Don Antonio e l’ultima messa
La settimana santa procedeva col suo ritmo lento e denso di emozioni, con i suoi rituali religiosi un po’ contaminati dalle credenze popolari e dal paganesimo paesano.
Per Domenica, perpetua di mezza età, si trattava di un periodo di grande eccitazione che trovava pari solo nella vigilia di Natale, altro evento che movimentava la sua tranquilla vita dedicata da quasi vent’anni alla cura dell’amato parroco del paese, Don Antonio.
La giornata era stata piovosa, “anche il tempo si prepara al venerdì santo”, pensò. Avvicinandosi alla finestra, vedeva tuttavia l’orizzonte schiarirsi; le nuvole, allontanandosi, lasciavano il posto alle stelle e alla splendente luna di Pasqua che illuminava il cielo a giorno.
Mimma, così l’aveva sempre chiamata Don Antonio, aspirava a pieni polmoni quell’aria tiepida e profumata di primavera che entrava dalla finestra nella sua cucina. L’indomani era ricco di promesse. Si sarebbe alzata presto per organizzare il pasto del parroco; era di precetto mangiare pesce il venerdì, doveva andare al mercato per acquistarlo e poi c’era da preparare e stirare l’abito viola che il sacerdote avrebbe dovuto indossare alla processione.
«Per domani, niente scuola serale», pensò.
Non c’era tempo per quelle cose, non aveva svolto i compiti che la signora Maria, insegnante di buona volontà, le aveva assegnato. Non era stato facile persuadere lei, analfabeta per tradizione di famiglia, ad accettare di sottoporsi per qualche ora serale all’apprendimento del leggere e dello scrivere: tali attività non le erano state concesse da bambina e per tutti i suoi bisogni era stata sufficiente quella bella croce che diligentemente e con mano maldestra apponeva al posto della firma all’ufficio postale. Ultimamente si era convinta di quanto fosse importante l’istruzione per la perpetua di un sacerdote così influente in paese; il suo sogno era poter seguire la messa dal vecchio breviario che Don Antonio le aveva regalato alcuni anni prima.
Il sonno tardava a venire, ma pensando e ripensando finalmente si addormentò e all’indomani preparò con cura l’abito del prete e i paramenti sacri, lustrò la pesante croce d’argento massiccio che lui avrebbe dovuto portare durante la processione e solo a quel punto si dedicò alla preparazione dell’unico pasto a base di pesce previsto dalla giornata di penitenza.
Grande fu il suo stupore, quando, entrando in cucina, trovò Don Antonio seduto al tavolo intento ad affettare e a mangiare un profumato prosciutto che lei aveva gelosamente conservato in cucina per il pranzo della domenica.
«Misericordia! Don Antonio mio!… e che fate? Di quaresima, di venerdì santo vi mettete a mangiare carne?!».
Ultimamente il comportamento del parroco la stava inquietando: entrava a tutte le ore nella sua cucina, “saccheggiava” letteralmente la dispensa; anche la notte si alzava per mangiare!
Spesso era scontroso con i fedeli ma, e ciò la turbava ancor di più, era poco interessato all’organizzazione dell’attività della chiesa, distratto da chissà quali pensieri, passava la maggior parte del suo tempo a non far nulla, nella più completa apatia.
«Don Antonio sta invecchiando,– si diceva Mimma – non è più quello di un tempo!».
Era facile per lei tornare indietro nei ricordi velati di malinconia e apprensione e rivederlo giovane e, perché no?, anche bello, circondato dai bambini del paese che gli ronzavano intorno quasi come le api al miele, intento a dire messa col suo tono solenne, con quella passione che solo la fede è in grado di trasmettere.
Don Antonio era un uomo colto, con i suoi sermoni aveva incantato le donne del piccolo paese; gli uomini, sempre un po’ più in disparte, non gli avevano mai negato stima e rispetto. Le sue frasi in latino buttate là al momento giusto avevano il potere di ammaliare la folla e i fedeli si sentivano onorati nel partecipare alla sua messa quasi come se avessero potuto assorbire una parte della sua cultura.
Gli avvenimenti del venerdì santo avevano turbato la povera Mimma, forse anche un po’ smussato il suo entusiasmo; di buona lena riprese le attività della sua giornata, ma un tarlo, un pensiero latente, un’ansia sempre più intrusiva nella sua mente non le consentiva di distrarsi un attimo: era suo dovere preciso tener d’occhio il parroco, affiancarlo un po’ di più prima che combinasse qualche guaio in pubblico.
Immaginate la sua faccia quando lo vide presentarsi alla processione abbigliato a festa, l’abito bianco splendente nelle sue volute d’oro, un’aria trionfale da gran cerimonia, un sorriso smagliante e inadeguato alla circostanza triste e mesta.
«È uscito di testa, mio buon Dio!», pensò Mimma che subito si ripromise di informare la sorella del curato; prima che qualche pettegolezzo potesse arrivare al vescovo, era necessario che il nipote medico lo visitasse e gli desse una cura per farlo rinsavire.
E pensare che lei aveva sperato per Don Antonio un futuro brillante; certo non si aspettava un ruolo in Vaticano, ma con le sue virtù di certo avrebbe potuto affiancare il vescovo stesso come segretario o forse, perché no, qualche cardinale!
Il sabato successivo passò lentamente fra le faccende domestiche, la sistemazione dei fiori in chiesa e i preparativi del pranzo di Pasqua.
Nel paese si respirava un’aria mesta, gli accadimenti del giorno prima furono l’argomento principale della conversazione fra i paesani. C’era infatti chi, stupito per l’accaduto, nutriva affettuosa preoccupazione per il buon parroco che tanto aveva fatto per tutti loro e chi, prendendo spunto dagli ultimi avvenimenti, stimolava pettegolezzi e maldicenze o più semplicemente sollevava l’ilarità generale davanti a un bicchiere di vino, giocando a carte al bar della piazza.
Il giorno di Pasqua finalmente arrivò. Una luminosa giornata di sole sembrò rinfrancare lo spirito della povera Mimma che, invano, la sera precedente aveva cercato di spiegare a Don Antonio gli errori commessi durante la processione.
La chiesa era piena di gente e Mimma osservava in disparte, quasi spiando dalla porta della sagrestia: le vecchie fedeli un po’ bigotte, quelle che ripetono messa a bassa voce appresso al prete, che conoscono tutte le canzoni e si affannano a produrre un coro stridulo e stonato durante le funzioni, si erano sistemate ordinatamente nei primi banchi, e via via tutto il paese si era disposto a riempire ogni angolo accessibile della piccola basilica di San Francesco, dando quasi l’impressione di esser in attesa di un qualche evento speciale.
E… lo spettacolo non tardò a iniziare!
La messa fu celebrata in modo solenne, come si addice a una festività così importante; Don Antonio fece un bel sermone, forse un po’ troppo lungo e ripetitivo negli argomenti, ma Mimma tirò un sospiro di sollievo mentre ci si avviava alla conclusione della funzione.
Al momento della comunione, prima di dispensare l’Eucarestia ai fedeli, Don Antonio bevve rumorosamente dal calice d’oro il vino consacrato e si asciugò le labbra alla manica delle veste bianca che indossava. Dopodiché, prese la prima ostia consacrata e la mangiò; ne mangiò un’altra e poi un’altra ancora. Iniziò, quindi a dispensare le ostie ai fedeli che, oramai attoniti, si avvicinavano all’altare; per ogni ostia che dispensava, un’altra la mangiava e andò avanti così fino alla fine della celebrazione quando con aria soddisfatta salutò e ringraziò tutti i partecipanti alla funzione.
Dal suo angolo Mimma osservò la scena in silenzio. Da lontano le giungevano le risatine soffocate e il brusio sommesso dei commenti della gente.
Lei, invece, non aveva più parole. Le lacrime le riempivano gli occhi e le bruciavano sul viso. In quel momento riuscì solo a pensare che quella era stata l’ultima messa di Don Antonio.
Don Antonio, è tratto dalla storia di un sacerdote che dall’età di 64 anni manifesta disturbi della memoria, modificazioni del carattere, difficoltà di concentrazione. Vicario generale della Chiesa, persona “rigida e tutta di un pezzo” inizia a intascarsi i soldi delle messe, a sbagliare la lettura dei salmi e a saltare gli orari delle funzioni religiose. Inoltre, manifesta un disturbo di linguaggio per cui è costretto a leggere le omelie. Nell’arco degli anni successivi, progressivamente emergono disorientamento nello spazio e nel tempo, difficoltà nell’abbigliamento e nel riconoscimento dei volti, appetito smodato, comportamenti non adeguati al ruolo sociale, ritiro dagli interessi.
Il paziente viene sospeso dal ministero sacerdotale quando i segni conclamati di malattia interferiscono con lo svolgimento delle sue funzioni.
Egli è affetto da una forma genetica di Demenza frontotemporale.
Sergio e l’amore ritrovato
Lei guidava l’automobile in una grigia giornata d’inverno, schivava le pozzanghere con lentezza, mentre la pioggia cadeva scrosciante sulla strada.
Marina non riusciva a vedere bene cosa avesse davanti, il tergicristalli si muoveva ritmicamente come seguendo la musica della pioggia, ma erano le lacrime che le allagavano gli occhi ad annebbiarle i contorni, a darle la sensazione che da un momento all’altro sarebbe potuta andare fuori strada e porre fine a quella terribile realtà che si presentava come un incubo. Forse non sarebbe stato il male peggiore. Stava vivendo un dolore sordo, pervasivo nell’anima e nel corpo, simile nella sua intensità solo alle gioie più grandi. Rivedeva, nei ricordi che le si affollavano prepotenti tutti insieme nella men...