In Calabria durante il fascismo
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In Calabria durante il fascismo

Due viaggi inchiesta

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In Calabria durante il fascismo

Due viaggi inchiesta

About this book

La Calabria dei primi anni del fascismo una regione alle prese con enormi problemi; la miseria delle campagne, l'emigrazione, la malaria, l'analfabetismo. Nel travagliato sviluppo dell'istruzione di base e nella battaglia contro la malaria, si distinse l'attività dell'Animi, l'associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia, fondata due anni dopo il sisma del 1908. Hélène Tuzet, giovane francese appena laureata, affronta nel 1928 le difficoltà di un viaggio in Calabria e Sicilia per verificare la condizione delle scuole primarie create dall'Animi nelle estreme regioni del Mezzogiorno. Due anni dopo, nel 1930, un importante uomo politico belga e noto rappresentante del movimento socialista europeo, Jules Destrée, intraprende in macchina il periplo della Calabria, dove già era stato negli anni dieci, curioso di conoscere i cambiamenti che nel frattempo potevano averla interessata anche alla luce della politica del fascismo. Si tratta di due resoconti che entrano nella carne viva di una regione affascinante per la sua storia e le sue memorie, entusiasmante per le suggestioni della natura e del paesaggio, gratificante per l'ospitalità e la generosità della sua gente, ma nello stesso tempo impossibilitata in quei decenni dal trovare autonomamente la via di uno sviluppo che colmasse almeno in parte il divario con le regioni più progredite del paese.

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Information

1.
Un paese poco conosciuto
I pericoli di una volta
Un giorno ho visitato la Calabria… Non voglio fare un racconto alla maniera di Paul-Louis Courier1 che spiega solo in parte perché questo bel paese di Calabria è ancora oggi così poco conosciuto. Penso che lo spaventoso equivoco che lo angosciò in quella notte e che egli seppe, tuttavia, raccontare con amenità e buon umore non era certo propizio ad attirare i turisti2. A quell’epoca, d’altronde, la regione era appena uscita dagli orrori della guerra civile e non era affatto sicura. Per visitarla era prudente farsi accompagnare da una scorta armata. Si raccontavano storie assai spaventose di viaggiatori sorpresi e svaligiati, tenuti prigionieri nelle montagne e rimessi in libertà soltanto dopo il versamento di forti riscatti, di orecchie e nasi amputati quando il pagamento ritardava. La paura del brigante calabrese bastava a scoraggiare i viaggiatori più intrepidi.
È molto probabile che ci sia stata abbastanza esagerazione in tutto ciò e trovo nel vivace racconto di P.-L. Courier una sottile ironia nei riguardi dei timorosi viaggiatori. Scrivo anch’io queste poche note con sentimento analogo di vivo compianto per tutti i viaggiatori che visitano l’Italia, ma non la Calabria.
L’itinerario abituale degli stranieri arriva generalmente fino a Napoli. Vedi Napoli e poi muori! Alcuni più intraprendenti si spingono fino in Sicilia, ma attraversando la Calabria in treno, conoscono di Reggio solo Villa San Giovanni che vedono quando si apprestano ad attraversare lo stretto.
I pericoli di ieri
Lo stato di abbandono in cui versa la Calabria ha forse una spiegazione più semplice. I briganti sono scomparsi e la regione è sicura come qualsiasi altra dell’Italia, ma gli albergatori sono rimasti in uno stato medievale. Non perché vi ricattano; al contrario, la vita non è molto cara, ma è orribile per l’europeo medio tutto quello che possono offrirvi come vitto e alloggio.
Ecco le sofferenze che patì Lenormant a Monteleone, una cinquantina di anni fa, per amore della Magna Grecia:
«Dobbiamo lasciare l’automobile in una piazza, nella parte bassa della città. Guidati da alcuni abitanti che hanno avuto la gentilezza di precederci, e seguiti dai facchini che portano i bagagli, saliamo a piedi per delle vie ripide e buie, dal selciato sdrucciolevole e pieno di buche, a tratti a scale, e arriviamo all’Albergo dell’Indipendenza dove ci hanno prenotato delle camere. Ci assicurano che è il migliore albergo della città e bisogna senz’altro crederlo poiché gli ufficiali della guarnigione hanno stabilito proprio lì la loro mensa. Ma allora come possono essere gli altri?
«Lo stabile nel quale si trova l’albergo deve essere stato, due secoli fa, il palazzo di qualche nobile famiglia, e presenta interessanti forme architettoniche; ma appena si entra nel cortile, si è colpiti da un fetore repellente. Il letame delle scuderie situate a pianterreno sbarra la strada agli avventori, e pozze di liquami, riscaldate dalla temperatura torrida della stagione, diffondono un odore di ammoniaca che prende alla gola. La scala monumentale in pietra serve da gabinetto pubblico a tutta la popolazione del quartiere; ad ogni gradino bisogna guardare accuratamente dove si va a mettere il piede.
«L’albergo occupa il primo piano del palazzo; le stanze sono immense e di una altezza incredibile. Tutto questo è stato costruito per condurvi una vita principesca; la sala da pranzo potrebbe benissimo essere un salone delle feste tale da soddisfare i desideri di un milionario o di un ministro per darvi dei ricevimenti danzanti. Le camere sono grandi come saloni. A fianco degli orribili letti di ferro di cui ogni stanza è provvista in un numero minimo di due, spesso di tre e anche di quattro, si vede, qua e là, qualche bel mobile ad intarsio, tutto squinternato, in rovina, ma che un rigattiere saprebbe ben restaurare come resto dello splendore dei proprietari di una volta. Ma in nessuna parte il pavimento è stato pulito, né i mobili spolverati o lucidati da tempo immemorabile. I soffitti sono pieni di innumerevoli ragnatele. Non una finestra chiude bene, e non ve n’è una dove non manchi un vetro. I muri sono vischiosi per antica sporcizia che diffonde un insipido e indefinibile odore. Bisogna lottare per avere biancheria più o meno pulita; vi rispondono con aria stupita di fronte alle vostre esigenze in proposito: “Ma, signore, quella che è nel letto e ancora pulita: non è servita che a due o tre viaggiatori”. In quanto poi a fare spazzolare i propri vestiti o ad ottenere una tovaglia bianca sulla tavola dove si mangia è bene che il turista che scende in questi luoghi rinunci a queste raffinatezze.
«L’oste e l’ostessa, poi, meritano una descrizione. Lui è nativo di Pizzo. Ha l’aspetto di un vecchio turco sudicio, con la sua lunga barba bianca, il fez che gli copre costantemente la testa e la lunga pipa sempre fra i denti anche quando vi serve a tavola. Lei, è una prosperosa sciattona, sporca, unta, discinta, e cammina trascinando due ciabatte che ad ogni passo fanno flac-flac. Marito e moglie, coppia ben assortita, sono entrambi sofferenti di un’oftalmia purulenta che li costringe a portare una benda obliqua sul viso. L’uomo ha già perduto un occhio, la donna sta facendo altrettanto. E poiché è lei a cucinare, per non lasciare i fornelli ed andarsi a curare, di tanto in tanto si inumidisce l’occhio malato sopra le pentole. Per colmo di orrore, mi si era affezionata, e, quando eravamo intenti a mangiare, veniva dietro la mia sedia a domandare se avevamo bisogno di qualcosa e mi stringeva fra le braccia, chiamandomi “Anima mia!” Bisognava avere il cuore corazzato di un bronzo di triplo spessore al posto delle impressioni di disgusto di un uomo che ha viaggiato molto in Oriente e nell’Italia meridionale per impedire allo stomaco di rivoltarsi.
«È necessario, del resto, essere pronti a vincere ogni ripugnanza per mangiare in questo posto. Una tradizione che proprio per il suo carattere antico doveva trovare grazia davanti ad un archeologo, perché si ritrova la stessa disposizione in molte case di Pompei, vuole che nella cucina si apra il cantuccio più intimo della casa: una stanza senza finestre dove dodici grandi vasi di maiolica, allineati simmetricamente lungo le pareti, aspettano i clienti. Al soffitto è appesa la frutta a lunga conservazione che sarà servita a tavola durante l’inverno: mele cotogne, pere, sorbe ecc. Il cibo, poi, è abominevole. Un giorno avevo comprato per pochi soldi, da un contadino sulla strada, delle magnifiche coturnici e le avevo date a preparare per cena. Un vero ghiottone avrebbe certamente strangolato seduta stante l’oste e l’ostessa se avesse visto l’infame intingolo che erano riusciti a fare con quella selvaggina. L’acqua che ci danno da bere, conservata in recipienti che non vengono mai puliti, ha acquistato un sapore disgustoso. Per renderla un po’ accettabile e meno mal-sana, chiediamo della neve che, in questo paese, sostituisce il ghiaccio. Quella che ci portano è rossa per la sporcizia.
«Compiango sinceramente gli ufficiali che sono costretti a stare in pensione in questa locanda per tutto l’anno. Se ne consolano, diventando i padroni assoluti della casa. I semplici civili non possono ottenere da mangiare se non quando i militari hanno finito il loro pasto, e debbono contentarsi dei resti.
«Tale è il piacevole alloggio dove l’amore per l’archeologia ci ha dato il coraggio di passare tre giorni interi, tanti erano i motivi di studio che ci offriva Monteleone»3.
In seguito, verso il 1910 André Maurel, che ci fece conoscere ed apprezzare tante cittadine d’Italia, volle completare la sua collezione con quelle del Meridione. Si spinse soltanto fino a Cosenza e tornò indietro scoraggiato:
«Voi che mi avete seguito per tutta l’Italia e che, ancora con me, vi dirigete verso la Sicilia, ecco una strada che vi sconsiglio di prendere mai!
«Essa è magnifica, ma la città si incontra solo alla punta estrema! Se si potesse viaggiare sempre, e non coricarsi, né mangiare, sarebbe un viaggio meraviglioso. È quando ci si ferma che incominciano i guai. Si rimprovera abbastanza ai Francesi la ricerca esagerata del confort. Quante volte io stesso ho preso in giro quelle persone che decidono di visitare questa o quella città per il solo motivo che vi è un albergo ben tenuto? Mi rendo conto tuttavia di avere, specialmente in Puglia, sacrificato il confort alla curiosità. A tutto c’è un limite, però. Io lo tocco a Cosenza. Solo adesso lo capisco bene: un pudore legittimo si nascondeva dietro i consigli dei miei amici napoletani di astenermi dal viaggio a causa della mancanza di opere d’arte. Se si vuole conoscere cos’è la sporcizia, infatti, bisogna venire in Calabria. Sì, lo so bene, i nostri padri ne hanno visto altre. I nostri padri avevano Versailles che puzzava di ammoniaca. Ma Versailles ha fatto qualche progresso, la Calabria, no. Lo sento! E io sono diverso dai miei padri! Il viaggiatore del xx secolo ha bisogno di un minimo che non può trovare qui. Ho finito la mia giornata su una montagna in mezzo a capre che mi sembravano profumate: ecco!»4
Oggi, non c’è più niente di così primitivo. Recentemente, e soprattutto dopo la guerra sono stati costruiti alberghi accettabili. Ne ho visti di buoni a Reggio e a Cosenza. Ve ne sono, ovviamente, anche altri. Tuttavia quelli che hanno intenzione di tentare il viaggio, faranno bene prima di tutto ad assumere informazioni, perché se l’ospitalità calabrese è aperta e leale, succede spesso che essa sia esageratamente rustica.
Il vitto è soddisfacente. Ho trovato dovunque ottimo burro importato dal Nord, in verità, e buon pane, pasta in brodo, al sugo di carne o di pomodoro, pesce fritto o in umido, pollo arrosto, arrosto di agnello o di capretto, frutta saporita, in particolare l’uva calabrese cotta appena nelle foglie di alloro che costituisce una deliziosa ghiottoneria; si sceglieranno i vini locali che sono caldi e corposi; alcuni sono famosi come un rosso di Guardavalle che ricorda l’Aleatico di Roma; i vini bianchi che segnano il passaggio fra quelli dei castelli romani e quelli di Sicilia. Quasi dovunque l’acqua è eccellente; vi sono anche acque minerali.
I pericoli di sempre
Non vi sono più briganti. Con un po’ di avvedutezza si possono trovare alberghi decenti. Un ultimo pericolo, più spaventoso degli altri, rimane ancora, ma a quello nessuno pensa: da secoli, a intervalli indefiniti e indefinibili, il suolo trema sotto la spinta di forze sotterranee misteriose, la terra si agita e ondeggia come se stesse per liquefarsi. Poco lontano, in Campania e in Sicilia, dei vulcani sputano fuoco, lava e ceneri incandescenti, e il mare si unisce ai movimenti delle cose con la furia di un gigante in collera.
Il tetto sotto il quale noi dormiamo forse cadrà sulla nostra testa; l’automobile con la quale viaggiamo, in una burrasca senza nome e in un fracasso infernale, sarà forse inghiottita da un crepaccio che si aprirà improvvisamente sulla sua strada; ma nessuno ci pensa. Qui non ci sono «quaccheri».
E tuttavia, ad ogni passo, le catastrofi del passato sono eloquenti per i nostri occhi. Sono le baracche di legno dove hanno trovato rifugio i sopravvissuti del terremoto del 1908; sono le nuove costruzioni che vengono erette con mille precauzioni, in cemento armato e calcestruzzo, le tegole nuove, fin troppo rosse, che stanno ad indicare la costruzione molto recente; sono ancora, in diversi posti, case in rovina, senza tetto e senza finestre, con muri diroccati, traballanti e pieni di fenditure come quelli che ho visto durante la guerra in alcuni paesi bombardati.
Ma nel segreto di domani c’è forse un nuovo sussulto di questa prodiga terra. Nessuno ci pensa. Nessuno vuole pensarci. Tutta una regione vicina ha tremato nel luglio del 1930.
Eppure i racconti di precedenti cataclismi sono agghiaccianti d’orrore. Vi sono ancora delle persone che possono raccontare qualcosa del terremoto del 1908 che devastò Messina e i suoi dintorni. E gli storici riferiscono dettagli atroci del terremoto del 1638 a Monteleone. Non conosco nulla di più spaventoso della storia di una ragazza sepolta sotto le macerie con un bimbo tra le braccia e liberata dopo parecchi giorni: il fanciullo era morto e già in decomposizione. La ragazza restò per tutta la vita inebetita e stupida e piangeva alla vista di un bambino: aveva perso la ragione nella tragica avventura…
L’automobile
Questa salverà la Calabria
Poiché non vi sono più briganti, vi sono alberghi confortevoli, la paura del terremoto non spaventa più che a Pompei o in Giappone i distratti mortali, non vi è più alcuna ragione perché il bel paese di Calabria non diventi una mèta turistica. Io credo che sarà soprattutto l’automobile ad operare questa trasformazione. È vero che esistono già alcune ferrovie, completate da un sistema di trasporto comune in autobus, ma soltanto l’auto permette l’esplorazione rapida e confortevole. E poi la rete stradale è notevole, non tanto in quantità (si va completando giorno per giorno), quanto in qualità.
Se si pensa che, in questa regione caratterizzata dalla presenza costante di montagne, il tracciato stradale esige tagli nella roccia, vere fortificazioni sui due lati, sia verso l’alto che verso il basso, e ponti innumerevoli su valloni dove scorrono acque spesso torrenziali, si capirà che un solo chilometro di questo tipo di strada può costare più di un chilometro di ferrovia in pianura. Le strade esigono poi una sorveglianza permanente e una manutenzione continua. Salgono, scendono in tornanti vertiginosi; le curve a esse, a gomito, a spirale, richiedono un’attenzione costante e suscita meraviglia vedere i conducenti calabresi, che vi sono abituati, circolare con abilità ed audacia.
Ciò che uno straniero può biasimare in queste strade così ben costruite, è soltanto l’insufficienza della segnaletica. Alcuni cartelli stanno ad indicare talvolta il nome di un torrente, ma sono molto rari agli incroci e, siccome vi sono pochi passanti a cui domandare la direzione giusta per la città da raggiungere, è prudente avere un conducente calabrese che conosca bene gli itinerari. Fa meraviglia ancora notare la cortesia con la quale gli utenti della strada danno la precedenza all’auto, spostandosi al primo suono di clacson – si direbbe che le bestie da tiro lo facciano istintivamente – e spegnendo i fari durante l’oscurità della sera.
2.
Scenario
I punti d’osservazione
La Calabria è una regione essenzialmente montagnosa: la pianura è un’eccezione. Questo significa che dall’alto delle vette si gode facilmente di quei punti di osservazione – bella vista – che le guide indicano con un asterisco. Ma sono talmente numerosi che sarebbe vano enumerarli tutti; bisogna limitarsi a segnalarne qualcuno: panorama terrestre e veduta sul mare. Tutti sono condizionati ovviamente dalla stagione e dall’ora: i tramonti sono ammirevoli. Il mare violetto, i monti neri su un cielo di fuoco. E le notti sono ancora più belle dei crepuscoli. Ci si sente in mezzo ad un’immensità azzurra, luminosa, infinita. I lineamenti delle cose si cancellano nell’oscurità; la Sicilia non è più che una massa scura enorme con in basso le luci di Messina che sono come polvere di diamanti su velluto nero. Ma a che serve cercare di descrivere queste suggestioni!
Con un bel sole nuovo fiammante, andiamo da Reggio al promontorio Sant’Elia. Si passa da Scilla, temuto dai naviganti (Scilla e Cariddi) con la sua antica pittoresca fortezza appartenuta ai principi Ruffo, oggi utilizzata per la segnalazione marittima, e sul mare si vedono delle barche con un uomo appollaiato sulla sommità dell’albero maestro. Sono pescatori del pescespada. È una pesca curiosa: il pescatore lancia l’arpione soltanto dopo i suggerimenti di un complice che, sistemato sulle falde di una collina, sembra vedere meglio di quelli che stanno sulla barca le evoluzioni del pesce nella trasparenza dell’acqua. Segni convenzionali, con l’aiuto di una bandierina, indicano così il bersaglio. La preda di questa strana caccia costituisce un piatto squisito.
Sant’Elia è un capo che si inserisce quasi a picco nel mare a seicento metri d’altezza. Alla sommità vi è una cappella, dove si celebra ancora la messa. Non si sa bene se il posto sia consacrato al profeta Elia, a un santo cattolico oppure a Helios. Gli studiosi parlano di un Sant’Elia lo Speleota che visse là in una grotta. I pochi muri hanno come unico ornamento una enorme campana, probabilmente resto di un campanile crollato per qualche scossa di terremoto, e tre croci nude che si stagliano nell’azzurro. In una di quelle rocce vi è un buco che sembra l’impronta di un piede. Segno, assicurano, dell’ultima resistenza del diavolo che venne a tentare Sant’Elia e fu da questi precipitato in mare. Sembra che il santo abbia fatto e faccia ancora miracoli; in ogni caso, il miracolo evidente del luogo è il meraviglioso paesaggio che si offre al vostro sguardo. Sulla terra, da una parte, il castello di Scilla e Bagnara ...

Table of contents

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Saverio Napolitano
  6. Hélène Tuzet In Calabria
  7. Jules Destrée Impressioni di viaggio. La Calabria
  8. Simboli
  9. 1. Un paese poco conosciuto
  10. 2. Scenario
  11. 3. Le città e le opere d’arte
  12. 4. La crescita attuale
  13. Note