Jihad: le radici
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Jihad: le radici

Una analisi originale sulle causedel fondamentalismo islamicotra orgoglio e frustrazione Sulle tracce di una ipotesi illuminanteavanzata sei secoli fadallo storico arabo Ibn Khaldu

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Jihad: le radici

Una analisi originale sulle causedel fondamentalismo islamicotra orgoglio e frustrazione Sulle tracce di una ipotesi illuminanteavanzata sei secoli fadallo storico arabo Ibn Khaldu

About this book

Un geniale storico arabo, Ibn Khaldun, forniva nel XVI secolo una limpida spiegazione delle ragioni che hanno reso difficile alla civiltà musulmana competere economicamente con l'Occidente e che l'hanno condotta in una situazione rovinosa e frustrante. Questo libro di Pellicani riprende le tesi di Khaldun e propone un percorso originale per andare alle radici del fenomeno della Jihad, indica le "piste" che bisogna battere per comprendere la natura del dramma storico che si sta svolgendo sotto i nostri occhi e dal cui esito dipenderanno le forme che assumeranno le relazioni fra Noi e gli Altri. Con l'aiuto della teoria dell'aggressione culturale di Arnold J. Toynbee – quella stessa che Samuel Huntington ha reso famosa con la formula dello "scontro di civiltà"–, queste pagine portano in primo piano, con evidenza e chiarezza sorprendenti, la crisi di identità che ha colpito i popoli del Dar al-Islam a partire dal momento in cui hanno preso coscienza che il mondo era diventato "l'inferno dei fedeli e il paradiso degli infedeli". Il testo di Pellicani, scrive Giovanni Sartori nella prefazione, "a differenza dei molti e, anzi, troppi instant books scritti più che altro per essere venduti, arriva sempre a cogliere il fondo dei problemi".

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L’Islam e l’Occidente

La storia del mondo dal 1500 può essere concepita come una lotta fra il potere crescente dell’Occidente per opprimere il resto del mondo e gli sforzi ogni volta più disperati degli altri popoli per respingere gli Occidentali.
William H. Mc Neill
L’Islam rimane il nostro scudo nella grande mischia della lotta tra civiltà.
Abbasi Madani
1. Quando, nel 1979, l’ayatollah Khomeini, dopo aver costretto lo scià Muhammad Reza Pahlavi a prendere la via dell’esilio, proclamò la Repubblica islamica, il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt dichiarò: «Ora bisognerà cominciare a studiare il Corano».
Se avessero seguito il suo consiglio, oggi – dopo l’attentato terroristico di al-Qaida alle Twin Towers di New York – gli occidentali si troverebbero meno impreparati di fronte alla dichiarazione di guerra lanciata dallo sceicco Osama bin Laden74.
Certo, negli ultimi venti anni, molto è cresciuta la letteratura sul mondo islamico; ma non è cresciuta altrettanto la percezione della minaccia che il fondamentalismo islamico costituisce per la civiltà in cui e di cui viviamo poiché numerosi sono stati gli studiosi che, dominati dalla preoccupazione di non essere accusati di coltivare pregiudizi eurocentrici, si sono prodigati per fornire una immagine politicamente corretta – e rassicurante75 – della religione fondata da Maometto. Neanche quando Samuel Huntington diede alle stampe la sua monografia sullo scontro fra le civiltà76, la vigilanza su quello che stava bollendo nella «pentola islamica» si rafforzò. Non pochi «esperti» assunsero un atteggiamento di sufficienza nei confronti della tesi di Huntington, quasi che essa fosse il frutto di una spericolata improvvisazione o, addirittura, un irresponsabile programma guerrafondaio. Ci fu chi, con una arroganza pari solo alla sua ottusità, ritenne di poter definire The Clash of Civilizations una «specie di pastrocchio oracolare»77. E questo malgrado il fatto che la Rivoluzione iraniana avesse attivato una reazione a catena dalla quale era scaturito un impressionante numero di movimenti fondamentalisti78 determinati a purificare la Umma – la comunità dei credenti – ad abbattere i governi «apostati» e ad annientare il Grande Satana79.
Va subito precisato che l’insorgenza dei movimenti fondamentalisti non significa punto che l’Islam in quanto tale abbia dichiarato guerra all’Occidente.
Il fondamentalismo è una particolare interpretazione del Corano, la cui legittimità è contestata dagli stessi musulmani80. Sta di fatto che «la visione del mondo fondamentalista, cioè di quell’ideologia politica che divide il mondo in-groups dell’Islam e in-groups degli altri visti come nemici, associandovi modi diversi di concepire l’ordine politico, è ai nostri giorni la più diffusa in tutto l’universo islamico»81. Accade così che i jihadisti, pur essendo una esigua minoranza, costituiscono una temibile forza non solo perché sono determinati a usare i mezzi più spietati e subdoli per conseguire i propri scopi, ma anche perché esprimono l’intenso risentimento dei musulmani nei confronti dell’arrogante e imperialistico mondo occidentale, da cui si sentono come assediati. Il che, detto con il lessico di Arnold J. Toynbee, significa che i popoli del Dar al-Islam,pur avendo da tempo conquistato la loro indipendenza, continuano a percepirsi come il «proletariato esterno» della moderna civiltà industriale82. Ed è proprio da Toynbee – in particolare, dalla sua teoria della aggressione culturale – che bisogna partire, se si vuole andare al cuore dell’attuale dramma storico. Ma, prima di fare ciò, conviene fare chiarezza sulla visione del mondo contenuta nel Corano.
Il Messaggio profetico di Maometto – ultima e definitiva Rivelazione – si basa su una visione nettamente dicotomica e fortemente bellicista del mondo. Infatti, il Rasul Allah – l’inviato di Dio – non si limita a dividere il mondo in due territori – il Dar al-Islam e il Dar al-kufr, vale a dire la «Casa della Vera Religione» e la «Casa della miscredenza» – afferma a più riprese che fra questi due territori non ci può essere pace fino a quando l'Islam non avrò trionfato; fino a quando, cioè, il territorio della miscredenza non sarà stato conquistato dai «veri credenti». Talché il Dar al-kufr è anche il Dar al-harb,la «Casa della guerra»83. E si tratta di una guerra santa, di una guerra voluta da Dio. Come tale, essa è una «missione di verità» tesa a «distruggere la falsità»84 nel mondo intero, poiché – come recita un celebre Hadith – «Dio ha rimesso la Terra ai musulmani»85.
La guerra santa, dunque, contrariamente a quello che certi studiosi sembrano credere86, nel Corano è concepita come un dovere religioso, anche se è vero che gli ulama – i dottori della Legge Sacra – non l’hanno mai inclusa fra i «pilastri dell'Islam». E non si tratta solo di una guerra difensiva, bensì di una guerra offensiva, di una guerra imperialistica, che cesserà solo quando la «religione della verità» trionferà su tutto il pianeta Terra, poiché «il suo fine supremo è quello di costituire una sola comunità organizzata sotto una autorità unica, l'Islam della Umma islamiyya»87. Sicché, non può non destare sorpresa l’illustrazione del concetto di jihad fatta da Sergio Noja sulle colonne del «Corriere della Sera».
Noja, dopo aver precisato che con la parola jihad – che vuol dire «sforzo» – si indicano due cose assai diverse fra di loro – la «grande guerra» contro gli istinti deteriori dell’uomo e la «piccola guerra» in armi contro gli infedeli – cita alcuni versetti della sura della vacca dai quali si ricava che Maometto predicò una guerra difensiva accompagnata dalla raccomandazione di evitare gli eccessi88. Si dà il caso, però, che la sura del bottino non conferma punto l’interpretazione benevola di Noja89. Essa suona così: «Quando il tuo Signore disse, per rivelazione, agli angeli: io sarò con voi, rendete saldi quelli che credono, io getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono, e voi colpiteli sulle nuche (decapitateli) e recidete loro tutte le estremità delle dita. Questo dovranno soffrire, perché essi si sono opposti a Dio, e chiunque si oppone a Dio e al suo apostolo, sappia che Dio sarà violento nel punirlo. Questo è il vostro castigo, verrà detto loro, subitelo, perché per i miscredenti è destinato il tormento del fuoco»90. E nella sura del pentimento si ritorna a invocare lo sterminio degli idolatri: «Uccidete i politeisti, ovunque li troviate, prendeteli prigionieri, assediateli e opponetevi ad essi... Combatteteli dunque; Dio li punirà, per mano vostra»91. Chiaramente, il Dio di Maometto, a dispetto del fatto che nel Corano venga continuamente chiamato il Misericordioso (al-Rahman), non è meno spietato e vendicativo del Dio del Vecchio Testamento92, dal quale è ripreso di peso. E chiaramente altresì non si può dire – come pure è stato più volte detto, per evidenti e comprensibili ragioni politiche – che l’Islam è una religione della pace; al contrario, è una religione della guerra permanente, centrata sull’idea che i miscredenti devono essere posti di fronte all’alternativa: «Conversione o morte». Un’idea che – fortunatamente per le popolazioni assoggettate – gli arabi, sin dalle prime conquiste, misero da parte. Accadde così che essi, per calcolo politico, estesero lo status di dhimmi – previsto dal Corano solo per le «genti del Libro», vale a dire per gli ebrei e i cristiani – anche ai politeisti (hindu, buddisti eccetera) – purché, naturalmente, «pagassero la jizya alla mano con umiliazione»93. Vero è che, di tanto in tanto, gli ulama chiesero l’applicazione letterale del dettato coranico; ma la «ragione teologica» raramente prevalse sulla «ragione politica» – persino in India94, dove pure numerosi furono gli episodi di disfrenamento dell’odio teologico contro l’idolatria (distruzione dei templi, massacro degli hindu, odiose discriminazioni tese a umiliare gli «infedeli»)95. Insomma, nel complesso i conquistatori musulmani si attennero alla linea di condotta fissata in una lettera inviata dal governatore dell’Iraq, Hajjaji ibn Yusuf, al nipote Muhammad ibn Qasim – il quale, avendo conquistato il Sind, chiedeva istruzioni circa il modo con cui dovevano essere trattati gli idolatri. «Dal momento che gli Indiani si sono sottomessi e hanno pagato l’imposta – questa fu la risposta di Hajjaji96 – che cosa si può loro chiedere di più? Li abbiamo presi sotto la nostra protezione; ci è dunque impossibile privarli dei loro beni e delle loro vite. Che sia loro accordato il permesso di adorare i loro Dei. Nessuno deve essere molestato nella pratica della religione cui appartiene. Essi possono vivere secondo il loro costume»97.
Se il regime di tolleranza istituzionalizzato dagli arabi nei territori da essi conquistati98 fu dettato da ragioni squisitamente politiche – il loro obiettivo era dominare e sfruttare le popolazioni assoggettate, non già sterminarle – di natura affatto diversa furono le motivazioni del loro atteggiamento nei confronti dei prodotti spirituali degli «infedeli»; in particolare, dei Greci, di cui – esattamente come era accaduto secoli prima ai rozzi Romani – subirono lo straordinario fascino sino al punto da creare, agli inizi del IX secolo, il Bayt al-Hikma (la Casa della Sapienza)99. Grazie a questa ammirevole istituzione, furono tradotti, studiati e diffusi i classici della filosofia e delle scienze100; il che contribuì potentemente a fare della civiltà islamica il faro intellettuale del Mediterraneo, nello stesso momento in cui l’Europa cristiana arrancava faticosamente per uscire dal buio dell’Alto Medioevo e Bisanzio irrigidiva le sue forme di vita espellendo dal suo seno la filosofia e con essa la libera investigazione101.
Il risultato fu che, per secoli e secoli, non ci fu campo del sapere – la teologia, la filosofia, la logica, la medicina, la matematica, l’astronomia, la geografia, la storiografia eccetera – in cui i musulmani non poterono vantare un incontestabile primato102. E parimenti incontestabile era il primato economico del mondo arabo-musulmano rispetto a tutte le altre civiltà103, se si eccettua quella cinese. Poi, a partire grosso modo dal XIII secolo, la luce, lentamente ma inesorabilmente, i...

Table of contents

  1. Jihad: le radici
  2. Colophon
  3. Prefazione
  4. La guerra culturale fra Occidente e Oriente. Il caso del fondamentalismo islamico
  5. Noi e gli Altri: dal razzismo al dialogo?
  6. L’Islam e l’Occidente
  7. Il terrorismo islamico
  8. Postfazione
  9. Indice