Cominciamento
La rosa fiorÏ lungo un sentiero battuto dal bestiame, e prese a profumare il posto che aveva. Non fiatò quando passarono gli armenti e per le loro zampe non sapeva piÚ se fosse terra o petalo.
Infine la rosa sorrideva.
âAllora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggĂŹ via nudo.â
(Mc 14, 50-52)
Antonia Cristallo, mia nonna, dice che noi fummo sempre poveri e mai tamarri: il tamarro è uno che la terra gli basta, il povero invece alza gli occhi in cerca dâazzurro. Da anni mia madre replica a sua suocera che povero è il cane, perchĂŠ ha solo la coda. Ma un giorno io ho dichiarato dâessere pronta a scodinzolare nel vento, pur di non perdere il cielo di vista. E mio padre ha sentenziato che sono uguale ad Antonia Cristallo.
Stanotte ho acceso a tavola una candela per tutta la famiglia. Il nostro cenone di fine anno comprendeva lo stocco fritto: nonna mangia solo il pesce secco e salato che ha conosciuto quandâera giovane. Mia madre in piĂš ha cotto una pentolata di lenticchie. âLe lenticchie portano soldiâ spera ogni anno Nicca Fiori, Baronessa di Babbumannu. âE papĂ li spendeâ aggiungo sempre, per precisione.
Guido Sirace, Visconte di Verolea, non mi ha sentita dubitare della sua capacitĂ di risparmiare denaro: il trentuno dicembre mio padre lo passa a rosicchiare finocchi, insultando a bocca piena il Presidente della Repubblica che dalla televisione fa gli auguri agli Italiani. E papĂ non li gradisce gli auguri dei politici.
A mezzanotte però brindiamo con lo spumante dolce e mangiamo pandoro senza zucchero a velo, intanto che Antonia Cristallo piange per i morti e prevede che questo è proprio lâanno in cui raggiungerĂ gli assenti. Tardi o presto la previsione la azzeccherĂ .
Dopo il brindisi scendo nel freddo della strada deserta per spaccare contro lâasfalto un piatto solitario, un vasetto di vetro o una tazzina senza manico, ma la tazzina è dura da rompere allora rimbalza, e le corro appresso in discesa per finirla a dovere. Antonia Cristallo, vedova casta di Giuseppe Sirace, dice che questâuso napoletano di lanciare spazzatura nella via me lâha trasmesso in sogno la buonanima di suo marito, e io le spiego che il lancio ce lâho nel sangue.
âVeritĂ germoglierĂ dalla terra e giustizia si affaccerĂ dal cielo.â
(Sal 85)
Ho deciso da un poco di appuntare sullâagenda la vita che faccio. E mi piace riempire fogli con sopra il numero del giorno: non ho tutto lo spazio e tutto il tempo, quindi è giusta una carta che contando me lo ricorda.
Mio padre è rientrato con una sporta di cavoli e cipolle e mi ha scoperta con la penna in mano, allora mi ha domandato se scrivevo, e io gli ho risposto che non mi riesce di inventare niente. âMa uno che non inventa, non può scrivere lo stesso?â mi ha chiesto lui deluso.
Allâidea della figlia scrittrice papĂ sâera abituato quando il giornale del paese mi stampò trenta copie di un racconto dal titolo Piove e basta. Guido Sirace camminava col mio scritto dentro la tasca, come i Testimoni di Geova girano bussando alle porte con la Bibbia fra le mani, ma presto capĂŹ che in piazza, per quella storia sul giornale, finanche i lampioni si scostavano al mio passaggio. CosĂŹ una sera il Visconte di Verolea rinunciò allâuscita pomeridiana, ma non disse nulla, solo archiviò il giornale sulla sua scrivania, in mezzo alle bollette pagate.
âAdesso scrivine unâaltra di storiaâ mi pregò mio padre, dopo qualche giorno. âE di cosa scrivo?â gli domandai sbucciando carote e patate per il minestrone. âScrivi di me, tanto io non mi offendo se racconti la veritĂ â si sacrificò.
A proposito di veritĂ : papà è un operaio del gas in pensione e mia madre una casalinga istruita. I titoli nobiliari sono uno scherzo di famiglia, ma la storia sarebbe troppo lunga da scrivere tutta prima di cena. Per ora basta dire che Verolea è un pendio scosceso dove Guido Sirace da anni guarda gli ulivi crescere e dare il frutto che possono. Le volte che papĂ torna dal frantoio del paese col bidone pieno dâolio, subito corriamo al forno per comprare il pane caldo, lo spacchiamo e lo condiamo, in ultimo ci spolveriamo sopra sale e origano, poi mastichiamo in silenzio intorno al tavolo. E in cucina si avverte solo lo scricchiolio felice che Antonia Cristallo fa con la dentiera. Alla fine io bevo acqua fresca e bacio ridendo il pane e la bottiglia untuosa: il bacio è la mia preghiera. âMagara brutta!â mi rimprovera nonna. Per Antonia Cristallo ogni gesto di troppo è femminea magheria. Infatti quando vide per la prima volta Nicca Fiori, sbarcata fresca dalla Sardegna in continente, notò le sue unghie lunghe e inquiete, la sigaretta accesa e i capelli neri sciolti sulle spalle, e pensò che suo figlio sâera sposato una gatta nana. Mia madre fece finta di non capire il pensiero di Antonia Cristallo, ma cominciò a chiudersi nel gabinetto a leggere Grazia Deledda. E a forza di romanzi, mamma diventò la Baronessa di Babbumannu. Provai a ricordarle che suo padre, mio nonno, era un fiero vaccaro, ma Nicca Fiori precisò che suo padre era un allevatore, quindi uscĂŹ a camminare nel sole dâagosto. Prima però indossò unâaltera paglietta ornata da un nastro a fiori, ed era bella come una di quelle bambole sedute a gambe larghe sui comò di certe camere da letto.
âAlzati, prendi la tua barella e va a casa tua.â
(Mc 2,11)
Qui è casa per me. Ci sono ritornata con la laurea ed ero felice sul treno che da Perugia scendeva a Sud. Di quel viaggio ricordo solo una donna che esaminava scrupolosamente la maglia con le cuciture a vista che i compagni dâuniversitĂ mi avevano regalato il giorno prima. La donna, per indagare meglio, inclinava il collo. âSignorĂŹ, tenete la maglia arrovescio!â mi disse, sicura di essere nel giusto. âSignò, è modaâŚâ la rassicurai sorridendo. La donna tacque per un istante, guardò fuori dal finestrino la parata di panni al sole che annunciavano Napoli, poi si preparò a scendere domandandomi dove fossi diretta. âLamezia Termeâ risposi piano. âSignorĂŹ, giratevâa maglia, châa Lamezia âa moda nnâa capisconoâŚâ mi raccomandò sospirando la signora napoletana.
Subito mi sfilai il maglione: le cuciture ritrovarono il loro posto, e io il mio. E quando ci si rassegna alla veritĂ , si riconosce immediatamente il proprio posto, e non se ne pretende uno diverso, perchĂŠ lâangolino che ci spetta è tutto il paradiso di cui siamo capaci sulla terra. In cielo magari le cose cambiano.
Sui binari câera mio padre, immerso in un mare di voci alte, di risate larghe e di occhi piĂš vivi che altrove. Intorno a noi passi strascicati e dubbiosi si sveltivano scorgendo un volto amato: le facce sono il vero arrivo.
Appena fuori dalla stazione, un venditore ambulante pesava un cartoccio di frutta, e lo porgeva a una giovane donna che annuiva soddisfatta. âNellâorto del Signore devono campare tutti!â gridava allegro il fruttivendolo, per vantare i prezzi invitanti di cui godevano i suoi clienti.
In quel preciso momento sentii dâamare il Sud perchĂŠ ti lascia campare senza chiederti nulla, come una melanzana viola nei campi rossi di tramonto.
âSiederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e piĂš nessuno li spaventerĂ , poichĂŠ la bocca del Signore degli eserciti ha parlato!â
(Mi 4,4)
Davanti al muro di casa nostra câè un fico selvatico: era un virgulto quando i bimbi del quartiere lo steccarono con un legnetto per fargli sconfiggere il vento, poi stabilirono di innaffiarlo ogni sera. Le donne piĂš anziane avrebbero voluto estirpare lâalbero, con la scusa che le radici spaccano muri e strade, i rami e le foglie chiamano i fulmini, mentre col bel tempo tolgono luce, in piĂš i frutti maturi cadono e sporcano lâasfalto. Ma alle vecchie rammentai che la pianta era nella nostra proprietĂ , e che doveva restarci, proprio perchĂŠ per vivere sfidava cemento e bucava pietre. Ad Antonia Cristallo la discussione non interessava, ma si affacciò. âRosamia ha ragione!â disse alle vicine. E Rosasua sono io.
Oggi il fico è un generoso ombrello di smeraldo: lâestate ripara dalla calura e sfama uccelli e api, in autunno poi copre di foglie il nostro balcone, e i rami spogli tagliano la luce e ci disegnano figure sulle piastrelle della cucina.
Col freddo, quando câè legna da ardere, noi donne restiamo in casa, cuociamo i fagioli nel caminetto e ci godiamo la fiamma: Antonia Cristallo sonnecchia dentro lo scialle marrone, Nicca Fiori e io guardiamo in televisione i capelli, i vestiti e i gioielli delle donne. A volte suona il campanello e stringiamo le sedie per far posto. Prima alla porta scampanellavano la Risa o la Truscia, adesso câè rimasta solo la Palombella a farci visita, nei mesi in cui arriva in pullman da Torino, dove ha traslocato giusto perchĂŠ i figli ce lâhanno trascinata con la paura che si trascurasse.
La Palombella è lâunica amica della Baronessa di Babbumannu. Anche la Truscia e la Risa le piacevano, ma ormai abitano al camposanto, cosĂŹ mamma ha murato le finestre con tre tende arancioni, e per svagarsi fuma in piedi sul terrazzo: il mondo ormai le interessa poco, e dallâalto.
Antonia Cristallo è soddisfatta dâessere lâunica vecchia di casa, perchĂŠ le pesava dividersi lâamore con le vicine.
La Risa era la compagnia che nonna tollerava meglio: aveva un torciglione di capelli neri e il vizio bello di abbracciare la gente piĂš giovane per fiutare freschezza. âProfumo di gioventĂš!â gridava respirando nellâincavo del mio collo, e io ridevo per il solletico che mi procurava il suo fiato allâanice. Da anni la Risa abitava sola, ma ogni tanto la notte i vetri delle sue finestre crepitavano: un vedovo ottantenne li colpiva con pietre in amore. Ed era dolce e ardita insieme quella pioggia di fuoco tardivo.
Da ragazza la Risa si era scoperta gravida senza accorgersene, e la bimba lâaveva regalata a qualcuno, come si regala un giglio bianco. âEra bella, sai?â mi raccontava le volte in cui, per qualche litro dâolio, raccoglieva olive con noi, e a fine giornata mangiavamo insieme pasta e pomodoro alla tavola del Visconte di Verolea. Con la vecchiaia, la Risa godeva di un amante rugoso, della casa e della pensione di reversibilitĂ : si era meritate tutte e tre le cose cambiando il pannolone allâuomo che lâaveva sposata apposta prima di morire. Alla Risa piacevano i liquori dolci e il vino rosso, le camicie a colori sgargianti e la musica a tutto volume: aveva comprato uno stereo portatile da Alfredo il Marocchino, e con le canzoni napoletane faceva ballare tutte le bomboniere, i bicchierini e le statue di santi della camera da pranzo. Da quando la Risa è morta, il suo santâAntonio prega in pace sul mio comodino.
La Truscia poi me la ricordo zampillare da sotto la gonna meglio di una fontana: sâera arresa a quella pratica impudica appena il bagno allâultimo piano le era sembrato una vetta inarrivabile per le sue ginocchia. Ancora oggi, se dalla strada risalgo verso il ballatoio delle nostre case strette lâuna allâaltra, quasi vedo per terra lo scomposto fiumiciattolo che la donna lasciava colare dalle cosce allargate ad arte. E mentre il giallo scorreva libero in rivoli fumanti, la Truscia sorrideva amorevolmente ai vicini, e a tutti diceva sempre buongiorno, per educazione.
Ma adesso scrivo qualcosa dellâultima amica viva di Nicca Fiori: la Palombella. La Palombella si chiamerebbe Liberata, ma il suo defunto consorte le cambiava nome per vezzeggiarla, e noi abbiamo continuato. Liberata ha mantenuto la famiglia facendo la bidella, intanto il marito invalido stava a casa a cucinare: era di certo il malato piĂš fecondo del secolo, giacchĂŠ la sua piccola signora gli partorĂŹ sette figli, lavorando senza posa. Ancora oggi la Palombella cuce rammenda pulisce rassetta ricama tesse lavora ai ferri prepara conserve cura vecchi e bambini sgozza animali lavora carni coglie frutta impasta tagliatelle inforna pani fa il bucato a mano si lava i capelli e li attorciglia sui i bigodini, infine prega il rosario con Radio Maria. E a primavera spalanca il balcone e le preghiere nellâaria ricalcano il volo delle rondini, e tutta la via scopre che la Palombella è sintonizzata col cielo, ma sbadiglia nella sua casa color buccia di pesca. Va detto però che la casa della Palombella è color buccia di pesca solo per lei: non si è intesa con lâimbianchino del paese, allora quella che doveva essere una facciata rossastra ha virato pericolosamente al rosa, tanto che gli autisti degli autobus ci sbandano davanti, frenano e inforcano gli occhiali da sole. âTi piace comâè venuta la casa?â mi ha domandato la Palombella. âChe colore è?â le ho chiesto improvvisando una risposta gentile. âBuccia di pescaâ mi ha detto lei. âMa pesca abbagliante!â mâè scappato di bocca. E la Palombella non si è offesa. âIl sole la scoloraâ ha concluso con un sorriso. Ecco: la Palombella è una di quelle donne che sanno che tutto sbiadisce, prima o dopo. Forse è per questo che la Baronessa di Babbumannu si rivolge con un rispettoso âsignoraâ a quella che per noi tutti è la Palombella.
âRendi salda per noi lâopera delle nostre mani, lâopera delle nostre mani rendi salda.â
(Sal 90)
Oggi ho viaggiato in autobus fino a Catanzaro: mi hanno assegnato tre giorni di supplenza in un liceo. Per arrivare a scuola in tempo, ho preso la corsa delle sei meno un quarto. Intorno avevo gli occhi della mattina presto, quelli gonfi di sogni spezzati dalle sveglie a batteria, poi lâautobus delle Ferrovie della Calabria ha mangiato le ultime curve scivolando nel sole che sorgeva dal mare, e i finestrini erano televisioni con il Golfo di Squillace in onda, mentre lâautista guidava veloce con la radio che dava un programma di musica romantica: cantavamo tutti sottovoce e pareva una gita scolastica.
Pietro, lâautista svelto, rideva di cuore e raccontava di cani randagi che salgono sullâautobus, di gente che non ha soldi per pagare il biglietto e se lo fa offrire come un caffè, di genitori anziani che vanno allâospedale con i mezzi pubblici per non scomodare i figli, di uno con la gamba finta che monta in carrozza ubriaco perchĂŠ è triste per la gamba vera che gli manca. E io ascoltavo le storie di Pietro e viaggiavo molti viaggi insieme, e quasi non mi importava piĂš di averne uno per me, perchĂŠ certe volte adattarsi in silenzio al viaggio degli altri è un modo segreto per andare nel posto giusto. Ma in certi momenti Pietro stava zitto: si perdeva con la testa in una canzone speciale solo per lui.
Sullâautobus câera anche lâAvvocata, una donna del mio paese che non ha ancora deciso se lavorare in tribunale oppure vendere bambole, collane e confetti, allora ha inchiodato due insegne diverse sulla porta di casa sua, e in strada attende cause e clienti con una bambola in braccio, e la culla con dolcezza.
Pioveva piano a Catanzaro, ma un uomo gentile mi ha accompagnata fino al liceo con il suo ombrello.
In classe uno dei ragazzi mi ha chiesto se poteva sbucciare una castagna mentre facevo lezione, e io ho risposto di sĂŹ.
Alla fine del mio primo giorno da insegnante, sapevo che quella non era la mia strada. Prima di ripartire, ho bevuto un caffè al bar della stazione: la cameriera ha disprezzato con uno sguardo le mie scarpe fuori moda, e di me non le importava altro.
Antonia Cristallo ha sempre girato per casa con un paio di ciabattine, e gli stivaletti di pelle buona con la cerniera di lato li conservava incartati dentro una scatola: non sperò mai un giorno, una festa o un cammino che meritasse le scarpe belle, e i suoi piedi a calzarle. CosĂŹ nonna gli stivaletti ancora nuovi me li ha lucidati per andare a messa e al lavoro, quando ce nâè.
Sullâautobus che risaliva al paese ho attaccato la tempia al finestrino freddo: ripensavo al giorno in cui confidai ad Antoni...