La fuga delle quarantenni
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La fuga delle quarantenni

Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa

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La fuga delle quarantenni

Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa

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Da secoli la fortezza silenziosa della Chiesa cattolica è la presenza delle donne: sono loro che principalmente trasmettono la fede alle nuove generazioni e sono sempre loro che con generosità portano a compimento numerosi ministeri ecclesiali. Eppure all'orizzonte appaiono i primi segni di rottura di questa intesa. Protagoniste di un tale cambiamento di rotta sono soprattutto donne che hanno tra i 20 e i 40 anni: vanno di meno a Messa, scelgono di meno il matrimonio religioso, pochissime ancora seguono una vocazione religiosa, e più in generale esprimono una certa diffidenza verso la capacità educativa degli uomini di religione. Prima che sia troppo tardi, è questa l'ora di provare a rinegoziare i termini di una nuova alleanza tra la Chiesa e le donne.

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1.
Non ci sono più le differenze di una volta

Piccole incredule crescono

Non è difficile capire che il clima socio-religioso in Italia sta cambiando, basta esercitare uno sguardo meno superficiale su quello che capita intorno a noi. E il dato più rilevante riguarda senz’altro il mondo delle nuove generazioni.
Al termine di una lunga disamina di dati, tabelle, confronti, parallelismi, afferenti a un’inchiesta sull’Italia cattolica promossa dall’autorevole rivista «Il Regno», eseguita nel giugno del 2009 e resa nota nello stesso mese dell’anno successivo, il sociologo Paolo Segatti, dell’Università degli Studi di Milano, e Gianfranco Brunelli, direttore responsabile de «Il Regno», non nutrono alcun dubbio nell’affermare che in tema di fede, quando si considerino gli italiani nati dopo il 1981, «sembra veramente di osservare un altro mondo». Nel nostro Paese, vi sarebbe dunque una linea netta di separazione, in relazione alle credenze e condotte religiose, segnata proprio dai ventenni e dai trentenni: «[...] i giovani, in particolare quelli nati dopo il 1981, sono tra gli italiani quelli più estranei a un’esperienza religiosa. Vanno decisamente meno in chiesa, credono di meno in Dio, pregano di meno, hanno meno fiducia nella Chiesa, si definiscono meno come cattolici e ritengono che essere italiani non equivalga a essere cattolici».
A supporto viene pure citata un’altra ancora più recente indagine (marzo 2010), Giovani di fronte al futuro e alla vita, con o senza fede, condotta dall’istituto IARD rps, la quale in particolare ha evidenziato la drastica diminuzione di giovani italiani disponibili a definirsi cattolici: nel giro di sei anni appena si è passato dal 66,9 per cento al 52,8 per cento di 18-29 italiani che si dichiarano cattolici!
Sono proprio tali numeri e altri simili a questi che inducono Segatti e Brunelli a rilevare che lo stacco generazionale tra i nati dopo il 1981 e le coorti d’età precedenti, nella propria adesione alla religione cattolica, «è così forte da non consentire di rubricarlo in una sorta di dimensione piana, in un processo dolce e lineare di secolarizzazione».
Ovviamente basterebbe interrogare al proposito un qualsiasi parroco, per avere conferma di questo dato: i ventenni e i trentenni sono ormai una vera e propria rarità nelle comunità cristiane. Celebrato il sacramento della cresima, abbandonano quasi del tutto una qualsiasi pratica abituale di fede. E di certo con grande disappunto e anche con grave dispiacere di tutti. Ed è sempre più complesso comprendere come poter far fronte a tale situazione.
Ma cosa c’entra tutto questo con le quarantenni e prima d’ogni cosa con le donne?
Ebbene, torniamo per un momento ad ascoltare un altro dato dell’inchiesta de «Il Regno». Il duo Segatti-Brunelli, dopo aver segnalato il fatto che la generazione 1981 rappresenta un cambio deciso di marcia rispetto al modello ideale di Italia «Paese cattolico», evidenzia che, dai dati dell’indagine, in quella stessa generazione, emerge una «riduzione sostanziale della differenza di genere. Non vi sono differenze sostanziali tra uomini e donne». Questa è la novità: le giovani donne non manifestano, rispetto ai loro coetanei maschi, elementi di differenziazione «sostanziale» in relazione alla pratica di fede. Fatta eccezione per l’abitudine alla preghiera, che vede le donne indipendentemente dall’età sempre più avanti rispetto ai loro coetanei maschi, le nate dopo il 1981 sono tra le italiane le più estranee ad un’esperienza religiosa nella stessa misura dei nati dopo il 1981: in ugual misura dei loro coetanei, quindi, le giovani donne vanno di meno in chiesa, credono di meno, hanno meno fiducia nella Chiesa, si definiscono meno come cattoliche e ritengono che essere italiane non equivalga a essere cattoliche.
Non esiste quindi una novità solo sul piano verticale delle generazioni, per la quale nel nostro Paese più si è giovani più si è lontani dell’universo ecclesiale; esiste pure una differenziazione interna al mondo femminile: il tradizionale scarto di una maggiore adesione alle credenze e alle pratiche di fede che ha sempre connotato le donne rispetto agli uomini e che è sostanzialmente confermato nelle generazioni più adulte, tende ad azzerarsi con il comparire delle nuove generazioni di donne.
Questo è davvero qualcosa di inedito per la Chiesa cattolica: il suo rapporto privilegiato con l’universo femminile manifesta qui una prima e significativa incrinatura.
Su questa autentica novità ha speso parole molto precise e giustamente preoccupate il sociologo Alessandro Castegnaro, presidente dell’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto. Sulla base delle numerose indagini da lui coordinate sulla religiosità della regione di Nord-Est (in particolare nelle diocesi di Trieste, Venezia, Adria-Rovigo, Concordia-Pordenone) e su quella basata sulla diocesi di Vicenza ed esplicitamente dedicata al mondo dei giovani, egli evidenza proprio molto bene la marcatura di genere delle differenze intergenerazionali che i dati raccolti lasciano emergere:
Se si confrontano le figlie con le madri l’indice di appartenenza perde tra il 20 e il 48% del valore, quello di esperienza tra il 17 e il 25; quello di credenza tra il 12 e il 20. La percentuale di ragazze praticanti su base settimanale perde tra 9 e 22 punti.
Proprio per questo egli afferma che, all’interno della più ampia fatica della comunità credente nel suo lavoro con i giovani, esiste «uno specifico problema nei rapporti tra le giovani donne e l’Istituzione». Inoltre sulla base della sua consolidata esperienza e sulla base di quanto già accaduto in altre parti d’Europa, in particolare in Francia, invita con decisione a non sottovalutare tale specifica questione, prospettando facili riprese nel futuro da parte delle giovani donne del loro rapporto con la dimensione istituzionale della fede. Non si ha a che fare semplicemente con una questione dell’età: più decisamente è una questione generazionale. Con le sue parole:
La presa di distanza dal mondo della religione, dalla Chiesa e dalla pratica in particolare, era evidentemente in buona parte già avvenuta nei maschi, non ancora nelle femmine, che ora si sono allineate. Se agisse solo l’effetto età della vita e non quello generazionale, più duraturo, non ci sarebbe ragione perché questa distinzione si manifestasse.
Qual è la vera posta in gioco in questi numeri che stiamo analizzando? È lo stesso Castegnaro che rileva l’urgenza di questa novità. In un’intervista al quotidiano «Avvenire», egli ha sottolineato che il sostanziale allineamento dei comportamenti religiosi delle giovani donne a quelli dei giovani maschi
avrà ricadute di lungo periodo se si considera che la trasmissione della fede nelle famiglie segue più la linea femminile che quella maschile ed è la ragione per cui pensiamo che si tratti di cambiamenti non legati alla particolare età della vita, ma destinati in parte a permanere anche nelle età successive.
Ecco il punto: la trasmissione della fede. Un compito da sempre assicurato, all’interno del panorama cattolico italiano,soprattutto dalla figura materna. È lei che appunto insieme con il latte offre pure il germe di una fede religiosa, è lei che dona insieme alle istruzioni per vivere pure quelle per credere; è nei suoi occhi, insomma, che il piccolo d’uomo non solo scopre la prima e più efficace mappa del mondo, ma pure la presenza di un Tu invisibile al quale fiduciosamente rivolgersi nel suo far proprio il mestiere di vivere. È esattamente questa una delle vere leve dalla forza della Chiesa cattolica, nella sua storia: la preziosa opera di catecumenato familiare assicurato dalle donne. E cosa accade se la mamma diventasse al riguardo latitante? Il titolo dell’intervista prima citata di «Avvenire» al sociologo Castegnaro non lascia dubbi: La fede [è] a rischio.

L’anima dei giovani e delle giovani messa a nudo

La questione qui accennata e cioè del crescente difficile rapporto tra le giovani donne e la Chiesa richiede un ulteriore approfondimento su un altro versante. Le indagini sin qui citate hanno chiamato in causa soprattutto gli aspetti più istituzionali e tradizionali della pratica religiosa: credere in Dio, abitudine alla preghiera, frequenza della Messa, autodefinizione di cattolicità, relazione tra la propria identità italiana e la propria appartenenza religiosa. Sono ovviamente questi i criteri più rilevanti sotto il profilo di una riflessione seriamente preoccupata circa la presenza futura della Chiesa nel contesto italiano.
Del resto, solo con una relazione effettiva con le generazioni più giovani, non virtuale o ad intermittenza, è possibile affrontare la questione delle vocazioni ai ministeri ecclesiali, il tema del ricambio del tessuto umano delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti, la necessità di una nuova leva di cristiani impegnati nella politica e soprattutto la presenza umanissima e quotidiana di credenti capaci di segnare quella differenza cristiana, di cui ci ha ampiamente e pertinentemente istruito Enzo Bianchi, quale vera testimonianza al Vangelo di Gesù nel bel mezzo di una società plurale e sempre più sotto lo scacco di logiche assai discutibili. E tale relazione ha bisogno di contatti, di frequentazioni, di disponibilità a riconoscere e a vivere un legame con la realtà Chiesa, con i suoi tempi e i suoi spazi. La quale, a sua volta, è urgentemente interpellata a lasciarsi profondamente interrogare da questa fuga dei giovani e in particolare delle giovani donne. Cosa che purtroppo ancora non accade.
Eppure, lo riconosciamo anche noi, non si può ridurre tutto al semplice «andare o non andare a Messa». Come stanno allora i rapporti dei giovani e delle giovani donne con il più generale universo della fede, a parte l’andare in Chiesa? La domanda è assolutamente azzeccata: spesso, infatti, si dice e quindi si presuppone che l’Italia possieda un’anima cattolica, anche se le Chiese tendono a diventare sempre più vuote, anche se diminuisce il numero di celebrazioni dei sacramenti del matrimonio e del battesimo, anche se il numero di giovani sacerdoti non riesce in alcun modo a compensare quello dei sacerdoti che vanno in pensione o in paradiso, anche se il numero di consacrate diminuisce costantemente. A fondare tale supposizione di un’anima cattolica del nostro Paese sarebbe proprio l’anima degli stessi italiani e delle italiane, i quali e le quali manifesterebbero sempre una prossimità quasi assoluta alle posizioni della Chiesa, sia per quel che riguarda le questioni legate al tema della laicità che per quelle più eticamente sensibili. Anche se non vanno in Chiesa in modo regolare.
Detto in modo più semplice: fatta salva la presenza di appartenenti ad altre confessioni cristiane non cattoliche e quella di credenti di altre religioni, fatto pure salvo un certo numero di atei, agnostici, razionalisti, avremmo, secondo un diffuso modo di pensare, una parte di italiani credenti e praticanti e un’altra parte di italiani non praticanti ma credenti o quanto meno sensibili alla visione cristiana della vita. Ecco, allora, la figura che sostiene tanti discorsi circa il presente cattolico dell’Italia: il non praticante credente, il credente anonimo. La plausibilità di tale concetto, soprattutto in riferimento al passato e in riferimento al mondo maschile (quello che è stato sempre meno praticante) è più che sostenibile, ma è una figura ancora valida? Può essere applicata ai giovani e in particolare alle giovani donne?
Per provare a rispondere a questi interrogativi ci viene incontro una recente indagine sulla religiosità degli italiani, in modo eccellente coordinata da Franco Garelli, dell’Università degli Studi di Torino, e intitolata Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo. Dell’indagine consideriamo soprattutto i temi relativi alla laicità e al rapporto della fede con la politica e l’etica.
L’evidenza maggiore che la lettura dei dati e la loro interpretazione lascia emergere è il rilievo per il quale l’anima del Paese abbia due velocità o, utilizzando la metafora usata da Garelli, vengano messi a nudo due volti di Paese. Vuoi per il nodo del crocifisso esposto nei luoghi pubblici, vuoi per la faccenda del finanziamento alla Chiesa tramite il meccanismo dell’8x1000 e per il regime di esenzioni di cui essa gode (recentemente al centro di grossi dibattiti pubblici), vuoi per la questione della scuola cattolica e per l’ora di religione, vuoi ancora per la presenza della Chiesa nello spazio del dibattito pubblico (con particolare riferimento al referendum sulla procreazione assistita) e infine per l’opportunità di appelli ecclesiali in campo sociale ed etico, la situazione degli italiani è più o meno la seguente: aumentando l’età dei soggetti diminuisce la distanza dalle posizioni ufficiali della Chiesa, diminuendo l’età dei soggetti aumenta la distanza da quelle posizioni.
A proposito, per esempio, dell’opportunità di esporre il crocifisso nei luoghi pubblici, scrive Garelli che
proprio l’età e il livello di istruzione (più che il genere) sono le variabili che incidono maggiormente su questo orientamento; passando infatti dalle classi di età più giovani a quelle più anziane, e dai livelli di istruzione più elevati a quelli più bassi, aumenta progressivamente la propensione delle persone a giustificare la presenza del simbolo cristiano negli edifici pubblici.
Non sarà sfuggito al lettore l’indicazione che la variabile «genere» non produce più variabili di sostanziali differenze. E questa è la differenza su cui vorremmo di più richiamare l’attenzione.
Inoltre c’è da precisare che la frattura determinata ormai solo dalla variabile «età» tende a restare essa stessa non più rilevante se ci si sofferma su alcuni precetti ecclesiali assai caratterizzanti, soprattutto in passato, il costume dei credenti praticanti. Scrive Garelli:
Ad esempio, il 75,2% degli italiani non condivide il divieto ai giovani di avere rapporti sessuali prima del matrimonio, e oltre l’80% disapprova la proibizione alle persone divorziate e risposate civilmente di accostarsi ai sacramenti.
Questi due ambiti sono particolarmente sensibili, in quanto in essi la presenza della variabile donna è particolarmente rilevante.
Ci pare utile qui riportare pure alcuni dati e alcune considerazioni relativi alla morale sociale (evasione fiscale, assenteismo sul lavoro, ottenere benefici dallo Stato senza averne diritto) e alla morale privata (divorzio, esperienze omosessuali, tradimento del partner, convivenza, frequentazione prostitute, ecc.). Dall’insieme delle risposte emerge il fatto che la maggioranza degli italiani, pur continuando a difendere i valori tradizionali della convivenza civile e della famiglia, ammette, come possibili, scelte differenti e contrarie agli insegnamenti della Chiesa.
A una visione, più particolareggiata, si lascia però intuire, non senza preoccupazione, che «il distacco dalle norme di cittadinanza aumenta progressivamente con il diminuire dell’età, delineando un trend generazionale che getta una luce preoccupante sul futuro». Per questo «la variabile età è...

Table of contents

  1. La fuga delle quarantenni
  2. Colophon
  3. Premessa
  4. 1. Non ci sono più le differenze di una volta
  5. 2. Perché le quarantenni non vengono in Chiesa
  6. 3. La fatica di essere quarantenne
  7. 4. Il futuro è donna?
  8. Nota bibliografica
  9. Indice