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Fenomenologia del cinepanettone
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I cinepanettoni: film di enorme successo e autentici cult contemporanei. Malgrado ciò rimangono, a livello di studio, ancora praticamente inesplorati. Questo libro è una storia analitica di un fenomeno unico per la cui comprensione si offrono vari spunti, mettendo l'enfasi soprattutto sull'aspetto carnevalesco, perfino utopico del filone. Oltre ai capitoli dedicati alla spesso negata varietà di tale produzione filmica, alla diffusa nostalgia sentita per il suo capostipite (Vacanze di Natale del 1983), e all'analisi del consumo dei cinepanettoni condotta mediante questionari in rete, il libro contiene un'ampia e vivace selezione delle numerose interviste condotte dall'autore con attori, registi, produttori, critici e fan.
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Subtopic
Film History & CriticismCAPITOLO 1
Vacanze di Natale a Trastevere
Il 21 dicembre 2011 sono andato a vedere Vacanze di Natale a Cortina per la seconda volta, scegliendo una delle sale storiche di Roma: il Reale, un cinema a due sale di Trastevere. È andata a finire che mi sono ritrovato da solo, in pratica una proiezione privata del film. Era mercoledì sera e poco prima dell’ultimo spettacolo, alle dieci e mezza, a prendere i biglietti insieme a me c’erano solo altri quattro clienti, due giovani coppie per Il gatto con gli stivali che davano nell’altra sala.
Forse è sbagliato considerare quella sala desolatamente vuota una conferma della nient’affatto fenomenale performance al botteghino di Vacanze di Natale a Cortina: il film ha incassato 11.7 milioni di euro al box office, una cifra relativamente modesta per gli standard dei film di Natale targati Filmauro. Tuttavia, come fa notare Neri Parenti, «questi film vivono molto degli incassi del giorno di festa»1, e la mia speranza di trovare molta gente a un ultimo spettacolo di mercoledì era troppo ottimistica. In ogni caso, approfittando della magnifica solitudine, mi sono scelto il posto migliore della sala (settima fila, centrale, dove non avrei dovuto storcermi il collo per guardare lo schermo dalla giusta angolazione), pronto a godermi di nuovo il cinepanettone dell’anno.
L’audio in sala non era granché e molti dialoghi ed effetti sonori si capivano a malapena, facendomi perdere alcune delle cose che mi erano piaciute alla prima visione. D’altra parte ho notato invece ancora più product placement, alcuni esempi addirittura sfrontati: una trama secondaria interamente intrecciata attorno a una Fiat Panda, per esempio (mi diverte il lato kitsch del product placement, anche se lavorare per il piazzamento pubblicitario di un prodotto deve essere umiliante per gli attori). Infatti sarà proprio la pubblicità di un prodotto specifico a dare l’occasione per il rifiuto simbolico del termine cinepanettone: durante la scena d’apertura uno dei personaggi rifiuta un costoso panettone vistosamente impacchettato (altro product placement?): «Ma lo tenga pure lei, signorina». Enrico Vanzina dell’etichetta «cinepanettone» ha detto: «Mi fa ribrezzo la parola, è una cosa che mi fa schifo»2. Vanzina, fra gli sceneggiatori di Vacanze di Natale a Cortina (di ritorno al film di Natale, e alla vecchia formula, dopo una pausa durata una dozzina d’anni), sembra in effetti averne approfittato per esprimere tutto il suo disgusto.
Sia che li chiamiamo cinepanettoni o in modo più neutro film di Natale, questi sono comunque film pensati per essere visti in compagnia. Ma anche stando da solo mi è venuto comunque da ridere alle scene con Christian De Sica e Sabrina Ferilli (anche se entrambi non sono sfruttati bene nel film) e ho riso della sfortuna dell’altro, tipico Schadenfreude, quando il film ha esposto – un classico del genere – il super-virile maschio italiano di turno alla minaccia e all’ambiguità di un tête-à-tête tra uomini. La scena è questa: De Sica cala i pantaloni del ragazzo siciliano interpretato da Dario Bandiera, e lo fa urlando «Voglio vedere l’uccello!» (in realtà sta cercando un tatuaggio a forma di uccello), e proprio in quel momento la coppia è sorpresa distesa sul pavimento da un gruppo di invitati tutti in ghingheri, tra cui, ovviamente, c’è anche la moglie di De Sica (la Ferilli). La negoziazione della mascolinità è forse il tema centrale e lo scopo più evidente del cinema popolare italiano, e in questo senso il cinepanettone ne è l’apoteosi.
Alla fine del film ho aspettato a rimettermi la giacca perché volevo dare un’occhiata alla lista di sponsor in chiusura dei titoli di coda, e vedere se casomai mi fossi perso altro product placement. Ma la proiezione è stata interrotta bruscamente da uno stridio meccanico e le luci si accendevano e spegnevano a intermittenza: insomma mi invitavano chiaramente ad andarmene.
Sono uscito dalla sala disorientato e quasi accecato come mi capita spesso, ma questa volta ero completamente solo nel foyer, tanto che un inserviente, incuriosito, mi ha squadrato dalla testa ai piedi con aria interrogativa. Doveva trattarsi del proiezionista o di una maschera, fatto sta che era chiaramente divertito dal personaggio eccentrico, probabilmente straniero, che si era andato a vedere da solo il cinepanettone. L’ho ignorato e mi sono girato verso l’uscita, una fila di porte a vetri. Ero però ancora stordito e con gli occhi che cercavano di riabituarsi alla luce, e così mentre spingevo invano una delle porte mi sono accorto che quella accanto invece era già spalancata. Allora la maschera è esplosa in una risata di scherno, ovviamente per attirare l’attenzione di un collega sulla mia sbadataggine.
Da spettatore pagante e serio studioso di cinema italiano, non ho potuto sopportare oltre, e, girandomi per tornare indietro e protestare, mi sono accorto che la maschera aveva già chiuso a chiave la porta, e mi fissava da dietro i vetri con espressione beffarda, emettendo anche una sorta di risatina sprezzante. La mia reazione era rimasta solo un gesto da film muto, e così mi sono voltato e sono andato via. Qualche minuto più tardi, però, su Ponte Garibaldi ho sentito di nuovo lo stesso sghignazzare beffardo e infatti erano proprio quei due di prima, il buffone e il collega, che mi passavano accanto in moto (almeno non mi sono beccato una lattina di birra in testa come è capitato a John Malkovich su quell’autostrada in New Jersey…).
Fino a che punto la derisione dell’uomo era stata suscitata dalla scelta del film? O forse era dovuta semplicemente al fatto che fossi andato al cinema da solo? L’esperienza è stata comunque significativa e rivelatoria di un qualcosa che ho avuto l’occasione di notare più volte: il particolare tipo di disprezzo che la cultura cinematografica italiana prova per il cinepanettone e per chi va a vederlo. Questo disgusto emerge chiaramente da come viene descritto il tipico spettatore da cinepanettone in risposta al questionario da me ideato e reso disponibile online (vedi capitolo 5); in una delle risposte si parla dello spettatore in questi termini:
Un uomo porco a cui piace vedere culi e tette al vento […] e che si diverte con volgarità e espressioni dialettali e che si masturba ripensando alla battona di turno che ha recitato nel film.
Forse è così che mi ha visto la maschera del Cinema Reale, e forse una percezione di questo genere potrebbe spiegare la sua reazione alla mia presenza solitaria al cinema. Come affermo nel capitolo 5, a colpire nella definizione qui sopra è la forza del linguaggio usato: dato il successo del cinepanettone e il suo rivolgersi a un pubblico variegato fatto di famiglie e persone d’ogni genere ed età, mi sembra piuttosto improbabile che il suo spettatore tipo possa essere inquadrato con tale sicurezza e per giunta entro caratteristiche così precise. Comunque, per molti il cinepanettone rimane non solo un problema di natura estetica, ma anche culturale: è il genere di film sbagliato guardato dal tipo di spettatore sbagliato.
Con questo libro vorrei riuscire finalmente a indagare un fenomeno cinematografico che è arrivato a una tale popolarità e a una tale longevità, nonostante sia detestato, come il suo pubblico, praticamente da tutti. Da non italiano è stato proprio questo dilagante disprezzo a incuriosirmi e a farmi venire la voglia di studiare il cinepanettone:
gli antropologi ritengono che i migliori punti d’entrata, nel tentativo di penetrare una cultura straniera, siano quelli in cui questa si mostra più opaca. Quando realizzi che ti sta sfuggendo qualcosa – una battuta, un proverbio, un’usanza – che invece è particolarmente significativo per i madrelingua, stai scoprendo anche il punto esatto da cui afferrare un sistema di significati per poi chiarirlo3.
Il cinepanettone è stato per anni «particolarmente significativo» per molti italiani come parte delle tradizioni natalizie, mentre per altri è il simbolo di tutto ciò che dovrebbe essere invece disprezzato e di cui bisognerebbe vergognarsi. Per dirla con Massimo Ghini, il cinepanettone è «una sorta di totem che serve a riunire tutti contro qualcuno»4.
Anche se sono straniero ho imparato a ridere con il cinepanettone e ho cercato con questo libro di contestualizzare il disprezzo che gli viene rivolto. Il fascino del filone sarà anche diminuito: gli attori più amati non sono più giovani e altre commedie italiane sembrano oggi essere più in grado di rappresentare o sconfessare aspirazioni e ansie sociali, ma il cinepanettone ha comunque occupato per lungo tempo un posto unico nel cinema italiano. Questi rimangono pur sempre film ricchi di spunti, spesso riusciti e, perché no, anche brillanti: uno studio che prenda il cinepanettone finalmente sul serio e senza pregiudizi è da troppo tempo necessario.
1. Intervista con l’autore, Roma dicembre 2010. Vedi capitolo 6.
2. Intervista con l’autore, Roma gennaio 2011. Vedi capitolo 6.
3. R. Darnton, citato nell’introduzione a H. Jenkins, K.B. Karnick (a cura di), Classical Hollywood Comedy, Routledge, London 1995, p. 7.
4. Intervista con l’autore, Roma gennaio 2011. Vedi capitolo 6.
CAPITOLO 2
Fenomenologia del cinepanettone
L’industria cinematografica italiana è spesso data per morta ma produttori e registi alla fine sono sempre sopravvissuti grazie a film per un pubblico popolare e invisi alla critica. Fin dagli anni Ottanta, prima in maniera irregolare e poi annualmente, il produttore Filmauro e altri hanno realizzato una serie di commedie finalizzate a uscire in sala a Natale, note colloquialmente come cinepanettone. Sia in ambito accademico che in quello giornalistico, il cinepanettone è sinonimo di bassa qualità e una metonimia per la decadenza della cultura cinematografica italiana. Tuttavia, il cinepanettone ha avuto talmente tanto successo da diventare per molti italiani parte dei rituali festivi. La visione al cinema del nuovo cinepanettone ha in sé, inutile dirlo, aspetti rituali: è certamente un fenomeno che va studiato.
Questo mi porta al titolo del libro. L’uso del termine fenomenologia non può non far venire in mente l’analisi svolta da Umberto Eco sul successo e sul fascino di Mike Bongiorno, nel breve ma arguto studio Fenomenologia di Mike Bongiorno1. Nonostante ammiri l’analisi di Eco, vorrei distinguere il mio tono e approccio dal suo: Eco è pungente, ironico e sarcastico, e l’aver usato una parola polisillabica come fenomenologia suona più come una presa in giro riferita al contesto della personalità televisiva e al suo pubblico. L’atteggiamento di Eco è il segno del tentativo di volersi distinguere dall’oggetto in esame, e, nonostante il suo lavoro sulla cultura popolare sia stato per molti versi pioneristico, è chiaro come egli tratti Mike Bongiorno (e il suo pubblico) come «altro»2. Non mi preoccupa tanto l’essere ironico o pungente quando parlo di cinepanettone o del suo pubblico, e in questo libro il modo di usare il termine «fenomenologia» deriva più direttamente dal suo uso negli studi di religione. Nel passaggio qui sotto provate a cambiare la parola «cristianità» con «cinepanettone», e «credente» con «spettatore»:
Fenomenologia è una parola lunga usata per dire due semplici cose. La prima, troppo spesso ignorata, è il ricorso all’empatia: vedere quello che gli altri agenti vedono, o, in questo caso, vedere ciò che il credente vede – cercando di entrare nel mondo del pensiero cristiano, ma non necessariamente con l’approvazione (o la critica) di un particolare punto di vista. […] Il secondo significato di fenomenologia è invece analisi e classificazione3.
Ritornerò sull’«analisi e classificazione» del cinepanettone più avanti, adesso voglio far notare come, altrove, lo stesso autore parli di «tentativo di raggiungere un’oggettività empatica, oppure, se preferite, una soggettività neutrale» in relazione al tema affrontato4. Una tale empatica oggettività o neutrale soggettività è, per diverse ragioni, quasi impossibile da ottenere quando si parla di cinepanettone e del suo pubblico. Il motivo principale è la maniera in cui il cinepanettone è stato sempre percepito e accolto proprio in Italia dal pubblico benpensante, dai critici e persino nell’ambito degli studi sul cinema italiano. Infatti il discorso su questi film è prima di tutto un costante riferimento alla loro «volgarità» – che sta spesso a indicare la presenza di parolacce, di espressioni dialettali, di un umorismo spicciolo e sessuale, e di nudità (femminili) – e poi alla supposta indifferenza dei suoi autori verso criteri artistici, come alla supposta celebrazione della condotta immorale dei suoi grotteschi protagonisti. Questi aspetti sono percepiti come una riflessione acritica e addirittura glorificante dei peggiori aspetti della società italiana. Per questo, il cinepanettone viene considerato come il sintomo evidente, e in parte anche la causa, di quel presunto (e pasoliniano) «cambiamento antropologico» che ha portato alla vittoria della Destra in Italia.
Quale che sia la verità di questa affermazione, e da parte mia non nego un certo scetticismo, il tradizionale sospetto in cui «il popolare» in genere (nel senso di cultura di massa) è tenuto dai circoli più influenti della cultura italiana, ha fatto sì che il cinepanettone non venisse pressoché studiato. Allo stesso tempo, però, nelle università estere, inglesi e americane soprattutto (e io appartengo a una di queste), gli Italian Cinema Studies sono rima...
Table of contents
- FENOMENOLOGIA DEL CINEPANETTONE
- Colophon
- Indice
- Ringraziamenti
- CAPITOLO 1
- CAPITOLO 2
- CAPITOLO 3
- CAPITOLO 4
- CAPITOLO 5
- CAPITOLO 6
- Bibliografia