Parte terza
I problemi epistemologici della storia
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Il concetto di individualitĂ nella storia
9.1 I dati ultimi della storia
La ricerca umana della conoscenza non può continuare allâinfinito. Inevitabilmente, presto o tardi, raggiungerĂ un punto oltre al quale non può andare. Si troverĂ allora di fronte a un dato ultimo, un dato che la ragione umana non può far risalire ad altri dati. Nel corso dello sviluppo della conoscenza la scienza è riuscita a far risalire ad altri dati cose ed eventi che in precedenza erano stati considerati come dati ultimi. Possiamo aspettarci che questo accadrĂ anche in futuro. Ma resterĂ sempre qualcosa che per la mente umana sarĂ un dato ultimo, non analizzabile e non riducibile a nientâaltro. La ragione umana non può neppure concepire un tipo di conoscenza che non incontri un tale ostacolo insormontabile. Per lâuomo non esiste alcuna onniscienza.
Nello studiare tali dati ultimi la storia fa riferimento allâindividualitĂ . Le caratteristiche dei singoli uomini, le loro idee ed i loro giudizi di valore, come pure le loro azioni guidate da queste idee e da questi giudizi, non possono essere fatte risalire a qualcosa di cui esse sarebbero i derivati. Lâunica risposta alla domanda sul perchĂŠ Federico II invase la Slesia è: perchĂŠ era Federico II. Ă consueto, anche se non molto opportuno, chiamare razionale il processo mentale per mezzo del quale un dato è fatto risalire ad altri. Un dato ultimo è allora chiamato irrazionale. Non si può immaginare alcuna ricerca storica che non incontri alla fine tali fatti irrazionali.
Le filosofie della storia sostengono di evitare ogni riferimento allâindividualitĂ e allâirrazionalitĂ . Esse affermano di fornire unâinterpretazione completa e approfondita di tutti gli eventi storici. In realtĂ ciò che fanno è relegare i dati ultimi a due punti del loro schema: al suo presunto punto di partenza e alla sua presunta fine. Esse suppongono che esista allâinizio della storia una forza non analizzabile e non riducibile a nientâaltro, a esempio il Geist nel sistema di Hegel o le forze produttive materiali in quello di Marx. E suppongono inoltre che questo motore primo della storia persegua un dato fine, anchâesso non analizzabile e non riducibile a nientâaltro, a esempio lo Stato prussiano nel periodo intorno al 1825 o il socialismo. Qualunque cosa si possa pensare dei vari sistemi di filosofia della storia, è evidente che essi non eliminano il riferimento allâindividualitĂ e allâirrazionalitĂ . Lo spostano semplicemente a un altro punto della loro interpretazione.
Il materialismo vuole buttare completamente a mare tutta la storia. Tutte le idee e tutte le azioni dovrebbero essere spiegate come il risultato inevitabile di determinati processi fisiologici. Ma ciò non permetterebbe di rifiutare ogni riferimento allâirrazionalitĂ . Come la storia, le scienze naturali si trovano alla fine di fronte ad alcuni dati che sfidano ogni ulteriore riduzione ad altri dati, vale a dire ad alcuni dati ultimi.
9.2 Il ruolo dellâindividuo nella storia
Nel contesto di una filosofia della storia lâunico riferimento possibile allâindividualità è quello del primo motore e del suo disegno che determina il corso che devono prendere gli eventi. Tutti i singoli uomini sono soltanto strumenti nelle mani del destino ineluttabile. Qualunque cosa facciano, il risultato delle loro azioni deve inevitabilmente accordarsi al disegno prestabilito della Provvidenza.
Cosa sarebbe avvenuto se il luogotenente Napoleone Bonaparte fosse stato ucciso nellâassedio di Tolone? Friedrich Engels conosceva la risposta: âUn altro avrebbe preso il suo postoâ. Infatti âsi è sempre trovato lâuomo non appena diventava necessarioâ. Necessario per chi e per quale scopo? Ovviamente per lâinstaurazione, in una data successiva, del socialismo da parte delle forze produttive materiali. Sembra che queste forze abbiano sempre un sostituto a portata di mano, proprio come un direttore dâorchestra prudente dispone di un sostituto pronto a cantare la parte del tenore nel caso in cui il protagonista prenda il raffreddore. Se Shakespeare fosse morto nellâinfanzia, un altro uomo avrebbe scritto lâAmleto e i Sonetti. Ma questo sostituto, chiedono alcune persone, come ha passato il suo tempo dal momento che la buona salute di Shakespeare gli ha risparmiato questo lavoraccio?
La questione è stata intenzionalmente offuscata dai sostenitori della necessitĂ storica che lâhanno confusa con altri problemi.
Guardando al passato lo storico deve dire che, date tutte le circostanze allora esistenti, tutto ciò che è accaduto era inevitabile. La situazione era in ogni istante lâinevitabile conseguenza della situazione immediatamente precedente. Ma fra gli elementi che determinano ogni data situazione storica esistono fattori che non possono essere fatti risalire piĂš indietro del punto in cui lo storico si trova di fronte alle idee e alle azioni degli individui.
Quando lo storico dice che la Rivoluzione Francese del 1789 non si sarebbe verificata se alcune cose fossero state diverse, egli sta semplicemente tentando di determinare le forze che provocarono lâevento e lâinfluenza di ognuna di queste forze. Taine non si abbandonò a sterili speculazioni su ciò che sarebbe accaduto se non fossero state sviluppate le teorie che egli chiamò lâesprit revolutionnaire e lâesprit classique. Egli voleva attribuire a ognuna di esse la sua importanza nella catena di eventi che provocarono lo scoppio e lo svolgimento della Rivoluzione.
Una seconda confusione riguarda i limiti attribuiti allâinfluenza dei grandi uomini. Versioni semplificate della storia, adeguate alle capacitĂ di persone lente di comprendonio, hanno presentato la storia come il prodotto delle imprese dei grandi uomini. Gli antichi Hohenzollern avrebbero creato la Prussia, Bismarck avrebbe creato il Secondo Reich, Guglielmo II lo avrebbe mandato in rovina, Hitler avrebbe creato e distrutto il Terzo Reich. Nessuno storico serio ha mai condiviso una tale assurditĂ . Nessuno ha mai negato che il ruolo svolto dalle grandi figure della storia fosse molto piĂš modesto. Ogni uomo, grande o piccolo, vive e agisce nel quadro delle condizioni storiche della sua epoca. Queste condizioni sono determinate da tutte le idee e da tutti gli eventi delle epoche precedenti e della sua epoca. Il Titano può sconfiggere ognuno dei suoi contemporanei; non esiste alcuna possibilitĂ di vittoria per le forze unite dei nani. Uno statista può avere successo soltanto nella misura in cui i suoi piani siano conformi al clima dellâopinione pubblica del suo tempo, vale a dire alle idee che hanno fatto presa sulle menti dei suoi contemporanei. Può diventare un leader solo se è disposto a guidare le persone lungo le strade che desiderano percorrere e verso uno scopo che desiderano raggiungere. Uno statista che si inimichi lâopinione pubblica è condannato al fallimento. Indipendentemente dal fatto che sia un autocrate o un eletto dal popolo, il politico deve fornire alle persone ciò che esse vogliono ottenere, come un uomo dâaffari deve offrire ai clienti le cose che vogliono acquistare.
Ă diverso con i pionieri che inaugurano nuovi modi di pensare o di fare arte o letteratura. Lâinnovatore che disdegna gli applausi che potrebbe ottenere dalla folla dei suoi contemporanei non dipende dalle idee della sua epoca. Ă libero di dire con il Marchese Posa di Schiller: âQuesto secolo non è maturo per le mie idee; io vivo come cittadino dei secoli a venireâ. Lâopera del genio è anchâessa inclusa nella sequenza di eventi storici, è condizionata dai risultati delle generazioni precedenti ed è soltanto un capitolo nellâevoluzione delle idee. Ma aggiunge qualcosa di nuovo e di sconosciuto al tesoro di idee esistenti e può in questo senso essere considerata creativa. La vera storia dellâumanità è la storia delle idee. Sono le idee che distinguono lâuomo da tutti gli altri esseri viventi. Esse generano le istituzioni sociali, i cambiamenti politici, i metodi tecnologici di produzione e quelle che vengono chiamate le condizioni economiche. E nella ricerca della loro origine, arriviamo inevitabilmente a un punto in cui tutto ciò che può essere affermato è che un uomo ha avuto unâidea. Il fatto che il nome di questâuomo sia conosciuto o meno è di importanza secondaria.
Questo è il significato che la storia attribuisce alla nozione di individualitĂ . Le idee sono i dati ultimi della ricerca storica. Tutto ciò che può essere detto su di esse è che sono state formulate da qualcuno. Lo storico può mostrare come una nuova idea si inserisca nel quadro delle idee sviluppate dalle generazioni precedenti e in quale misura possa essere considerata una continuazione di queste idee e il loro seguito logico. Le nuove idee non nascono in un vuoto ideologico. Sono determinate dalla struttura ideologica preesistente; sono la risposta offerta dalla mente di un uomo alle idee sviluppate dai suoi predecessori. Ma è unâipotesi arbitraria supporre che la loro nascita fosse inevitabile e che se A non le avesse generate un qualche B o C lo avrebbero fatto.
In questo senso nella storia gioca un ruolo ciò che, a causa dei limiti della nostra conoscenza, chiamiamo sorte. Se Aristotele fosse morto nella sua infanzia, la storia intellettuale ne sarebbe stata influenzata. Se Bismarck fosse morto nel 1860, il mondo avrebbe seguito un altro corso. In quale misura e con quali conseguenze nessuno può saperlo.
9.3 La chimera della mente collettiva
A causa del loro desiderio di eliminare dalla storia ogni riferimento a singoli individui ed a singoli eventi, gli autori collettivisti ricorsero a una costruzione chimerica: la mente collettiva, o mente sociale.
Alla fine del diciottesimo secolo e allâinizio del diciannovesimo, i filologi tedeschi iniziarono a studiare la poesia medioevale tedesca, che da molto tempo era caduta nel dimenticatoio. La maggior parte dei poemi epici che essi ripubblicarono sulla base di antichi manoscritti erano imitazioni di opere francesi. Il nome dei loro autori â per la maggior parte cavalieri che facevano la guerra al servizio di duchi o conti â era conosciuto. Questi poemi epici non avevano nulla di particolarmente glorioso. Ma ce nâerano due di natura completamente differente, opere autenticamente originali e di alto valore letterario, che superavano di gran lunga i tradizionali prodotti dei cortigiani: la canzone dei Nibelunghi e la canzone di Gudrun. La prima è uno dei grandi libri della letteratura mondiale e indubbiamente il maggiore poema epico tedesco prima dellâepoca di Goethe e Schiller. I nomi degli autori di questi capolavori non sono stati tramandati ai posteri. Questi poeti appartenevano forse alla classe dei menestrelli girovaghi (Spielleute), che non soltanto furono snobbati dalla nobiltĂ ma dovettero anche subire vessazioni giuridiche umilianti. Forse erano eretici o ebrei e il clero non vedeva lâora che le persone li dimenticassero. In ogni caso i filologi chiamarono queste due opere âpoemi epici popolariâ (Volksepen). Questo termine suggerĂŹ alle menti ingenue lâidea che non fossero stati scritti da singoli autori ma dal âpopoloâ. La stessa mitica paternitĂ fu attribuita alle canzoni popolari (Volkslieder) i cui autori erano sconosciuti.
Di nuovo in Germania, negli anni successivi alle guerre napoleoniche, ci si mise a discutere del problema della completa codificazione legislativa. In questa controversia la scuola storica del diritto, guidata da Savigny, sostenne che nessuna epoca e nessuna persona aveva la competenza per redigere la legislazione. Come i Volksepen e i Volkslieder, le leggi di una nazione, dicevano i membri di questa scuola, sono unâemanazione spontanea del Volksgeist, dello spirito della nazione e del suo carattere peculiare. Le vere leggi non sono scritte arbitrariamente dai legislatori: nascono e si sviluppano in modo organico dal Volksgeist.
Questa teoria del Volksgeist fu inventata in Germania come reazione cosciente alle idee del diritto naturale e allo spirito âantitedescoâ della rivoluzione francese. Ma fu sviluppata ulteriormente ed elevata al rango di teoria sociale completa dai positivisti francesi, molti dei quali non soltanto sostenevano i principi dei leader rivoluzionari piĂš radicali, ma miravano anche a portare a termine la ârivoluzione incompiutaâ tramite un sovvertimento violento del modo di produzione capitalistico. Emile Durkheim e la sua scuola studiavano la mente collettiva come se fosse un fenomeno reale, un entitĂ definita, che pensa e che agisce. Secondo loro, il soggetto della storia non erano gli individui ma il gruppo.
Come correttivo di queste illusioni, deve essere sottolineata la veritĂ lapalissiana che solo gli individui pensano e agiscono. Nello studiare i pensieri e le azioni degli individui lo storico stabilisce il fatto che nel pensare e nellâagire alcuni individui si influenzano reciprocamente molto piĂš di quanto non influenzino e non siano influenzati da altri individui. Osserva che la cooperazione e la divisione del lavoro esistono tra alcuni individui, pur esistendo in misura inferiore, o non esistendo affatto, tra altri. Utilizza il termine gruppo per indicare un insieme di individui che cooperano insieme in maniera piĂš stretta. La distinzione in gruppi non è tuttavia obbligatoria. Il gruppo non è unâentitĂ ontologica come le specie biologiche. I vari concetti di gruppo si intersecano reciprocamente. Lo storico sceglie, secondo il piano particolare dei suoi studi, le caratteristiche e gli attributi che determinano la classificazione degli individui in vari gruppi. Il raggruppamento può riunire persone che parlano la stessa lingua, che professano la stessa religione, che svolgono lo stesso lavoro o che discendono dagli stessi antenati. Il concetto di gruppo di Gobineau era diverso da quello di Marx. In breve, il concetto di gruppo è un idealtipo e come tale è derivato dal modo in cui lo storico interpreta le forze e gli eventi storici.
Solo gli individui pensano e agiscono. Ogni singola idea e ogni singola azione di un individuo sono influenzate dalle idee e dalle azioni dei suoi simili. Queste influenze sono variegate. Le idee e il comportamento di un singolo americano non possono essere interpretati se lo si inserisce in un solo gruppo. Egli non è soltanto un americano. Ă anche membro di un determinato gruppo religioso o è agnostico o ateo; ha un lavoro, appartiene a un partito politico, subisce lâinfluenza di tradizioni ereditate dai suoi antenati e trasmesse a lui dalla sua educazione, dalla sua famiglia, dalla scuola o dal quartiere in cui vive, dalle idee prevalenti nella sua cittĂ , nel suo stato o nel suo paese. Parlare della mente americana è unâenorme semplificazione. Ogni americano ha la sua testa. Ă assurdo attribuire ogni successo e virtĂš, od ogni misfatto e difetto dei singoli americani allâAmerica in quanto tale.
La maggior parte delle persone sono uomini comuni. Non hanno idee proprie: sono soltanto ricettive delle idee di altri. Non creano nuove idee: ripetono ciò che hanno ascoltato e imitano ciò che hanno visto. Se il mondo fosse popolato soltanto da persone come queste non esisterebbe alcun cambiamento e alcuna storia. Ciò che produce il cambiamento sono le nuove idee e le azioni guidate da queste idee. Ciò che distingue un gruppo da un altro è lâeffetto di tali innovazioni. Queste innovazioni non sono opera di una mente collettiva: sono sempre opera di individui. Ciò che rende il popolo americano diverso da ogni altro popolo è lâeffetto congiunto prodotto dalle idee e dalle azioni di moltissimi americani fuori dal comune.
Conosciamo i nomi degli uomini che hanno inventato e perfezionato passo dopo passo lâautomobile. Uno storico può scrivere una storia dettagliata dello sviluppo dellâautomobile. Non conosciamo invece i nomi degli uomini che, agli inizi della civiltĂ , fecero le maggiori invenzioni â a esempio come accendere un fuoco. Ma questa ignoranza non ci permette di attribuire questa fondamentale invenzione a una mente collettiva. Ă sempre un individuo che inizia un nuovo metodo di fare le cose e in seguito altre persone imitano il suo esempio. Le abitudini e le mode sono sempre state inaugurate da individui e si sono diffuse attraverso lâimitazione delle altre persone.
Mentre la scuola della mente collettiva tentava di eliminare lâindividuo attribuendo unâattivitĂ a un mitico Volksgeist, i marxisti intendevano da un lato sminuire il contributo dellâindividuo e dallâaltro attribuire le innovazioni allâuomo comune. Marx osservò cosĂŹ che una storia critica della tecnologia dimostrerebbe che nessuna invenzione del diciottesimo secolo era opera di un singolo individuo.
Cosa prova tutto ciò? Nessuno nega che il progresso tecnologico sia un processo graduale, una catena di passi successivi compiuti da lunghe file di uomini ognuno dei quali aggiunge qualcosa ai risultati dei suoi predecessori. La storia di ogni invenzione tecnologica, quando viene raccontata interamente, rimanda alle invenzioni piĂš primitive fatte dagli abitanti delle caverne agli inizi dellâumanitĂ . Scegliere un qualunque punto di partenza successivo è una restrizione arbitraria dellâintero racconto. Si potrebbe iniziare una storia della telegrafia senza fili con Maxwell e Hertz, ma si potreb...