Discorso di Cavour
ÂŤLibera Chiesa in libero StatoÂť
e Roma capitale
(Camera dei deputati, 25 marzo 1861)
NEL NOVEMBRE 1860, sconfitto lâesercito pontificio, le Marche e lâUmbria sono annesse con plebisciti popolari al Piemonte sabaudo che il 18 febbraio 1861 convoca a Torino il primo parlamento nazionale del regno dâItalia. Ma, nonostante i tentativi conciliatori di Cavour, Pio ix difende a Roma il potere temporale riaffermando nel concistoro lâinconciliabilitĂ della Santa sede col progresso, il liberalismo e la moderna civiltĂ .
In questo orizzonte Cavour pronunzia alcuni discorsi decisivi per lâunitĂ dâItalia che ripropongono due aspetti della sua filosofia politica. Il primo riguarda la posizione della libera Chiesa nello Stato liberale fissata nella famosa formula enunciata nel discorso del 25 marzo 1861 qui riprodotto. E il secondo postula che ÂŤsenza Roma capitale dâItalia lâItalia non si può costituireÂť, per cui occorre metter fine al potere temporale liberando il cattolicesimo dal fardello territoriale.
Cavour, morto a cinquantâanni il 6 giugno 1861, non vede la presa di Porta Pia del 20 settembre 1870. Ma i successori della Destra liberale mettono in atto le sue volontĂ per lâunitĂ dâItalia.
Cavour, presidente del Consiglio dei Ministri, ministro degli Affari Esteri e della Marina. â (Vivi segni di attenzione) Signori deputati, lâonorevole deputato Audinot con parole gravi ed eloquenti, quali si addicevano allâaltezza dellâargomento che egli ha preso a trattare avanti a voi, anzichĂŠ rivolgere al ministero interpellanze su fatti speciali, vi ha fatto una magnifica esposizione della questione di Roma. Nel conchiudere il suo discorso, egli lo riassumeva chiedendo al ministero schiarimenti su due punti particolari, cioè sulle voci che correvano e corrono circa a negoziazioni intavolate con Roma, e circa pratiche fatte o da farsi per ottenere lâapplicazione del principio di non intervento alla questione romana; poi terminava con una interpellanza di ben altro momento, terminava, cioè, chiedendo al ministero quale fosse la linea di condotta che egli intendeva seguire in questo supremo argomento.
E ben egli si apponeva: lâattuale discussione non poteva, nĂŠ doveva essere ristretta allo scambio di poche spiegazioni; poichĂŠ la questione di Roma è posta sul tappeto, ragion vuole che essa sia trattata in tutta la sua ampiezza.
Ma, o signori, prima di accingermi a rispondere non solo propriamente alle interpellanze dellâonorevole deputato Audinot, ma a quel complesso di considerazioni châegli ha esposte con tanta efficacia, mi sia lecito il ricordarvi che lâattuale questione è forse la piĂš grave, la piĂš importante che sia stata mai sottoposta ad un Parlamento di libero popolo. La questione di Roma non è soltanto di vitale importanza per lâItalia, ma è una quistione la cui influenza deve estendersi a 200 milioni di cattolici sparsi su tutta la superficie del globo; è una quistione la cui soluzione non deve solo avere unâinfluenza politica, ma deve esercitarne altresĂŹ una immensa sul mondo morale e religioso.
Questa premessa, o signori, io non lâho giĂ fatta per ischermirmi, per cercare di sfuggire ad una piena discussione, od evitarla con sotterfugi diplomatici, con artifizi oratorii.
Quando la quistione romana era ancora lontana, quando la sua soluzione doveva differirsi ad epoca indeterminata, sarebbe stato savio consiglio per il Ministro degli Affari Esteri di mantenere una prudente riserva, di restringersi ad indicare la stella polare che doveva guidare la sua condotta, ed evitare ogni maggiore spiegazione; ma ora, o signori, che questa quistione è stata discussa nei Parlamenti dei popoli liberi, ora che essa è lâargomento principale dei dibattimenti in tutti i Paesi civili, codesta non sarebbe, prudenza, sarebbe invece pusillanimitĂ . (Benissimo!).
Queste mie osservazioni, o signori, tendono ad ottenere da voi, e massime da quelli avanti cui per la prima volta ho lâonore di parlare sopra gravissimi argomenti, molta indulgenza; esse tendono a porli in avvertenza di tener conto delle difficoltĂ gravissime che circondano chi ha lâonore di parlarvi, nel far giudizio di quanto io mi accingo a dire. (Movimenti dâattenzione).
Lâonorevole deputato Audinot vel disse senza riserva: Roma debbâessere la capitale dâItalia. E lo diceva con ragione; non vi può essere soluzione della questione di Roma, se questa veritĂ non è prima proclamata, accettata dallâopinione pubblica dâItalia e dâEuropa. (A sinistra: Bene!). Se si potesse concepire lâItalia costituita in unitĂ in modo stabile, senza che Roma fosse la sua capitale, io dichiaro schiettamente che reputerei difficile, forse impossibile la soluzione della questione romana. PerchĂŠ noi abbiamo il diritto, anzi il dovere di chiedere, dâinsistere perchĂŠ Roma sia riunita allâItalia? PerchĂŠ senza Roma capitale dâItalia, lâItalia non si può costituire. (Approvazione).
A prova di questa veritĂ giĂ vi addusse molti argomenti lâonorevole preopinante. Egli vi disse con molta ragione che questa veritĂ , essendo sentita quasi istintivamente dallâuniversalitĂ degli italiani, essendo proclamata fuori dâItalia da tutti coloro che giudicano delle cose dâItalia con imparzialitĂ ed amore, non ha dâuopo di dimostrazione, è affermata dal senso comune della nazione.
Tuttavia, o signori, si può dare di questa veritĂ una dimostrazione assai semplice. LâItalia ha ancor molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per isciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa, ora, o signori, perchĂŠ questâopera possa compiersi conviene che non vi siano cause di dissidi, di lotte. Ma, finchĂŠ la questione della capitale non sarĂ definita, vi sarĂ sempre motivo di dispareri e di discordie fra le varie parti dâItalia. (Benissimo!).
Ed invero, o signori, è facile a concepirsi che persone di buona fede, persone illuminate ed anche dotate di molto ingegno, ora sostengano o per considerazioni storiche, o per considerazioni artistiche, o per qualunque altra considerazione, la preferenza a darsi a questa o a quellâaltra cittĂ come capitale dâItalia; io capisco che questa discussione sia per ora possibile: ma se lâItalia costituita avesse giĂ stabilita in Roma la sua capitale, credete voi che tale discussione fosse ancora possibile? Certo che no; anche coloro che si oppongono al trasferimento della capitale in Roma, una volta che essa fosse colĂ stabilita, non ardirebbero di proporre che venisse traslocata altrove. Quindi egli è solo proclamando Roma capitale dâItalia che noi possiamo porre un termine assoluto a queste cause di dissenso fra noi.
Io sono dolente perciò di veder che uomini autorevoli, uomini dâingegno, uomini che hanno reso alla causa italiana eminenti servigi, come lo scrittore a cui lâonorevole preopinante alludeva, pongano in campo cotesta questione, e la dibattano, oserei dire, con argomenti di poca importanza.
La questione della capitale non si scioglie, o signori, per ragioni nĂŠ di clima, nĂŠ di topografia, neanche per ragioni strategiche; se queste ragioni avessero dovuto influire sulla scelta della capitale, certamente Londra non sarebbe capitale della Gran Bretagna, e forse nemmanco Parigi lo sarebbe della Francia.
La scelta della capitale è determinata da grandi ragioni morali. à il sentimento dei popoli quello che decide le questioni ad essa relative.
Ora, o signori, in Roma concorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali, che devono determinare le condizioni della capitale di un grande Stato. Roma è la sola cittĂ dâItalia che non abbia memorie esclusivamente municipali; tutta la storia di Roma dal tempo dei Cesari al giorno dâoggi è la storia di una cittĂ la cui importanza si estende infinitamente al di lĂ del suo territorio, di una cittĂ , cioè, destinata ad essere la capitale di un grande Stato. (Segni di approvazione su vari banchi). Convinto, profondamente convinto di questa veritĂ , io mi credo in obbligo di proclamarlo nel modo piĂš solenne davanti a voi, davanti alla nazione, e mi tengo in obbligo di fare in questa circostanza appello al patriottismo di tutti i cittadini dâItalia e dei rappresentanti delle piĂš illustri sue cittĂ , onde cessi ogni discussione in proposito, affinchĂŠ noi possiamo dichiarare allâEuropa, affinchĂŠ chi ha lâonore di rappresentare questo Paese a fronte delle estere potenze possa dire: la necessitĂ di aver Roma per capitale è riconosciuta e proclamata dallâintiera nazione. (Applausi). Io credo di avere qualche titolo a poter fare questâappello a coloro che, per ragioni che io rispetto, dissentissero da me su questo punto; giacchĂŠ, o signori, non volendo fare innanzi a voi sfoggio di spartani sentimenti, io lo dico schiettamente: sarĂ per me un gran dolore il dover dichiarare alla mia cittĂ natia che essa deve rinunciare risolutamente, definitivamente ad ogni speranza di conservare nel suo seno la sede del governo. (Approvazione). SĂŹ, o signori, per quanto personalmente mi concerne, gli è con dolore che io vado a Roma. Avendo io indole poco artistica (Si ride), sono persuaso che, in mezzo ai piĂš splendidi monumenti di Roma antica e di Roma moderna, io rimpiangerò le severe e poco poetiche vie della mia terra natale. Ma egli è con fiducia, o signori, che io affermo questa veritĂ . Conoscendo lâindole deâ miei concittadini; sapendo per prova come essi furono sempre disposti a fare i maggiori sacrifici per la sacra causa dâItalia (Viva approvazione); sapendo come essi fossero rassegnati a vedere la loro cittĂ invasa dal nemico, e pronti a fare energica difesa; conoscendo, dico, questi sentimenti, io non dubito che essi non mi disdiranno quando, a loro nome, come loro deputato, io proclamo che Torino è pronta a sottomettersi a questo gran sacrifizio nellâinteresse dellâItalia (Applausi dalle gallerie).
Mi conforta anche la speranza (dirò anzi la certezza, dopo aver visto come fossero accolte da voi le generose parole che il deputato Audinot rivolgeva alla mia cittĂ natale), mi conforta, dico, la speranza, che quando lâItalia, definitivamente costituita, avrĂ stabilita la gloriosa sede del suo governo nellâeterna cittĂ , essa non sarĂ ingrata per questo Paese che fu culla della libertĂ , per questa terra in cui venne deposto quel germe della indipendenza, che, svolgendosi rapidamente e rigogliosamente, si estende oramai in tutta la penisola dalla Sicilia alle Alpi. (Segni dâapprovazione).
Ho detto, o signori, e affermo ancora una volta che Roma, Roma sola deve essere la capitale dâItalia. Ma qui cominciano le difficoltĂ del problema, qui comincia la difficoltĂ della risposta che debbo dare allâonorevole interpellante. (Profondo silenzio).
Noi dobbiamo andare a Roma, ma a due condizioni. Noi dobbiamo andarvi di concerto colla Francia; inoltre, senza che la riunione di questa cittĂ al resto dâItalia possa essere interpretata dalla gran massa dei cattolici dâItalia e fuori dâItalia come il segnale della servitĂš della Chiesa. Noi dobbiamo, cioè, andare a Roma, senza che per ciò lâindipendenza vera del Pontefice venga a menomarsi. Noi dobbiamo andare a Roma, senza che lâautoritĂ civile estenda il suo potere allâordine spirituale.
Ecco le due condizioni che debbono verificarsi perchĂŠ noi possiamo andar a Roma, senza porre in pericolo le sorti dâItalia.
Quanto alla prima, vi disse giĂ lâonorevole deputato Audinot che sarebbe follia il pensare, nelle attuali condizioni dâEuropa, di voler andar a Roma malgrado lâopposizione della Francia.
Ma dirò di piĂš: quando anche per eventi, che credo non siano probabili e nemmeno possibili, la Francia si trovasse ridotta in condizioni tali da non potere materialmente opporsi alla nostra andata a Roma, noi non dovremmo tuttavia compiere lâunione di essa al resto dâItalia, se ciò dovesse recar grave danno ai nostri alleati.
Noi, o signori, abbiamo contratto un gran debito di gratitudine verso la Francia. Io non intendo certo che siano applicabili alle relazioni internazionali tutte le strettissime regole di moralitĂ che debbono regolare i rapporti individuali, tuttavia vi sono certi principii di morale che le nazioni stesse non violano impunemente.
Io ben so che molti diplomatici professano contraria sentenza. Mi ricordo di aver udito far plauso, or sono alcuni anni, ad un detto famoso di un insigne uomo di Stato austriaco, il quale dichiarava, ridendo, che fra poco lâAustria avrebbe fatto stupire lâEuropa per la sua ingratitudine rispetto alla Russia: ed invero lâAustria tenne parola (IlaritĂ ); giacchĂŠ forse saprete tutti, e, quando nol sapeste, io potrei farvene testimonianza, che nel Congresso di Parigi, e nei negoziati che a questo Congresso tennero dietro, nessuna potenza si mostrò tanto ostile alla Russia, tanto ostinata ad aggravare le condizioni della pace quanto lâAustria, la quale non aveva punto contribuito colla sua spada ad imporre la pace allâantica sua alleata. (Sensazione). Ma, o signori, la violazione di quel gran principio morale non tardò ad essere punita. Dopo alcuni anni la Russia prese la sua rivincita; e noi ne dobbiamo andar lieti, giacchĂŠ io non esito ad attribuire alla solenne ingratitudine austriaca la facilitĂ colla quale si sono ristabilite fra la Russia e noi buone relazioni, che disgraziatamente ora sono di nuovo momentaneamente interrotte, ma senza che per ciò, io ne ho fede, si siano modificati i sentimenti della nazione russa rispetto allâItalia, e senza che siano cessate affatto nel sovrano, che regge quel popolo, le sue antiche simpatie per noi.
Ma, o signori, noi abbiamo, rispetto alla Francia, un motivo ancor piĂš grave di accordarci con essa. Quando noi abbiamo invocato nel 1859 lâaiuto francese, quando lâImperatore acconsentĂŹ a scendere in Italia a capo delle bellicose sue schiere, egli non ci dissimulò quali impegni ritenesse di avere rispetto alla Corte di Roma. Noi abbiamo accettato il suo aiuto, senza protestare contro glâimpegni che ci dichiarava di avere assunti; ora, dopo avere ricavati tanti benefizi dallâaccordata alleanza, non possiamo protestare contro impegni che fino ad un certo punto abbiamo ammessi.
Ma dunque, mi si obbietterà , la soluzione della questione di Roma è impossibile.
Rispondo: se noi giungiamo a fare che si verifichi la seconda delle accennate condizioni, la prima non offrirĂ molti ostacoli; se noi giungiamo, cioè, a far sĂŹ che la riunione di Roma allâItalia non faccia nascere gravi timori nella societĂ cattolica (intendo per societĂ cattolica quella gran massa di persone di buona fede che professano il dogma religioso per sentimento vero e non per fini politici, quella gran massa la cui mente non è offuscata da volgari pregiudizi); se noi, dico, giungiamo a persuadere la gran massa dei cattolici che lâunione di Roma allâItalia può farsi senza che la Chiesa cessi dâessere indipendente, credo che il problema sarĂ quasi sciolto.
Non bisogna farsi illusione: molte persone di buona fede, non animate da pregiudizi ostili allâItalia, e nemmeno alle idee liberali, temono che, quando Roma fosse unita allâItalia, quando la sede del governo italiano fosse stabilita in Roma, quando il Re sedesse sul Quirinale, temono, dico, che il Pontefice avesse a perdere molto e in dignitĂ e in indipendenza; temono in certo modo che il Pontefice, invece dâessere il capo di tutto il cattolicismo, dovesse essere ridotto alla carica di grande elemosiniere o di cappellano maggiore! (Si ride).
Se questi timori fossero fondati, se realmente la caduta del potere temporale dovesse trar seco necessariamente questa conseguenza, io non esiterei a dire che la riunione di Roma allo Stato dâItalia sarebbe fatale non solo al cattolicismo, ma anche allâItalia; giacchĂŠ, o signori, io non so concepire maggiore sventura per un popolo colto che di vedere riunita in una sola mano, in mano deâ suoi governanti, il potere civile e il potere religioso. (Bene!). La storia di tutti i secoli, come di tutte le contrade, ci dimostra che, ovunque questa riunione ebbe luogo, la civiltĂ quasi sempre immediatamente cessò di progredire, anzi sempre indietreggiò, il piĂš schifoso despotismo si stabilĂŹ; e ciò, o signori, sia che una casta sacerdotale usurpasse il potere temporale, sia che un califfo od un sultano riunisse nelle sue mani il potere spirituale. Dappertutto questa fatale mescolanza ha prodotto gli stessi effetti; tolga adunque Iddio, o signori, che ciò avvenga nella nostra contrada.
Ciò premesso, io credo dover esaminare da tutti i lati la sollevata questione, quella cioè degli effetti che la riunione di Roma allâItalia avrĂ sulla indipendenza del potere spirituale del Pontefice.
La prima cosa che io debbo fare si è di esaminare se ora veramente il potere temporale assicuri al Pontefice una effettiva indipendenza.
In veritĂ , se ciò fosse, se il potere temporale guarentisse ora, come nei secoli scorsi, lâindipendenza assoluta del Pontefice, io esiterei molto a pronunziare la soluzione di questo problema. Ma, o signori, possiamo noi, può alcuno affermare con buona fede che il potere temporale del Pontefice, qual è ora costituito, conferisca alla sua indipendenza? No certamente, quando si vogliano considerare le condizioni attuali del governo romano con ispirito di imparzialitĂ .
Nei secoli scorsi, quando il diritto pubblico europeo non conosceva quasi nessun altro titolo giuridico di sovranitĂ che il diritto divino; quando i sovrani erano considerati come proprietari assoluti dei paesi che costituivano il loro dominio; quando i vari governi di Europa rispettavano questo principio, oh! io intendo che, pel Pontefice, il possesso di alcune provincie, di uno Stato di qualche estensione fosse una...