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American taste
About this book
I boschi e l'oceano, la palude e le metropoli. Dall'Aspromonte all'Atlantico, dal Vietnam a New York, ogni luogo può condurre all'inferno. O alla prigione di Fleury Merogis. Uomini della 'ndrangheta, terroristi dell'ETA e trafficanti arabi si alleano in una guerra globale contro il potere di una holding internazionale del lusso. Destini lontani s'incrociano e scoprono la radice del male che li ha resi carnefici e vittime. Cinque detenuti fuggono dall'incubo che li sovrasta e dal puzzo della galera, decisi a regolare i conti con il passato. American Taste è il racconto lucido e disarmante dei legami profondi e controversi fra il crimine organizzato e gli affari puliti. Dove nessuno è senza peccato.
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Information
Publisher
Rubbettino EditoreYear
2012eBook ISBN
9788849833522La fame
Khalil Saidani e Diego Garcia rientrarono a Barcellona dieci giorni dopo la loro partenza.
Erano seduti l’uno accanto all’altro, su un aereo della TWA proveniente da New York. Parlavano della loro attività in Brasile, dove avevano investito gran parte dei guadagni. Possedevano appartamenti a San Paolo, a Rio e a Belem, e diverse fazende con intorno vaste distese di terreno fertile. Entrambi speravano di andarsene a vivere lì, appena ottenuto da Biren l’esonero per i loro servigi.
L’aereo toccò terra mentre la conversazione verteva sulla splendida accoglienza ricevuta a New York, ospiti per qualche giorno nella villa di Bobby Biren a Coney Island.
Ritirarono i bagagli e camminarono insieme fino all’uscita, continuando a chiacchierare.
Il viaggio era stato fruttuoso, sia per i loro traffici che riguardo al problema dell’evasione di Benjamin Bowson. Il capo li aveva tranquillizzati: «L’operazione in corso toglierà di mezzo quel traditore, e l’accozzaglia di criminali che gli sta intorno» aveva detto.
Si sentivano invulnerabili. Biren li avrebbe protetti da ogni rischio. Era sempre stato così. Bowson e il suo gruppo di disperati avevano le ore contate.
Maru, come quando aveva annunciato la partenza, si presentò eccitato nell’appartamento di Oihane Urruela, a riferire del ritorno in città di Garcia e Saidani.
La reazione di Oihane fu asettica, anche questa volta. «L’avevo detto che sarebbero tornati, e poi questi giorni ci sono stati utili» disse, laconica.
Durante l’assenza degli obiettivi il gruppo si era preparato all’azione effettuando numerosi sopralluoghi nei dintorni di Matarò. Luc Daluerre più volte aveva percorso la strada della fuga, che li avrebbe portati in Francia attraverso il confine di Perpignan, e le coppie formatesi per l’agguato, in giorni diversi, avevano cenato nel ristorante frequentato da Saidani e Garcia. Tutto era pronto. Bisognava solo attendere che ai due venisse l’appetito.
«Ho fame!» urlò Magalì attraverso la porta del bagno. Da sotto la doccia Pierre le disse che ancora la mensa era chiusa.
La ragazza guardò le lancette del suo orologio, paralizzate ormai da diversi giorni. «Vado a cambiare le mie pile, ci vediamo alle sette davanti alla mensa» gridò al fidanzato.
L’orologiaio rimase sorpreso quando vide il meccanismo interno dell’orologio. Chiese qualcosa alla ragazza. Magalì non aveva una piena padronanza dell’italiano, e non comprese.
L’uomo lanciò un’imprecazione e cambiò la pila. Le lancette si mossero e Magalì gli sorrise felice.
Raggiunse Pierre già in fila tra gli altri universitari. Passarono con i vassoi in mano davanti a un tavolo dove erano seduti Mario e Antonio, insieme a una ragazza parecchio vistosa. I quattro si scambiarono un sorriso fugace senza salutarsi. Tenevano le distanze, come aveva raccomandato Mister B.
La sala della mensa era molto affollata, c’erano studenti che venivano a Bologna dai posti più disparati del pianeta e vivevano con allegria quell’esperienza irripetibile.
Uno dei tanti seduti sentì il telefono vibrargli in tasca, si alzò e andò verso i bagni, seguito dagli sguardi voluttuosi di molte studentesse. Tirò fuori il cellulare e rispose. «Il compagno di viaggio è resuscitato. È da qualche parte vicino a te».
Jeremy Biren uscì dal bagno e tornò a sedersi, accolto con trepidazione dalle ragazze che cenavano al suo stesso tavolo. Iniziò a guardarsi intorno, lentamente. Aveva visto in foto Magalì e Pierre, ma non era facile individuarli in quella marea multietnica di volti.
Li trovò. Poi li lasciò per un attimo e osservò Mario e Antonio, ancora immersi nella discussione con la ragazza al loro tavolo.
Gli studenti, man mano che finivano di cenare, riponevano i vassoi negli appositi carrelli e uscivano, fermandosi a chiacchierare in capannelli in piazza Puntoni. Pierre e Magalì si unirono a un gruppo di ragazzi che conoscevano.
Mario e Antonio uscirono in compagnia della loro amica vistosa, e nonostante i richiami lanciati da più parti non si fermarono in nessuna combriccola. Gridarono dei saluti e si allontanarono con lei.
Jeremy guardò i due cugini e poi Pierre, vide sparire i primi e restò fermo dov’era.
Il gruppo con i due fidanzati si incamminò, sgranandosi sotto i portici di via Zamboni. Volevano fare un giro, per poi passare la serata in osteria. Nessuno notò il ragazzo alto, dai lineamenti asiatici, che li seguiva a una ventina di metri di distanza.
Luciano Morace guidava dalla mattina. Si era fermato solo il tempo necessario per il rifornimento di carburante.
Superato il casello di Melegnano, imboccò la tangenziale ovest di Milano, e uscì a San Siro. Alle otto parcheggiò vicino allo stadio, davanti alla casa del suo amico.
Luigi Carbone vide la sua faccia nel videocitofono e aprì. Luciano entrò, e senza parlare andò a sedersi sul divano del soggiorno. Posò sul tavolino davanti a sé la foto che ritraeva Carbone in compagnia di Mainardi, con i bicchieri in aria.
Luigi andò a guardarla, la tenne in mano per qualche istante. «Mi preparo e usciamo» disse telegrafico.
Entrò in bagno, si spogliò e si buttò sotto il getto d’acqua fredda della doccia. La fitta di dolore allo stomaco fu lancinante.
Non era la sua coscienza a tormentarlo. In ospedale, il giorno prima, aveva avuto il responso delle analisi a cui si era sottoposto. In pancia gli covava un tumore enorme. Le metastasi ormai erano diffuse.
«Le resta qualche mese di vita», la giovane oncologa era stata brutale. La sua corsa presto si sarebbe fermata, in un obitorio.
Un grumo di sangue gli salì in bocca, lo vomitò con violenza, e lo osservò infilarsi nello scarico della doccia.
Tornò nel soggiorno ripulito, sbarbato e profumato. Era vestito di tutto punto, come per andare a una festa. Prese un sacchetto di tela da un mobile, raccolse la foto dal tavolino. «Muoviamoci» disse.
In auto Luciano si mise alla guida e seguì le indicazioni di Luigi. Parcheggiò davanti a una villetta, nella zona periferica dei navigli. Carbone scese e suonò a un citofono.
Dino Mainardi dormicchiava sul divano, era solo. La moglie era già in vacanza con i figli, nella casa ai Lidi Ferraresi. Rimase di sasso quando vide il viso dell’uomo emergere dalla nebbia dello schermo del citofono.
Luigi appiccicò alla telecamera la foto che si era portato dietro. Mainardi non distinse nitidamente l’immagine, ma si scosse e premette il pulsante d’apertura del cancello esterno. Aprì la porta. Carbone gli porse la foto prima di entrare.
Mainardi si paralizzò, fissando il suo stesso volto che sorrideva, immortalato nella fotografia. Quando ebbe la forza di staccarsi dall’immagine, i suoi occhi si bloccarono sulla pistola che Carbone teneva in mano. Poi lo guardò in faccia. Comprese che la sua splendida carriera stava per finire.
I colpi si succedettero lentamente, uno dopo l’altro. Luigi guardò il corpo martoriato del finanziere e si fermò solo quando non ci furono più pallottole da sparare. Era la prima volta che riusciva ad ammazzare qualcuno senza Leo o Luciano a fianco, pensò con soddisfazione.
Luciano Morace contò le detonazioni e sentì il proprio sangue scorrere. Il gelo che lo aveva attanagliato nelle ultime ore iniziava a sciogliersi. Accolse con un sorriso il rientro in macchina dell’amico.
Mise in moto e si diresse verso la tangenziale, a imboccare il casello di Melegnano. Prese tranquillo il biglietto del pedaggio e iniziò a guidare sull’autostrada, verso sud. A casa finalmente, per sempre.
A Saidani e Garcia la fame venne poco prima delle nove di sera. I baschi che gli stavano dietro li seguirono fino a Matarò.
I due arrivarono con macchine diverse. Entrati nel ristorante, attraversarono la sala principale e si fermarono a chiacchierare col proprietario, che era corso a salutarli. Gli uomini di scorta diedero un’occhiata in giro andando a sedersi, il loro tavolo permetteva di controllare la sala e il corridoio che portava ai bagni e alle salette private del ristorante.
Il ristoratore accompagnò i due ospiti di riguardo nella saletta che gli riservava di solito. C’era un commensale ad attenderli, che li salutò con calore.
Lezana e Hakim furono i primi a entrare nel locale. Posto di lusso, i prezzi praticati raramente consentivano il pienone, così i due poterono scegliere il tavolo a cui sedere. Si accomodarono a qualche metro dai guardaspalle dei loro obiettivi.
A distanza di pochi minuti arrivarono Andrej e Iekora, che si sistemarono dalla parte opposta rispetto alla prima coppia. A completare l’accerchiamento furono Oihane e Mister B., gli si sedettero quasi accanto.
C’erano una ventina di clienti, per lo più coppie in cerca di un ambiente romantico. L’atmosfera era elegante, l’illuminazione soffusa. I camerieri andavano avanti e indietro a servire i tavoli, portando piatti di parsimoniose ed elaborate prelibatezze, opera di un cuoco francese.
Andrej finì l’antipasto e si alzò per andare in bagno. I guardaspalle gli rivolsero uno sguardo distratto.
Fece il suo ingresso in sala una splendida ragazza mora, con indosso un abito tradizionale della Catalogna e stretto fra le braccia un grande mazzo di rose rosse. I camerieri la accolsero con un sorriso e la ragazza iniziò a girare fra i tavoli.
La fioraia fece il suo primo affare con Hakim, che acquistò una rosa, regalandola a Lezana. La seconda rosa la comprò Mister B.
«Con quella faccia venderesti crisantemi a un morto» disse Oihane sottovoce alla sua amica Malen mentre le consegnava il fiore. L’americano comprese come aveva fatto Kismi a procurarsi le foto che lui aveva mandato a don Gino Bonarrigo.
Malen si piazzò poi davanti ai due guardaspalle, chiudendogli con il corpo e le rose la visuale.
Mister B. si alzò e andò verso il bagno, superandolo. Malen prese a scherzare con i due uomini, cercando di convincerli a comprarle una rosa. Uno dei camerieri si avvicinò a darle man forte. Nel ristorante la presenza di Malen doveva essere abituale da qualche tempo. La sua eleganza e la sua bellezza erano ritenute consone al locale, dal proprietario e dai clienti.
I guardaspalle parlavano spagnolo con un accento straniero. Uno dei due infilò la mano in tasca e tirò fuori una banconota che diede alla fioraia.
Hakim si alzò e raggiunse i suoi complici. Sapevano dove andare, alle salette.
Entrò per primo Andrej con la pistola in pugno. I tre commensali non si scomposero più di tanto, forse immaginando una rapina. Ma all’ingresso di Mister B. il sangue di Diego Garcia e Khalil Saidani si raggelò.
Garcia fu il primo a riprendersi e a mettere in scena una delle sue mille commedie, recitate in una vita di malaffare.
A rendersi conto che quella sarebbe stata una tragedia fu Khalil, quando riconobbe Hakim. «Il druso...» soffiò fra i denti.
Il terzo commensale iniziò a comprendere l’epilogo a cui andavano incontro e cercò di smarcarsi. «Io sono un poliziotto, non c’entro con questa gente...».
La frase gli morì in bocca, interrotta dalla pallottola che Andrej gli sparò in fronte.
La detonazione risuonò secca in tutto il locale. I due gorilla si guardarono in faccia sorpresi, fecero per alzarsi, ma si trovarono puntata contro la pistola che Malen reggeva in mano al posto delle rose.
Erano soldati, scovati da Biren fra i marines, pensarono all’ordine del loro generale: proteggere Saidani e Garcia, a ogni costo. La minaccia della fioraia non fu sufficiente a fermarli, portarono le mani alle pistole.
Malen premette il grilletto e uno dei due non fece in tempo a prendere l’arma. Il secondo fu freddato da Oihane un attimo prima che riuscisse a sparare. Iekora sistemò il proprietario del locale, che pistola in pugno aveva imboccato il corridoio delle salette. In pochi secondi le donne misero sotto tiro i clienti e sotto controllo la situazione.
Andrej stroncò la recita di Garcia. Non la smetteva più di parlare, senza rendersi conto che la sua vita di commediante era al capolinea.
Khalil Saidani affrontò la morte con dignità, rivide i volti di Hammude e Nizar sul peschereccio, e attese la fine. Hakim gli andò alle spalle, appoggiò la canna della pistola alla base del cranio e premette il grilletto, liberandosi dal suo male.
Trovarono Luc Daluerre ad attenderli dietro al caseggiato del distributore di benzina. Mister B., Andrej e Hakim salutarono Maru che li aveva accompagnati. Le donne erano già lontane, per un’altra strada.
Luc guidò con calma, raggiunse l’autostrada e si immise nella corsia nord, in direzione della Francia.
A Torino Luca Bonarrigo, dopo aver cenato nella mensa universitaria, uscì insieme a un gruppetto di suoi compaesani. Andarono al cinema, a vedere un film.
All’uscita chiacchierarono un po’ davanti alla sala. Qualcuno disse che era tardi e iniziò a salutare. Luca aveva una strana sensazione, niente di preciso, ma si era sentito osservato per tutta la...
Table of contents
- AMERICAN TASTE
- Colophon
- Indice
- Lo stesso sole
- En cavale
- Dal tramonto all’alba
- Driadi e Amadriadi
- Vacanze greche
- L’amie du cœur
- Brothers in arms
- La fame
- Ocean
- Vecchi amici
- I personaggi