Relativismo, nichilismo, individualismo
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Relativismo, nichilismo, individualismo

Fisiologia o patologia dell'Europa

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Relativismo, nichilismo, individualismo

Fisiologia o patologia dell'Europa

About this book

Se nell'individualismo si insiste a vedere la resa al basso istinto dell'egoismo e della rapina, il relativismo e il nichilismo sarebbero addirittura il cancro dell'Occidente. Le accuse, dunque, sono delle più gravi. Ma sono esse anche sostenibili e ben fondate? Individualismo si oppone ad altruismo o piuttosto al collettivismo? E non è nei gorghi della teoria e della pratica del collettivismo che vennero e vengono travolte libertà, dignità e responsabilità delle singole persone? Se, poi, con relativismo si intende la constatazione empirica di un pluralismo di concezioni etiche che, prive di una fondazione razionale ultima e definitiva, sfidano la nostra libertà e la nostra responsabilità, questo relativismo è la fisiologia o la patologia dell'Occidente? Certo, non ogni accezione del concetto di nichilismo è razionalmente sostenibile, ma se per nichilismo si dovesse intendere la raggiunta (o, meglio, riconquistata) consapevolezza relativa all'inconsistenza razionale di presunti "assoluti terrestri" (filosofie della storia, antropologie filosofiche, ecc.) costruiti con mani umane, questo nichilismo è una posizione razionalmente insostenibile o è in grado di resistere anche alle critiche più severe? È proprio vero che esso rappresenta un pericolo per la società aperta o addirittura per la fede cristiana? Ovvero le cose stanno ben diversamente? Ebbene, è proprio su questi nevralgici interrogativi che vertono le considerazioni proposte da Dario Antiseri nel presente volume.

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Information

1.

Alle radici dell’Europa: ragione critica e valori cristiani

«Se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura»
THOMAS S. ELIOT
1. NON POCHI INTELLETTUALI, sicuramente ben intenzionati, hanno a più riprese sottolineato il fatto che l’Europa non ha oggi e ancor più non avrà domani una filosofia unica, una fede unica, un’unica morale. Ed hanno visto e vedono in ciò la debolezza dell’Occidente, la fragilità dell’Europa. L’Europa, insomma, sarebbe debole senza una simile “idea portante ed unitaria, una fede unica” da contapporre con orgoglio ad altre culture ben più monolitiche e dogmatiche.
Siffatta opinione, largamente diffusa è, in qualche modo, comprensibile. Tuttavia, ha scritto non molti anni fa Karl Popper, «io la reputo fondamentalmente errata. Dovremmo essere orgogliosi di non possedere un’unica idea, bensì molte idee, buone e cattive, di non avere una sola fede, un’unica religione, quanto piuttosto parecchie fedi, buone e cattive. È un segno della superiore energia dell’Occidente il fatto che ce lo possiamo permettere. L’unità dell’Occidente su un’unica idea, su un’unica fede, su un’unica religione, sarebbe la fine dell’Occidente, la nostra capitolazione, il nostro assoggettamento incondizionato all’idea totalitaria».
L’Europa è la sua storia. E la storia d’Europa non è la storia di un’unica idea, di una tradizione monolitica. La storia dell’Europa è piuttosto la storia – certo punteggiata anche di errori, di soprusi e di massacri – di una tradizione in cui nascono, si sviluppano, si incontrano e via via si scontrano più idee filosofiche e più idee religiose, svariate proposte politiche e più visioni del mondo: buone e cattive.
L’Europa è la sua storia. E questa storia non è la storia di un’idea che permette una sola tradizione, ma è la storia di una tradizione che permette le idee più diverse ed azzardate. Non è la storia di una prigione mentale; è piuttosto la storia – talvolta dolorosa, talvolta impazzita – della provincia del mondo che ha conosciuto la fioritura più varia e ricca di idee (buone cattive) spesso in contrasto tra di loro. Ed è proprio questo ciò che distingue l’Europa e la sua storia dalla storia di altre culture. Qui sta, appunto, il destino comune dell’Europa: ragione critica, pluralismo, tolleranza. La nostra civiltà – è Popper a parlare ancora – è la migliore perché la più capace di autocorreggersi. Si autocorregge perché guidata dal valore della ragione critica – e perché critica è anche tollerante. Ragione critica, pluralismo, rispetto delle diversità, e tolleranza sono elementi che, in una storia travagliata, hanno contribuito a delineare i tratti dell’identità europea. Una consapevolezza, questa, che va da Strabone, il quale parlava dell’Europa come di «una nazione dai cento volti»; a santo Stefano, il re di Ungheria, che nei Monita ai suoi eredi faceva presente che «unius linguae uniusque moris regnum fragile est»; giù giù sino a Jakob Burckhardt.
Questo grande storico, nella Lezione del 14 maggio del 1869, all’Università di Basilea, così parlava dell’Europa: «Vi è una cosa che non dobbiamo desiderare, perché l’abbiamo a nostra disposizione: è L’Europa in quanto focolaio, nel contempo vecchio e nuovo, con una vita dai mille aspetti, luogo di nascita delle più ricche creazioni, patria di tutti i contrasti che sono riassorbiti nella sua unità». Sta qui, per Burckhardt, la diversità – e lui dice la superiorità – dell’Europa nei confronti delle civiltà asiatiche. In Europa «l’individuo poté svilupparsi pienamente e rendere i più grandi servizi all’insieme di cui faceva parte». E, quasi ottanta anni dopo Burckhardt, un altro svizzero, Louis Gonzague de Reynold, poteva ripetere: «L’europeo è soprattutto una persona [...] Non è fatto per una civiltà di massa. Il giorno in cui venisse travolto nei gorghi della massa, sarebbe la fine dell’Europa». E, ancora con Burckhardt, Albert Einstein: «L’ideale umanitario dell’Europa appare veramente e indissolubilmente legato alla libera espressione delle proprie opinioni, in certa misura al libero arbitrio degli individui, allo sforzo verso l’obiettività di pensiero esente da considerazioni di puro tornaconto, e all’incoraggiamento delle differenze in materia di idee e di gusti. Queste esigenze e questi ideali rappresentano la natura dello spirito europeo».
Ragione critica, pluralismo e tolleranza – linee portanti della nostra tradizione. Esiti essi stessi di tentativi e di errori, non sempre egemoni, questi valori, qui o là, per periodi più o meno lunghi, sono stati avversati, messi in ombra, calpestati. Ma sono di continuo riemersi. L’albero tagliato è rinato; le sue radici erano solide. Ed esse affondano nella cultura greca da una parte e nel messaggio cristiano dall’altra. È un pensatore agnostico come Popper a riconoscere il valore che la tradizione cristiana attribuisce alla coscienza dei singoli individui. Per un umanitario, e soprattutto per un cristiano, egli scrive, «non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo». E «riconosco [...] che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influsso del cristianesimo. Ma, nello stesso tempo, bisogna anche tener presente che il solo atteggiamento razionale e il solo atteggiamento cristiano anche nei confronti della storia della libertà è che siamo noi stessi responsabili di essa, allo stesso modo che siamo responsabili di ciò che facciamo delle nostre vite e che soltanto la nostra coscienza, e non il nostro successo mondano può giudicarci». «Il metro del successo storico appare incompatibile con lo spirito del cristianesimo». «I primi cristiani ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il potere e non viceversa». E ancora: la coscienza di ogni singola persona, unita con l’altruismo, «è diventata – scrive Popper – la base della nostra civiltà occidentale. È la dottrina centrale del Cristianesimo (“ama il prossimo tuo”, dice la Scrittura, e non “ama la tua tribù”) ed è il nucleo vivo di tutte le dottrine etiche ehe sono scaturite dalla nostra civiltà e l’hanno alimentata. È anche, per esempio, la dottrina etica centrale di Kant (“devi sempre riconoscere che gli individui umani sono fini e che non devi mai usarli come meri mezzi ai tuoi fini”). Non c’è alcun altro pensiero che abbia avuto tanta influenza nello sviluppo morale dell’uomo».
2. Ho richiamato questi pensieri di Popper sul valore che il Cristianesimo dà alla libera e responsabile coscienza di ogni singola persona, perché l’idea cristiana di uomo «fatto ad immagine e somiglianza di Dio» ha creato, a livello politico, una tensione che attraversa tutta la storia dell’Occidente. Si tratta, infatti, di un ideale che, pur tra vicissitudini compromissorie anche torbide, tra tentazioni “teocratiche” o rifiuti “satanocratici” del potere politico, ha esercitato, nell’evoluzione storica, una pressione a volte travolgente sull’elemento mondano antitetico. “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”: con ciò entrava nella storia il principio che Káysar non è Kýrios – il potere politico veniva desacralizzato, l’ordine mondano relativizzato, e le richieste di Cesare sottoposte ad un giudizio di legittimità da parte di una inviolabile coscienza. Su questa base Origene poteva giustificare, contro Celso, il rifiuto da parte dei cristiani di associarsi al culto dell’imperatore o di uccidere in obbedienza ai suoi ordini.
«I cristiani – leggiamo nella Lettera a Diogneto – non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per la lingua, né per il modo di vestire. Non abitano mai città loro proprie, non si servono di un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita [...] Sono sparpagliati nelle città greche e barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte. Si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi [...] Abitano ciascuno nella propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno. Adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure portano i pesi della vita sociale con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera. Si sposano e hanno figli come tutti, ma non abbandonano i neonati. Mettono vicendevolmente a disposizione la mensa, ma non le donne [...] Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma col loro modo di vivere vanno al di là delle leggi». E sono anche pronti a ribellarsi alla legge: come quando si cercava di imporre loro di bruciare l’incenso a Cesare. Plinio, quand’era governatore della Bitinia, invia un resoconto all’imperatore Traiano, dove gli notifica di aver condannato a morte tutti quei cristiani che si erano rifiutati di acclamare Cesare come Signore (Kýrios Káysar) e di maledire Cristo (Anáthema Christós). Per il cristiano solo Dio è il Signore, l’Assoluto. Lo stato agli occhi del cristiano – annota Oskar Cullmann in Dio e Cesare – «non è nulla di assoluto».
Káysar non è Kýrios: una spina nella carne nelle pretese onnivore del potere politico, principio religioso ed insieme etico, sorgente inesauribile di una miriade di corpi intermedi (ospedali, orfanotrofi, associazioni di carità, ordini religiosi, confraternite, monti frumentari, scuole cattedrali, università, scuole professionali, cooperative, movimenti politici, casse di risparmio, giornali diocesani, o...

Table of contents

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Premessa
  6. 1. Alle radici dell’Europa: ragione critica e valori cristiani
  7. 2. L’etica non è scienza e il pluralismo dei valori è una sfida alla coscienza di ogni uomo e di ogni donna
  8. 3. Quando il nichilismo è una spia a servizio dell’Altissimo
  9. 4. Alla fin fine l’opzione è decisiva
  10. 5. Quando l’individualismo equivale alla difesa della persona umana
  11. 6. Perché il pluralismo etico è “humana condicio”
  12. 7. Ragioni dalla parte degli “scettici cristiani”: Montaigne, Charron, Pascal
  13. 8. Fondare la fede o aprire alla fede? La controversia tra “pensiero forte” e “pensiero debole”