PARTE PRIMA
Economie mafiose
RAFFAELE CANTONE E FRANCESCO FORGIONE
Corruzione, giustizia, società. Risposte penali e riforma morale
Il dialogo tra Francesco Forgione e il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, si è svolto all’inizio dell’estate. I suoi contenuti, per scelta degli autori, tralasciano le polemiche legate alla contingenza politica e al dibattito che si è sviluppato dentro e fuori dalle aule parlamentari attorno all’approvazione del Codice antimafia
FORGIONE – Negli ultimi anni, tra gli studiosi, sui media e nello stesso dibattito pubblico sulla corruzione sviluppatosi attorno al venticinquesimo «anniversario» di Mani pulite, si è imposto il concetto di «natura sistemica» del fenomeno. Mi pare che sia anche il centro della riflessione del suo ultimo libro, La corruzione spuzza1. È un’analisi che mi trova abbastanza d’accordo, anche se credo vada articolata dentro una ricostruzione di carattere storico della formazione ed evoluzione delle classi dirigenti del Paese, almeno dalla nascita della Repubblica ad oggi. Così come molti di noi da anni hanno sviluppato una riflessione sul carattere strutturale della presenza delle mafie già a partire dalla nascita dello Stato unitario, persino in continuità almeno con l’ultima fase dei governi borbonici.
Tutti e due gli aspetti ci interrogano sulla Costituzione materiale e la natura reale delle classi dirigenti, del potere e della loro doppiezza nella vita pubblica e democratica. Anche se, proprio a partire da questa analisi – senza enfatizzarla e provando a tenerla sempre ancorata alla realtà – ci si pone subito di fronte a una grande contraddizione. Se la natura di questi fenomeni è strutturale e la corruzione, come le mafie, ha una dimensione sistemica, com’è possibile pensare e praticare una coerente forma di contrasto in grado di sconfiggerla, anziché porsi, di volta in volta, solo l’obiettivo della riduzione del danno? Forse senza una risposta a questa prima questione il tema della lotta alla corruzione non conquisterà una sua centralità nella vita pubblica e rimarrà o uno strumento di agitazione dei nuovi populismi per alimentare l’antipolitica o un semplice terreno di scontro e compromessi sui temi della giustizia.
CANTONE – Il primo problema è capire che cosa s’intende per corruzione sistemica e che cosa s’intende per corruzione strutturale. Io non credo che ci sia una corruzione sistemica generalizzabile all’intero «sistema-Paese». Provando a fare un parallelo, se le mafie hanno avuto un ruolo predominante in alcuni ambiti soprattutto territoriali, la corruzione è oggi particolarmente presente in ambiti in cui operano portatori di interessi economici, prevalentemente connessi alla gestione di risorse pubbliche. In alcuni di questi ambiti, in particolare, la corruzione si manifesta certamente come strutturale, cioè con una presenza ormai consolidata nel tempo. Questa dimensione, comunque limitata, non la rende quindi tale da compromettere l’intero «sistema-Paese».
Proprio partendo da questa considerazione, contesto l’affermazione che fanno molti, secondo cui la corruzione attuale sarebbe più grave di quella di Tangentopoli, perché essa all’epoca aveva davvero un carattere sistemico quasi generale, in quanto rappresentava uno dei consueti strumenti di approvvigionamento delle risorse economiche per i partiti. Accanto al finanziamento illegale classico, infatti, ve n’era un pezzo che, proprio attraverso i meccanismi della corruzione, operava uno scambio tra partiti e grandi gruppi imprenditoriali pubblici e privati.
Il diverso carattere dell’attuale corruzione mi induce ad affermare che, per certi versi, essa è certamente molto pericolosa, perché grazie alla sua forte presenza in certi ambiti è capace di permeare alcuni pezzi di singoli partiti e realtà politiche molto deboli, che non hanno più le strutture organizzate e di massa tipiche del secolo passato. È certamente pericolosa, ma anche più facilmente aggredibile, perché questo tipo di corruzione non è più la componente regolatrice di un intero modello di relazioni politiche.
Dietro la corruzione oggi non ci sono, in conclusione, quelle motivazioni considerate, sia pure ipocritamente, alte o nobili come potevano essere quelle dei partiti di massa della Prima Repubblica, ma soltanto interessi di singoli gruppi di potere o realtà economiche più o meno strutturate, alternative e persino antagoniste alla regolare vita delle istituzioni.
FORGIONE – Nel suo libro afferma che «corruttori e corrotti non sono più parti contrapposte in un rapporto negoziale, ma protagonisti di un unico progetto che non si concentra nell’atto in sé della corruzione, quanto nella costruzione di un programma dove si perde il confine tra lecito e illecito…».
CANTONE – È così, ma proprio per questo occorre comprendere in quale contesto agiscono. Come dicevo, non parliamo più del sistema dei partiti, come al tempo di Tangentopoli, ma di singole realtà, più piccole, come possono essere le varie «cricche» scoperte in queste anni nei contesti più disparati: dalla protezione civile all’Anas, alle regioni, ad alcuni comuni, alle aziende sanitarie. Si tratta sempre di centri di potere importanti e pertanto non vanno sottovalutati, ma che non fanno rete e non arrivano quindi a interessare il sistema nel suo complesso. Se mi permette il bisticcio di parole, credo che la corruzione oggi sia strutturale e sistemica ma all’interno di sottosistemi. Questo la distingue nettamente dal passato, anche perché in questi sottosistemi, i corrotti, e cioè coloro che rappresentano le amministrazioni – quelli che dal punto di vista del diritto penale definiamo i pubblici ufficiali – non rappresentano nemmeno parte contrapposta dei corruttori, cioè di coloro che pagano la «mazzetta» secondo lo schema classico della corruzione, ma partecipano alla stessa organizzazione criminale e hanno gli stessi obiettivi dei corruttori
FORGIONE – A questo punto mi faccia inserire un altro elemento: mi pare che ormai il tema della corruzione abbia una valenza abbastanza globale e io non vorrei astrarre l’Italia da questa dimensione, anche se noi abbiamo peculiarità particolari, non ultima la presenza storica delle organizzazioni mafiose.
Quando nel libro lei scrive che nel programma corruttivo dei diversi attori si mischiano lecito e illecito, stimola una riflessione su com’è cambiato il rapporto tra la corruzione e il modello economico e sociale. E questo ripropone il tema della globalizzazione e del lungo ventennio di politiche liberiste che l’ha accompagnata. Lei lo affronta parlando della debolezza della politica rispetto all’economia, con lo spostamento del baricentro decisionale dalle istituzioni legittimate dal consenso e dal voto popolare alle sedi extraistituzionali. Ma questo è il frutto dell’ideologia fondata sulla centralità del primato del mercato e delle imprese che per decenni ha ispirato tutte le scelte politiche, a destra come in gran parte della sinistra. Allora le chiedo se questo processo ha modificato o no il rapporto tra la corruzione e l’economia e, di conseguenza, tra la corruzione e la politica.
La politica è diventata più debole perché il primato assoluto del mercato si è imposto sulla sovranità delle istituzioni.
CANTONE – Risponderei affermativamente, premettendo però che ragionando per massimi sistemi si rischiano eccessi di generalizzazioni rispetto a realtà molto più complesse.
La corruzione oggi è certamente uno strumento utilizzato dal mercato e nel mercato e si inserisce in una logica, sia pure distorta, di concorrenza. Prima di Tangentopoli, quando nel nostro Paese la corruzione era in gran parte gestita al livello dei partiti, se ne faceva un utilizzo al di fuori di una logica realmente competitiva; vi erano spesso accordi tra gli stessi partiti per spartire tangenti e indicare quali imprese dovessero acquisire le commesse. Vi era una sorta di cupola che eliminava a monte la concorrenza, quantomeno in tutti i casi in cui erano in gioco commesse e appalti di particolare rilevanza. Oggi, invece, con la crisi dei partiti come organizzazioni molto strutturate quella cupola non sembra esserci più; sono le singole realtà imprenditoriali che mettono in campo, accanto al proprio know how industriale, anche la capacità di intrecciare relazioni illecite e criminali con pezzi di burocrazia e di politica, con coloro cioè che decidono l’allocazione delle risorse pubbliche; queste relazioni possono diventare quel di più che consente alle singole imprese di imporsi e di ottenere le commesse che contano.
Queste caratteristiche rendono la «nuova» corruzione certamente molto pericolosa, perché finisce per mettere in discussione le regole, anche non scritte, che dovrebbero presidiare il mercato. Muovendosi in una logica concorrenziale quel sistema di relazioni illecite gestito dalle imprese finisce per favorire solo alcuni a danni di altri e a stimolare reazioni da parte degli esclusi, sia che si tratti di coloro che (e per fortuna esistono ancora!) vogliono caparbiamente muoversi nel rispetto delle regole, sia di coloro che non sono riusciti a mettere in campo le analoghe relazioni. Il sistema generale non è dunque affatto permeato e mantiene quel seppur minimo quantitativo di anticorpi che, intelligentemente utilizzato, può far sperare davvero di contrastare la corruzione.
FORGIONE – Questa riflessione pone un’altra questione: in questi anni c’è stata una deformazione voluta, persino studiata a tavolino, nella costruzione della percezione del tipo di corruzione. Sia dai media che nel dibattito pubblico è stata quasi completamente rimossa la centralità dell’azione «criminogena» del mondo dell’economia, delle imprese e del mercato, mentre l’attenzione e la denuncia è stata tutta indirizzata contro la politica e il suo rapporto distorto con la pubblica amministrazione.
CANTONE – Credo sia uno dei principali problemi: la percezione è uno strumento che fa sentire l’esistenza del fenomeno ma non fa comprendere davvero come funziona. Ad oggi, purtroppo, non esistono strumenti «scientifici» di misurazione del livello di diffusione della corruzione, e ciò rappresenta uno dei limiti principali nell’approccio al problema, perché l’assenza di criteri scientifici attendibili impedisce non solo la stima, ma anche l’effettiva diagnosi e di conseguenza l’individuazione di tutti i necessari strumenti di cura. La percezione della corruzione, però, per quanto criterio fin troppo semplicistico ed oggettivamente imperfetto, finisce per essere un indicatore molto importante anche sotto altri aspetti, perché misura la credibilità della quale godono i diversi attori in campo e in particolare le istituzioni pubbliche e le imprese.
FORGIONE – Però determina e condiziona i flussi di opinione pubblica e ne indirizza l’indignazione…
CANTONE – È certamente vero, ma non credo che facciamo grandi passi avanti se ci limitiamo solo a contestare il carattere non probante della percezione e a non capire che essa è comunque il sintomo anche di una pericolosa patologia e non solo considerarla una conseguenza dell’influenza malevola dell’informazione e dei media.
Il cittadino che percepisce un alto livello di corruzione nel suo Paese, anche se non ha mai visto né direttamente né indirettamente un caso specifico di pagamento di una mazzetta, ha evidentemente una profonda sfiducia e disistima nei confronti delle proprie istituzioni di riferimento. E questa profonda sfiducia deriva da una serie di cose che la alimentano e che l’uomo qualunque spesso vede con i propri occhi e che non può essere considerato solo il frutto di una cattiva propaganda: la sanità pubblica che spesso funziona male e spreca risorse; la difficoltà, fuori dai circuiti delle relazioni familistiche o illecite, di trovare lavoro e la conseguente fuga dei cervelli; una scarsa trasparenza nell’uso delle risorse e l’emergere continuo ed oggettivo di abusi dell’uso delle risorse medesime. Sono solo alcuni esempi che contribuiscono certamente a ingenerare la sfiducia verso le istituzioni e a portare a pensare a molti – non necessariamente ai soli «ingenui» orientati dai media – che sono i sistemi relazionali anche illeciti gli unici che consentono di ottenere ciò che dovrebbe essere garantito come diritto.
D’accordo, quindi, nel dire che la percezione non va considerata realtà, ma è troppo semplicistico e comodo liquidarla come insignificante o irrilevante.
È evidente quindi che il recupero di fiducia dei cittadini nelle istituzioni è determinante per invertire la percezione e per chiedere agli stessi cittadini di fare la loro parte nel contrastare fenomeni come quelli corruttivi.
FORGIONE – Condivido la distinzione tra la dimensione della percezione e la realtà. Per questo forse è utile comprendere i meccanismi. Per esempio, credo che l’inchiesta conosciuta come «mafia-capitale», al di là della sentenza del Tribunale di Roma, ha fatto emergere un salto di qualità del fenomeno e, in un certo senso, ha reso espliciti alcuni elementi di valutazione che lei ha più volte espresso.
Nel libro si legge: «Nella nuova fisionomia dei rapporti illeciti tra imprenditori e amministratori non ci sono burocrati, carnefici e imprenditori vittime ma parte di un unico disegno, spesso sodali di una vera e propria associazione criminale». Dall’inchiesta della Procura romana è emerso come nel sistema messo in atto dall’organizzazione di Carminati e Buzzi non si compravano più solo le attività o il singolo favore che il burocrate o il politico poteva fornire, ma si «comprava» direttamente la «funzione». Questa è una novità e se ci aggiungiamo l’altro elemento centrale nell’impostazione della Procura, e cioè l’applicazione del metodo mafioso al sistema corruttivo, ci troviamo davanti a una nuova frontiera sia della conoscenza che del contrasto al fenomeno. La sentenza di primo grado ha ritenuto provata l’esistenza di una organizzazione criminale ma ha escluso che e...