umani della "punta d'Italia" nel turbine della metà dell'Ottocento. l'esperienza calabrese di Lear, il "sentiero dell'inglese", viene riproposta oggi con un soggiorno itinerante nel Parco dell'Aspromonte.

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Information

Capitolo XV

Organizzazione – Ciccio e la sua paga – Progetto di vedere delle belle foreste vicino a Reggio domani – E intenzione di visitare Pentedattilo prima di recarci nelle province dell’altra Calabria – Visite mattutine a Reggio – Partiti per Gallico – La casa di Ciccio – Il villaggio di Calanna – Belle vedute dello Stretto di Messina e dell’Etna – Troviamo che non vi sono alberi belli sulle colline di Basilicò, e ritorno tardivo a Reggio – Attraversiamo lo Stretto per Messina, e io ritorno a Reggio solo – Mi sono incamminato per Melito; arrivo a tale città all’Ave Maria – Bellissima vista di Pentedattilo – Lo sconforto nella casa di Don P. Tropea – Agitazione e preoccupazioni nella famiglia – La cena – Rivelazioni di rivoluzioni – Annuncio di sommosse – La cena «party» si è sciolta – La camera da letto – L’avventura di mezzanotte – Lascio Melito – Silenzioso presagio di Ciccio. Il fiume Alice – Stupende vedute di Pentedattilo – Le sue gole e rocce; la sua strana forma – Io salgo al borgo; sorpresa e allarme dei suoi abitanti – Procedo per Montebello – Fichi d’India – La rivoluzione e le sue ombre – La tragedia di Pentedattilo: una favola di orrori – Salita a Motta San Giovanni – Ritorno a Reggio – Assurdo cameriere all’Hotel Giordano – Intervista con il Consigliere De Nava – Spiegazioni di vari dubbi e circostanze durante il nostro giro – Corteo di insorti, ecc. – Una mattinata ansiosa – Scappo da Reggio e raggiungo Messina – Proby ed io c’imbarchiamo per Napoli in un vapore Maltese – Addio alla Calabria Ulteriore Prima!

29 agosto

Un giorno di riorganizzazione per il presente e il futuro. Ciccio ha ricevuto i suoi 31 dollari e mezzo, con quattro in più come mancia; quindi l’antica guida è scoppiata in lacrime, e ha detto che la paga era eccessiva per aver lavorato per così brave persone come noi due; egli inoltre ci ha dichiarato che noi siamo per lui come due figli o nipoti, e che si sarebbe sacrificato vivo o morto per noi come e quando ci avrebbe fatto piacere. Dìghi-dòghi-dà era veramente un uomo meritevole.
Avendo un giorno libero l’indomani, abbiamo pensato di recarci a Melanicò, dove si dice vi siano delle belle foreste, e quindi di stabilire il programma per i nostri successivi cinque giorni, che si sarebbe svolto come segue: attraversiamo lo Stretto per andare a Messina, e mentre Proby rimane lì per tre giorni, io intendo ritornare qui e recarmi a Capo d’Armi e Pentedattilo; dopo di che raggiungerò il mio amico a Reggio il 4 settembre, per incamminarci il 5 per Monteleone, cominciando il nostro giro in Calabria Ulteriore II.
Le visite alle nostre conoscenze di Reggio hanno preso gran parte della giornata; la sera abbiamo partecipato alla passeggiata in carrozza lungo la marina e per le grandi strade di Reggio, un modo di passare due ore, e di vedere vicini e amici come è d’uso in Calabria, come a Chiaja a Napoli, al Corso a Roma o all’Hyde Park a Londra.

30 agosto

Siamo partiti per il nostro viaggio di esplorazione alle colline di Basilicò all’alba, e abbiamo rintracciato i nostri passi lungo la strada per Napoli, quasi fino a Gallico, un villaggio situato ai piedi delle montagne, e squisitamente pittoresco per le sue larghe strade completamente adorne di una rete estesa di pergolati. Qui, essendo il villaggio nativo di Ciccio, abbiamo visitato la sua casupola, dove la moglie e i figli ci hanno offerto tanti fichi e molta uva, facendo tutto ciò ch’era possibile per accoglierci alla loro maniera.
Salendo faticosamente la fiumara per Calanna, un villaggio con castello piazzato in un passo roccioso, dopo aver disegnato il villaggio, abbiamo continuato a salire le colline guardando, dietro di noi la vista sempre più estesa dello Stretto e dell’Etna, e avanti le alture di Basilicò, sulle colline di Aspromonte. Ma delle foreste che tutti a Reggio decantavano c’era poco da vedere; quelli che ce le hanno descritte non hanno mai visto Polsi o Pietrapennata; ed eravamo disillusi per il risultato delle nostre ricerche. Infine abbiamo incontrato pochi uomini che stavano lavorando in una «segheria» piazzata nella parte più alta della montagna; questi uomini si son messi a ridere quando abbiamo chiesto delle «grandi querce», sogghignando increduli e facendo segni che non potevamo capire. «Alberi di querce! Questa è una sciocchezza, e voi lo sapete meglio di noi; ma per gli uomini che voi cercate vi assicuriamo che non sono qui; e non possiamo dire se siano a Santo Stefano, il villaggio più in giù». Invano abbiamo detto che non eravamo alla ricerca di nessuna persona. «Fareste bene a tenere per voi la vostra opinione» è stata la risposta. Perciò ancora abbiamo notato che c’era del mistero che non potevamo penetrare. Così, giudicando la montagna di Basilicò un’impostura, ci siamo allontanati e siamo ritornati direttamente a Reggio. È possibile, dopo tutto, che non siamo andati su abbastanza sopra le colline per scoprire i giganteschi alberi di querce. Siamo ritornati per un’altra strada, e prima di raggiungere Reggio era già sera.

31 agosto

Abbiamo attraversato lo Stretto verso Messina, pagando dodici carlini per la barca, che abbiamo preso per noi soli. La delicata vecchia Cattedrale e le squisite viste dalla parte alta della città offrono abbastanza interesse per il viaggiatore, e noi anche avevamo colori, carta, e attrezzi di pittori erranti di ogni genere per badarvi.

1 settembre

Con la somma di tre carlini riattraversai lo Stretto nella pubblica imbarcazione lasciando a Messina Proby che mi avrebbe raggiunto a Reggio il 4 settembre. Un buon vento mi ha portato subito sulla sponda della Calabria, dove ho trovato il fedele Ciccio che mi attendeva per darmi il benvenuto, dopo tanta eloquenza finita con «Dìghi, Dòghi, Dà», come abitualmente.
All’una tutto era pronto per la partenza, il mio passaporto, e pure una lettera del Consigliere De Nava a un proprietario di Melito, dove avrei potuto dormire questa notte per visitare Pentedattilo, la strana città sulla rocca che avevo visto da Bova, e che a tutti i costi avevo deciso di esaminare. Così sono partito in una carrozzella per tre ducati, sulla polverosa strada carrozzabile coperta di pergolati che avevo fatto il 29 luglio a piedi. La vista dell’Etna cresce in magnificenza mentre ci si avvicina a Capo d’Armi, al punto estremo dove giunge la strada interna mentre il sole tramontava, attraversando su mulattiere numerose fiumare che sboccano al mare. Avanzando, le vedute delle meravigliose rocce scoscese di Pentedattilo divennero sorprendentemente maestose e selvagge, e, mentre il sole tramontava in una gloria purpurea, schiudeva una vera e magica scena da romanzo: la massa vasta della pinnacolata rocca sorgeva sola sopra le vicine colline, formando un paesaggio che è le beau ideal del terribile, nello scenario calabrese. Alla riva del mare, poche miglia sotto Pentedattilo, è situata Melito, un grande paese, il più a sud di tutta l’Italia, e prima di averlo raggiunto siamo arrivati alla casa di D. Pietro Tropea, in periferia, una residenza mal tenuta; sebbene Don Pietro mi abbia ricevuto con molta ospitalità, non è da nascondere che questa casa era sporca; e quando contemplavo i dieci cani e una poco gradevole grande pecora addomesticata che animavano le sue camere, mi sono rallegrato che non sarei rimasto lì per molto tempo con loro.
Inoltre, mi è apparso come se qualche cosa di strano covasse in tutta la famiglia, che comprendeva la moglie, all’apparenza sofferente e poco curata oltre che agitata in maniera pietosa, un solo figlio dallo sguardo selvaggio e sgomento, e un fratello e un nipote di Montebello, strani, tetri e misteriosi nell’aspetto e nelle maniere. L’ospite si è anche scusato per essere un po’ inquieto e poco bene disposto. Il singolare disagio di tutta la famiglia è aumentato non appena si udì il suono di due o tre colpi di fucile, e Donna Lucia Tropea scoppiò in lacrime, lasciando la camera con tutta la famiglia, tranne Don Pietro, che divenne sempre più incoerente ed eccitato, dando delle rivelazioni sbalorditive circa la sua Signora e la sua situazione, che dichiarò mettere tutta la sua famiglia e lui nella più afflitta e nervosa situazione.
Queste scuse per tale rimarchevole disordine che io ho osservato indistintamente in tutti i membri della famiglia, non mi hanno ingannato, e ancora una volta sospettavo, più che mai, che «qualche cosa stesse per accadere». Questa sensazione è stata confermata a cena quando, tutti riuniti, sembrava si fossero messi daccordo fra di loro sull’impossibilità di nascondere il loro allarme, e mi venne posta una rapida successione di domande, come se io fossi a conoscenza dei cambiamenti politici che stavano per accadere immediatamente. «Avete sentito nulla? Nulla? Nemmeno a Reggio?». «Veramente non ho sentito nulla». «Ma che! È da pazzi pretendere ignoranza; devo essere al corrente che il paese è alla vigilia di una rivoluzione generale?». Era inutile protestare, ed ho notato verso di me il cattivo sospetto come motivo prevalente in persone che erano certe che io non volessi dare nessuna informazione su un argomento di cui a parer loro io ero pienamente al corrente. Così sono rimasto in silenzio, quando un altro fratello di Montebello diede improvvisamente una notizia, che dopo pochi sussurri diede seguito a una scena di allarme e orrore.
«È già principiata la rivoluzione!» ha detto forte Don Pietro; sono seguiti singhiozzi e gemiti e la lamentevole ospite, dopo aver pianto dirottamente, è svenuta ed è stata trasportata fuori; la compagnia si è sciolta nel più sorprendente disordine, dopo uno spettacolo, almeno così è apparso a me, dove paura e costernazione predominavano sulla speranza e sul coraggio.
Io, rivoluzione o non rivoluzione, mi trovavo nella punta dello stivale dell’Italia tutto solo, e dovevo trovare la mia via d’uscita nella maniera migliore, come potevo; così avvolgendomi nel mio plaid, e spento il lume, mi sono disteso sul letto nella camera di fronte assegnatami, il cui esterno non indicava né pulizia né riposo.
Avevo quasi dimenticato la cena nel sonno, quando un rumore particolare mi ha svegliato. Dopo tutto ero certo d’imbattermi in qualche avventura calabrese, e mi sono seduto sul letto ascoltando il misterioso rumore che ripetutamente veniva da sotto il letto e rassomigliava a un mormorio in singulto per quattro o cinque volte di seguito. Avendo la certezza che non ero solo, piano piano ho allungato la mano alla ricerca di quella compagna che si ha sempre con sé: la scatola di fiammiferi; prima che potessi arrivare ad essa il mio letto viene sollevato da un incomprensibile essere che stava lì sotto, che, sbuffando e singhiozzando fra un piccolo suono tintinnante, accompagnava questo mistero calabrese. Non c’era tempo da perdere; avendo ottenuto la luce a dispetto di questa sgradevole interruzione, sono saltato dal letto, spingendo forte e in fretta sotto il letto un bastone, per mettere l’intruso, fantasma o reale, in un proprio campo di lotta. «Bee-ee-ee!», era la grossa pecora addomesticata! Immediatamente ho aperto la porta della camera accanto, e chiuso fuori a chiave la tormentatrice.

2 settembre

Nessuno della famiglia Tropea era alzato quando sono partito all’alba. Una lettera a un proprietario di Montebello, dove avrei dovuto passare a mezzogiorno, mi è stata preparata, con le scuse per la mancata apparizione di alcun membro della famiglia. «Che cosa vuol dire ciò?» dissi a Ciccio; ma niente veniva fuori da quel Fenice mulattiere se non un certo riso soffocato; così tutto sembrava ansioso e tetro.
Ci siamo incamminati; il nostro percorso seguiva una faticosa e tortuosa strada lungo il letto del fiume Alice, e dopo divenne un percorso aspro e discosceso attraversando il fiume della Monaca prima che Pentedattilo fosse visibile; giacché questo strano borgo è così situato che, per quanto sia visibile da tutti i lati attorno, gli si può passare accanto senza accorgersi della sua vicinanza. Il burrone dove il fiume scorre è pieno e bloccato da rocce scoscese a sud della grande rocca dove la città è costruita; così è necessario attraversarle dal lato occidentale del ruscello, e salire le alture che lo chiudono, prima di riattraversarlo per raggiungere infine la rimarchevole rocca. Ma avendo raggiunto l’altura opposta, l’apparire di Pentedattilo è perfettamente magico, e ripaga qualunque sacrificio fatto per raggiungerla. Selvagge sommità di pietra spuntano nell’aria, aride e chiaramente definite in forma (come dice il nome) di una mano gigantesca contro il cielo, le case di Pentedattilo sono incuneate all’interno delle spaccature e dei crepacci di questa piramide spaventosamente selvaggia, mentre tenebre e terrore covano sopra l’abisso attorno alla più strana abitazione umana. Ridiscesi al fiume, tutte le tracce del posto erano sparite; e solo dopo aver riattraversato il ruscello, ed essere faticosamente saliti dal lato opposto, lo stupendo e mirabile precipizio è raggiunto; le abitazioni alla sua superficie ora consistono in poco più che un piccolo villaggio, per quanto i resti del vasto castello ed estese rovine di costruzioni sono i segni della Pentedattilo che ha visto giorni migliori.
Veduta di Pentedattilo.
Pentedattilo
Ho lasciato Ciccio e il cavallo sotto al ruscello, e mi sono rammaricato di averlo fatto quando, mentre mi sono seduto per disegnare il luogo, tutta la popolazione è apparsa alle finestre e dai muri, e le poche donne che sono passate davanti a me strada facendo per i vigneti, disposti in fila lungo le rocce scoscese giù sotto agli argini del fiume, hanno gridato forte nel vedermi, scappando a rinchiudersi nella loro fortezza. È molto difficile fare capire a queste persone l’italiano normale, e uno straniero forse, se solo, è nell’imbarazzo di un malinteso. Se i pentedattilesi avessero pensato bene di tirare dei sassi all’intruso, il suo destino sarebbe stato duro; ma sembravano avere solo paura. Ho lasciato questo posto meraviglioso con non poca nostalgia e, raggiunto Ciccio, ho perso presto d’occhio Pentedattilo, seguendo la mia strada sopra il ruscello, o letto della Monaca, che qui è molto stretto e sinuoso, e così chiuso fra alture che in inverno il torrente impedisce ogni accesso da questo punto. Più in alto nel burrone è il villaggio di Montebello, il distretto famoso di Calabria per l’eccellenza dei fichi d’India, o cactus; tutte le rocce nei dintorni sono coperte da un denso strato di questi strani frutti. La città è situata su in alto del fiume, in una rocca quadrata perpendicolare da tre lati, fra le rovine di muri e case, che denotavano precedenti tempi di prosperità. Nel centro di questo umile piccolo posto c’è la casa di Don Pietro Amazichi, che, per quanto mi avesse ricevuto con molta gentilezza e ospitalità, era agitato come il mio conoscente a Melito. Sembrava evidente che gli avvenimenti futuri proiettavano innanzi le loro ombre, e invano io ancora cercavo di persuadere il mio ospite che non ne ero al corrente. «È impossibile», dicono, «Voi avete lasciato Reggio solo ieri, è vero, ma è certo che la rivoluzione è scoppiata ieri notte, e tutti sapevano già da giorni che questo sarebbe successo». Allora scoppiò un’altra scena. La signora di Montebello, meno debole della signora di Melito, si è lasciata cadere nella profonda afflizione; la sua esclamazione «Oh! I miei figli, i miei due figli! Ne sono separata per sempre in questo mondo!» non potrò facilmente dimenticarla; e suo marito ha cercato di confortarla con tanta profonda simpatia che sono rimasto proprio commosso per questa povera gente, ignorante come certamente ero io di queste incerte circostanze.
Verso le due, Don Pietro mi accompagnò ai piedi della rocca, e fino ad un certo punto anche per la faticosa fiumara; nel frattempo mi illustrò la storia di Montebello e Pentedattilo, una leggenda tragica dei tempi antichi di questi luoghi, quando i territori erano governati rispettivamente il primo da un barone e il secondo da un marchese.
Per secoli le fa...

Table of contents

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. Prefazione
  7. Capitolo I
  8. Capitolo II
  9. Capitolo III
  10. Capitolo IV
  11. Capitolo V
  12. Capitolo VI
  13. Capitolo VII
  14. Capitolo VIII
  15. Capitolo IX
  16. Capitolo X
  17. Capitolo XI
  18. Capitolo XII
  19. Capitolo XIII
  20. Capitolo XIV
  21. Capitolo XV
  22. Note