Risorgimento laico
eBook - ePub

Risorgimento laico

  1. 176 pages
  2. English
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Risorgimento laico

About this book

Il pamphlet ripercorre le idee forza che furono alla base del ricongiungimento dell'Italia alla moderna civiltà europea. Di fronte alle contraffazioni della storia dell'Ottocento, come ad esempio la "Lettera agli italiani" di Benedetto XVI del 17 marzo 2011, e alle risorgenti pulsioni populiste, separatiste e clericali antirisorgimentali, l'autore dimostra che la laicità, oltre l'unità e l'indipendenza, è stata un pilastro unificante delle correnti politiche che hanno fatto l'Italia, sia con i monarchici che con i repubblicani, sia con i liberali della Destra (Cavour) che con i democratici della Sinistra (Garibaldi e Mazzini). Lo scritto si conclude con la messa in guardia di fronte alle nuove tendenze anti-illuministiche, anti-liberali e anti-democratiche che evocano, dopo centocinquant'anni, lo spirito reazionario del Sillabo di Pio IX

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Risorgimento laico by Massimo Teodori in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in History & Italian History. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Discorso di Cavour
ÂŤLibera Chiesa in libero StatoÂť
e Roma capitale

(Camera dei deputati, 25 marzo 1861)

NEL NOVEMBRE 1860, sconfitto l’esercito pontificio, le Marche e l’Umbria sono annesse con plebisciti popolari al Piemonte sabaudo che il 18 febbraio 1861 convoca a Torino il primo parlamento nazionale del regno d’Italia. Ma, nonostante i tentativi conciliatori di Cavour, Pio ix difende a Roma il potere temporale riaffermando nel concistoro l’inconciliabilità della Santa sede col progresso, il liberalismo e la moderna civiltà.
In questo orizzonte Cavour pronunzia alcuni discorsi decisivi per l’unità d’Italia che ripropongono due aspetti della sua filosofia politica. Il primo riguarda la posizione della libera Chiesa nello Stato liberale fissata nella famosa formula enunciata nel discorso del 25 marzo 1861 qui riprodotto. E il secondo postula che «senza Roma capitale d’Italia l’Italia non si può costituire», per cui occorre metter fine al potere temporale liberando il cattolicesimo dal fardello territoriale.
Cavour, morto a cinquant’anni il 6 giugno 1861, non vede la presa di Porta Pia del 20 settembre 1870. Ma i successori della Destra liberale mettono in atto le sue volontà per l’unità d’Italia.
Cavour, presidente del Consiglio dei Ministri, ministro degli Affari Esteri e della Marina. – (Vivi segni di attenzione) Signori deputati, l’onorevole deputato Audinot con parole gravi ed eloquenti, quali si addicevano all’altezza dell’argomento che egli ha preso a trattare avanti a voi, anziché rivolgere al ministero interpellanze su fatti speciali, vi ha fatto una magnifica esposizione della questione di Roma. Nel conchiudere il suo discorso, egli lo riassumeva chiedendo al ministero schiarimenti su due punti particolari, cioè sulle voci che correvano e corrono circa a negoziazioni intavolate con Roma, e circa pratiche fatte o da farsi per ottenere l’applicazione del principio di non intervento alla questione romana; poi terminava con una interpellanza di ben altro momento, terminava, cioè, chiedendo al ministero quale fosse la linea di condotta che egli intendeva seguire in questo supremo argomento.
E ben egli si apponeva: l’attuale discussione non poteva, né doveva essere ristretta allo scambio di poche spiegazioni; poiché la questione di Roma è posta sul tappeto, ragion vuole che essa sia trattata in tutta la sua ampiezza.
Ma, o signori, prima di accingermi a rispondere non solo propriamente alle interpellanze dell’onorevole deputato Audinot, ma a quel complesso di considerazioni ch’egli ha esposte con tanta efficacia, mi sia lecito il ricordarvi che l’attuale questione è forse la più grave, la più importante che sia stata mai sottoposta ad un Parlamento di libero popolo. La questione di Roma non è soltanto di vitale importanza per l’Italia, ma è una quistione la cui influenza deve estendersi a 200 milioni di cattolici sparsi su tutta la superficie del globo; è una quistione la cui soluzione non deve solo avere un’influenza politica, ma deve esercitarne altresì una immensa sul mondo morale e religioso.
Questa premessa, o signori, io non l’ho già fatta per ischermirmi, per cercare di sfuggire ad una piena discussione, od evitarla con sotterfugi diplomatici, con artifizi oratorii.
Quando la quistione romana era ancora lontana, quando la sua soluzione doveva differirsi ad epoca indeterminata, sarebbe stato savio consiglio per il Ministro degli Affari Esteri di mantenere una prudente riserva, di restringersi ad indicare la stella polare che doveva guidare la sua condotta, ed evitare ogni maggiore spiegazione; ma ora, o signori, che questa quistione è stata discussa nei Parlamenti dei popoli liberi, ora che essa è l’argomento principale dei dibattimenti in tutti i Paesi civili, codesta non sarebbe, prudenza, sarebbe invece pusillanimità. (Benissimo!).
Queste mie osservazioni, o signori, tendono ad ottenere da voi, e massime da quelli avanti cui per la prima volta ho l’onore di parlare sopra gravissimi argomenti, molta indulgenza; esse tendono a porli in avvertenza di tener conto delle difficoltà gravissime che circondano chi ha l’onore di parlarvi, nel far giudizio di quanto io mi accingo a dire. (Movimenti d’attenzione).
L’onorevole deputato Audinot vel disse senza riserva: Roma debb’essere la capitale d’Italia. E lo diceva con ragione; non vi può essere soluzione della questione di Roma, se questa verità non è prima proclamata, accettata dall’opinione pubblica d’Italia e d’Europa. (A sinistra: Bene!). Se si potesse concepire l’Italia costituita in unità in modo stabile, senza che Roma fosse la sua capitale, io dichiaro schiettamente che reputerei difficile, forse impossibile la soluzione della questione romana. Perché noi abbiamo il diritto, anzi il dovere di chiedere, d’insistere perché Roma sia riunita all’Italia? Perché senza Roma capitale d’Italia, l’Italia non si può costituire. (Approvazione).
A prova di questa verità già vi addusse molti argomenti l’onorevole preopinante. Egli vi disse con molta ragione che questa verità, essendo sentita quasi istintivamente dall’universalità degli italiani, essendo proclamata fuori d’Italia da tutti coloro che giudicano delle cose d’Italia con imparzialità ed amore, non ha d’uopo di dimostrazione, è affermata dal senso comune della nazione.
Tuttavia, o signori, si può dare di questa verità una dimostrazione assai semplice. L’Italia ha ancor molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per isciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa, ora, o signori, perché quest’opera possa compiersi conviene che non vi siano cause di dissidi, di lotte. Ma, finché la questione della capitale non sarà definita, vi sarà sempre motivo di dispareri e di discordie fra le varie parti d’Italia. (Benissimo!).
Ed invero, o signori, è facile a concepirsi che persone di buona fede, persone illuminate ed anche dotate di molto ingegno, ora sostengano o per considerazioni storiche, o per considerazioni artistiche, o per qualunque altra considerazione, la preferenza a darsi a questa o a quell’altra città come capitale d’Italia; io capisco che questa discussione sia per ora possibile: ma se l’Italia costituita avesse già stabilita in Roma la sua capitale, credete voi che tale discussione fosse ancora possibile? Certo che no; anche coloro che si oppongono al trasferimento della capitale in Roma, una volta che essa fosse colà stabilita, non ardirebbero di proporre che venisse traslocata altrove. Quindi egli è solo proclamando Roma capitale d’Italia che noi possiamo porre un termine assoluto a queste cause di dissenso fra noi.
Io sono dolente perciò di veder che uomini autorevoli, uomini d’ingegno, uomini che hanno reso alla causa italiana eminenti servigi, come lo scrittore a cui l’onorevole preopinante alludeva, pongano in campo cotesta questione, e la dibattano, oserei dire, con argomenti di poca importanza.
La questione della capitale non si scioglie, o signori, per ragioni nĂŠ di clima, nĂŠ di topografia, neanche per ragioni strategiche; se queste ragioni avessero dovuto influire sulla scelta della capitale, certamente Londra non sarebbe capitale della Gran Bretagna, e forse nemmanco Parigi lo sarebbe della Francia.
La scelta della capitale è determinata da grandi ragioni morali. È il sentimento dei popoli quello che decide le questioni ad essa relative.
Ora, o signori, in Roma concorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali, che devono determinare le condizioni della capitale di un grande Stato. Roma è la sola città d’Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali; tutta la storia di Roma dal tempo dei Cesari al giorno d’oggi è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo territorio, di una città, cioè, destinata ad essere la capitale di un grande Stato. (Segni di approvazione su vari banchi). Convinto, profondamente convinto di questa verità, io mi credo in obbligo di proclamarlo nel modo più solenne davanti a voi, davanti alla nazione, e mi tengo in obbligo di fare in questa circostanza appello al patriottismo di tutti i cittadini d’Italia e dei rappresentanti delle più illustri sue città, onde cessi ogni discussione in proposito, affinché noi possiamo dichiarare all’Europa, affinché chi ha l’onore di rappresentare questo Paese a fronte delle estere potenze possa dire: la necessità di aver Roma per capitale è riconosciuta e proclamata dall’intiera nazione. (Applausi). Io credo di avere qualche titolo a poter fare quest’appello a coloro che, per ragioni che io rispetto, dissentissero da me su questo punto; giacché, o signori, non volendo fare innanzi a voi sfoggio di spartani sentimenti, io lo dico schiettamente: sarà per me un gran dolore il dover dichiarare alla mia città natia che essa deve rinunciare risolutamente, definitivamente ad ogni speranza di conservare nel suo seno la sede del governo. (Approvazione). Sì, o signori, per quanto personalmente mi concerne, gli è con dolore che io vado a Roma. Avendo io indole poco artistica (Si ride), sono persuaso che, in mezzo ai più splendidi monumenti di Roma antica e di Roma moderna, io rimpiangerò le severe e poco poetiche vie della mia terra natale. Ma egli è con fiducia, o signori, che io affermo questa verità. Conoscendo l’indole de’ miei concittadini; sapendo per prova come essi furono sempre disposti a fare i maggiori sacrifici per la sacra causa d’Italia (Viva approvazione); sapendo come essi fossero rassegnati a vedere la loro città invasa dal nemico, e pronti a fare energica difesa; conoscendo, dico, questi sentimenti, io non dubito che essi non mi disdiranno quando, a loro nome, come loro deputato, io proclamo che Torino è pronta a sottomettersi a questo gran sacrifizio nell’interesse dell’Italia (Applausi dalle gallerie).
Mi conforta anche la speranza (dirò anzi la certezza, dopo aver visto come fossero accolte da voi le generose parole che il deputato Audinot rivolgeva alla mia città natale), mi conforta, dico, la speranza, che quando l’Italia, definitivamente costituita, avrà stabilita la gloriosa sede del suo governo nell’eterna città, essa non sarà ingrata per questo Paese che fu culla della libertà, per questa terra in cui venne deposto quel germe della indipendenza, che, svolgendosi rapidamente e rigogliosamente, si estende oramai in tutta la penisola dalla Sicilia alle Alpi. (Segni d’approvazione).
Ho detto, o signori, e affermo ancora una volta che Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia. Ma qui cominciano le difficoltà del problema, qui comincia la difficoltà della risposta che debbo dare all’onorevole interpellante. (Profondo silenzio).
Noi dobbiamo andare a Roma, ma a due condizioni. Noi dobbiamo andarvi di concerto colla Francia; inoltre, senza che la riunione di questa città al resto d’Italia possa essere interpretata dalla gran massa dei cattolici d’Italia e fuori d’Italia come il segnale della servitù della Chiesa. Noi dobbiamo, cioè, andare a Roma, senza che per ciò l’indipendenza vera del Pontefice venga a menomarsi. Noi dobbiamo andare a Roma, senza che l’autorità civile estenda il suo potere all’ordine spirituale.
Ecco le due condizioni che debbono verificarsi perché noi possiamo andar a Roma, senza porre in pericolo le sorti d’Italia.
Quanto alla prima, vi disse già l’onorevole deputato Audinot che sarebbe follia il pensare, nelle attuali condizioni d’Europa, di voler andar a Roma malgrado l’opposizione della Francia.
Ma dirò di più: quando anche per eventi, che credo non siano probabili e nemmeno possibili, la Francia si trovasse ridotta in condizioni tali da non potere materialmente opporsi alla nostra andata a Roma, noi non dovremmo tuttavia compiere l’unione di essa al resto d’Italia, se ciò dovesse recar grave danno ai nostri alleati.
Noi, o signori, abbiamo contratto un gran debito di gratitudine verso la Francia. Io non intendo certo che siano applicabili alle relazioni internazionali tutte le strettissime regole di moralitĂ  che debbono regolare i rapporti individuali, tuttavia vi sono certi principii di morale che le nazioni stesse non violano impunemente.
Io ben so che molti diplomatici professano contraria sentenza. Mi ricordo di aver udito far plauso, or sono alcuni anni, ad un detto famoso di un insigne uomo di Stato austriaco, il quale dichiarava, ridendo, che fra poco l’Austria avrebbe fatto stupire l’Europa per la sua ingratitudine rispetto alla Russia: ed invero l’Austria tenne parola (Ilarità); giacché forse saprete tutti, e, quando nol sapeste, io potrei farvene testimonianza, che nel Congresso di Parigi, e nei negoziati che a questo Congresso tennero dietro, nessuna potenza si mostrò tanto ostile alla Russia, tanto ostinata ad aggravare le condizioni della pace quanto l’Austria, la quale non aveva punto contribuito colla sua spada ad imporre la pace all’antica sua alleata. (Sensazione). Ma, o signori, la violazione di quel gran principio morale non tardò ad essere punita. Dopo alcuni anni la Russia prese la sua rivincita; e noi ne dobbiamo andar lieti, giacché io non esito ad attribuire alla solenne ingratitudine austriaca la facilità colla quale si sono ristabilite fra la Russia e noi buone relazioni, che disgraziatamente ora sono di nuovo momentaneamente interrotte, ma senza che per ciò, io ne ho fede, si siano modificati i sentimenti della nazione russa rispetto all’Italia, e senza che siano cessate affatto nel sovrano, che regge quel popolo, le sue antiche simpatie per noi.
Ma, o signori, noi abbiamo, rispetto alla Francia, un motivo ancor più grave di accordarci con essa. Quando noi abbiamo invocato nel 1859 l’aiuto francese, quando l’Imperatore acconsentì a scendere in Italia a capo delle bellicose sue schiere, egli non ci dissimulò quali impegni ritenesse di avere rispetto alla Corte di Roma. Noi abbiamo accettato il suo aiuto, senza protestare contro gl’impegni che ci dichiarava di avere assunti; ora, dopo avere ricavati tanti benefizi dall’accordata alleanza, non possiamo protestare contro impegni che fino ad un certo punto abbiamo ammessi.
Ma dunque, mi si obbietterà, la soluzione della questione di Roma è impossibile.
Rispondo: se noi giungiamo a fare che si verifichi la seconda delle accennate condizioni, la prima non offrirà molti ostacoli; se noi giungiamo, cioè, a far sì che la riunione di Roma all’Italia non faccia nascere gravi timori nella società cattolica (intendo per società cattolica quella gran massa di persone di buona fede che professano il dogma religioso per sentimento vero e non per fini politici, quella gran massa la cui mente non è offuscata da volgari pregiudizi); se noi, dico, giungiamo a persuadere la gran massa dei cattolici che l’unione di Roma all’Italia può farsi senza che la Chiesa cessi d’essere indipendente, credo che il problema sarà quasi sciolto.
Non bisogna farsi illusione: molte persone di buona fede, non animate da pregiudizi ostili all’Italia, e nemmeno alle idee liberali, temono che, quando Roma fosse unita all’Italia, quando la sede del governo italiano fosse stabilita in Roma, quando il Re sedesse sul Quirinale, temono, dico, che il Pontefice avesse a perdere molto e in dignità e in indipendenza; temono in certo modo che il Pontefice, invece d’essere il capo di tutto il cattolicismo, dovesse essere ridotto alla carica di grande elemosiniere o di cappellano maggiore! (Si ride).
Se questi timori fossero fondati, se realmente la caduta del potere temporale dovesse trar seco necessariamente questa conseguenza, io non esiterei a dire che la riunione di Roma allo Stato d’Italia sarebbe fatale non solo al cattolicismo, ma anche all’Italia; giacché, o signori, io non so concepire maggiore sventura per un popolo colto che di vedere riunita in una sola mano, in mano de’ suoi governanti, il potere civile e il potere religioso. (Bene!). La storia di tutti i secoli, come di tutte le contrade, ci dimostra che, ovunque questa riunione ebbe luogo, la civiltà quasi sempre immediatamente cessò di progredire, anzi sempre indietreggiò, il più schifoso despotismo si stabilì; e ciò, o signori, sia che una casta sacerdotale usurpasse il potere temporale, sia che un califfo od un sultano riunisse nelle sue mani il potere spirituale. Dappertutto questa fatale mescolanza ha prodotto gli stessi effetti; tolga adunque Iddio, o signori, che ciò avvenga nella nostra contrada.
Ciò premesso, io credo dover esaminare da tutti i lati la sollevata questione, quella cioè degli effetti che la riunione di Roma all’Italia avrà sulla indipendenza del potere spirituale del Pontefice.
La prima cosa che io debbo fare si è di esaminare se ora veramente il potere temporale assicuri al Pontefice una effettiva indipendenza.
In verità, se ciò fosse, se il potere temporale guarentisse ora, come nei secoli scorsi, l’indipendenza assoluta del Pontefice, io esiterei molto a pronunziare la soluzione di questo problema. Ma, o signori, possiamo noi, può alcuno affermare con buona fede che il potere temporale del Pontefice, qual è ora costituito, conferisca alla sua indipendenza? No certamente, quando si vogliano considerare le condizioni attuali del governo romano con ispirito di imparzialità.
Nei secoli scorsi, quando il diritto pubblico europeo non conosceva quasi nessun altro titolo giuridico di sovranitĂ  che il diritto divino; quando i sovrani erano considerati come proprietari assoluti dei paesi che costituivano il loro dominio; quando i vari governi di Europa rispettavano questo principio, oh! io intendo che, pel Pontefice, il possesso di alcune provincie, di uno Stato di qualche estensione fosse una...

Table of contents

  1. Risorgimento laico
  2. Colophon
  3. Dedizione
  4. Indice
  5. Prologo. Le contrafazioni della storia d’Italia
  6. L’ambiguo Risorgimento di Benedetto xvi
  7. Laico e laicista: la guerriglia lessicale
  8. Falsi liberali ed autentici controriformisti
  9. Da Cavour a Minghetti: la Destra liberale
  10. Laicismo, liberalismo, giurisdizionalismo
  11. La Questione romana
  12. Da Cairoli a Giolitti: la Sinistra al potere
  13. Cattaneo, Garibaldi, Cavallotti: i radicali anticlericali
  14. Nathan e la Massoneria: laicismo e patriottismo
  15. Croce, Rufni, Amendola: l’eredità liberale
  16. Epilogo. È fnito lo spirito laico?
  17. Documenti
  18. Costituzione della Repubblica Romana (Roma, luglio 1849)
  19. Discorso di Cavour ÂŤLibera Chiesa in libero StatoÂť e Roma capitale (Camera dei deputati, 25 marzo 1861)
  20. Discorso di Ernesto Nathan, sindaco di Roma (Breccia di Porta Pia, 20 settembre 1910)
  21. Discorso di Benedetto Croce sui disegni di legge riguardanti l’esecuzione del Trattato e del Concordato tra la Santa sede e l’Italia (Senato del Regno, 24 maggio 1929)
  22. Intervento del Presidente Napolitano alla Seduta comune del Parlamento in occasione dell’apertura delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia (Camera dei deputati, 17 marzo 2011)
  23. Note
  24. Bibliografia